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«Condannate Cisterna» «Vittima di un`ingiustizia enorme»

REGGIO CALABRIA Due anni di reclusione perché colpevole del reato di calunnia: è questa la pesantissima richiesta che il pm Matteo Centini ha avanzato oggi al termine della requisitoria al processo…

Pubblicato il: 30/09/2013 – 20:46
«Condannate Cisterna» «Vittima di un`ingiustizia enorme»

REGGIO CALABRIA Due anni di reclusione perché colpevole del reato di calunnia: è questa la pesantissima richiesta che il pm Matteo Centini ha avanzato oggi al termine della requisitoria al processo abbreviato per calunnia che vede imputato l’ex numero due della Dna, Alberto Cisterna. Una vicenda quasi paradossale che si innesta nel grande calderone di veleni nato dalle rivelazioni che Nino Lo Giudice – il pentito di cui da oltre tre mesi si sono perse le tracce – aveva affidato a un memoriale redatto dopo i 180 giorni durante i quali i pentiti sono obbligati a mettere nero su bianco tutto quello che è a loro conoscenza. All’ex numero due della Dna quelle parole sono costate un procedimento poi archiviato – su richiesta della stessa Procura che lo aveva istruito – per mancanza di elementi validi a sostenere l’accusa, ma soprattutto due anni di gogna e una carriera fisiologicamente proiettata alla poltrona di capo della Procura di Reggio Calabria stoppata. Ad alimentare quel procedimento c’è stata anche un’informativa redatta dall`attuale capo della squadra mobile di Torino, Luigi Silipo, dalla quale è scomparsa un’intercettazione che avrebbe immediatamente scagionato il vice di Grasso. Irregolarità denunciate da Cisterna e riscontrate dalla Procura che però, ritenendole «attinenti ad aspetti marginali e prive di dolo», ha chiesto l’archiviazione dell’esposto e contestualmente il rinvio a giudizio per calunnia di Cisterna. Una vicenda complessa, su cui però Roberto Pennisi, alto magistrato della Dna, già anni fa in un dettagliato memoriale aveva provato a far luce, rivelando che in occasione di un casuale incontro con Silipo all’aeroporto di Roma,  lo stesso funzionario gli avrebbe rivelato le pressioni ricevute nel corso delle indagini su Cisterna. Un dettagliato racconto ripetuto in sede di udienza preliminare – ma smentito da Silipo – e a cui il pm Centini non ha voluto credere, tanto da invocare per Pennisi la trasmissione degli atti per falsa testimonianza. Una richiesta in linea con una requisitoria durissima, che non si è limitata ai fatti contestati nell’esposto che ha dato origine al procedimento, ma ha ripercorso tutte – o quasi – le tappe della vicenda giudiziaria che da oltre due anni ha visto Cisterna nell’occhio del ciclone. Per oltre tre ore, il pm ha ripercorso tutti i contatti fra l’ex numero due della Dna e Luciano Lo Giudice, per spiegare cosa abbia potuto muovere Silipo nella redazione di quell’informativa. L’alterazione dei dati e la scomparsa di quella conversazione dall’informativa, per  Centini, sono stati dei meri errori, che nulla hanno a che fare con un complotto: per il pm «l’informativa redatta dal dottor Silipo può essere giusta o sbagliata, ma bisogna fornire elementi per denunciare la manipolazione dolosa e il falso». Ancor più duro il sostituto è nei confronti di Roberto Pennisi, “colpevole” di non aver denunciato immediatamente e presso le sedi competenti quanto appreso da Silipo.  «La carriera del dottore Pennisi – dice – non può essere un totem alle sue parole, ma un canone sulla base del quale decidiamo. Dobbiamo guardare alla credibilità di Silipo. Se noi fossimo venuti a conoscenza di queste cose avremmo riempito la vita di Silipo di cimici per appurare i fatti. Ma questo non è avvenuto». Una motivazione sufficiente per Centini per chiedere che per il procuratore della Dna venga aperto un fascicolo per falsa testimonianza.

LA DIFESA DI CISTERNA
Si dice sorpreso, non amareggiato dalla durissima requisitoria del pm Centini, Alberto Cisterna. Sorpreso perché – spiega – «pensavo che la serena lettura delle carte potesse portare ad altra conclusione». Ed allora si sente quasi in dovere di rendere dichiarazioni spontanee per spiegare, chiarire, puntualizzare particolari che la ricostruzione del pm a suo dire ha tralasciato nella requisitoria, ma soprattutto fatti che non hanno direttamente a che fare con il procedimento per calunnia, ma attengono a quelle accuse di corruzione rivoltegli dall’ex pentito Nino Lo Giudice, divenute base di un procedimento poi archiviato.
E parte da lontano Cisterna, per spiegare quali siano le reali radici della vicenda che oggi lo vede imputato per calunnia: «Io ho formalmente chiesto nel procedimento disciplinare che ho subito che venisse sentito il procuratore nazionale antimafia affinché spiegasse le relazioni fra i servizi segreti e la procura nazionale antimafia». Un rapporto iniziato all’indomani degli attentati di New York, Londra e Madrid, quando il terrorismo internazionale era divenuta una priorità per gli apparati di sicurezza e la Dna aspirava ad assumere un ruolo di coordinamento. «Quest’ambizione era nel Dna dell`allora procuratore nazionale Vigna, che si era sempre occupato di terrorismo, aveva fatto processi molto importanti, si era occupato delle stragi del `93. Di fronte a questa ambizione c’era l’opposizione ferma del Dipartimento di Pubblica sicurezza, che attraverso l’Unigos e la Digos teneva in mano il coordinamento delle indagini antiterrorismo». Una fotografia della – anche burrascosa – vita interna delle istituzioni che a Cisterna serve per spiegare – per l’ennesima volta – come nascano i suoi rapporti con il maggiore Ferlito in forza al Sisde e perché è a lui che decide di affidare le confidenze di Luciano Lo Giudice. «Ferlito e quello che poi ho scoperto essere Mancino, capo della prima divisione del Sismi, non erano lì per prendersi il caffè ma per lavoro, perché si erano instaurati rapporti con i Servizi che avevano interesse a lavorare con un organo giurisdizionale centrale e c’era il procuratore Vigna che con grande favore vedeva questa sinergia». Un dato importante, per Cisterna, che proprio al suo procuratore nazionale dell’epoca – il quale  aveva affidato ai suoi sostituti, attraverso delibere mai revocate, la delega al coordinamento delle indagini sui latitanti – aveva riferito della volontà di Luciano Lo Giudice di rivelare indiscrezioni su Condello, ma che il Csm deciderà di non sentire.

LE OMISSIONI DELLA PROCURA
«Né la Procura di Reggio – che sospetterà un intervento di Cisterna per agevolare la concessione dei domiciliari a Maurizio Lo Giudice – sentirà l’esigenza di ascoltare persone importanti come il procuratore Macrì che curava la questione dei Lo Giudice, né il dottore Mollace, né Vigna. Non ascolta nessuno». Toccherà alle indagini difensive valorizzare le testimonianze «di quelle persone che questa Procura non ha mai inteso ascoltare», sottolinea Cisterna per il quale non si tratta certo di «un peccato veniale, perché si tratta dell’ennesimo errore di questo ufficio di Procura in questa vicenda». Nonostante questo, ricorda l’ex numero due della Dna, «offro con l’ultimo residuo di lealtà e buona fede, la testimonianza del dottore Pennisi, e non lo si ascolta, in nome dell’imparzialità di cui mi si vorrebbero dare lezioni, si affidano le indagini alla stessa squadra mobile che è direttamente interessata alla vicenda, dopodiché si chiedono – per non urtarne la sensibilità – chiarimenti sull’esposto. Se quest’esposto non è stato ritenuto meritevole neanche di una delega, che valenza aveva? Non mi si parli di imparzialità, perché qui è mancata totalmente l’imparzialità. Qui siamo di fronte all’estrema ennesima omissione di un atto che era stato invocato. Si è fatta un’indagine perimetrale. Della corruzione – sottolinea Cisterna rivolgendosi direttamente al gup Barillà – non troverà nulla, non c’è un rigo, non hanno saputo o potuto, perché ovviamente non c’era nulla da individuare, non hanno saputo indicare neanche l’anno, si dice dal 2005 al 2009! Per una corruzione! Vergogna, vergogna!».

LE FUGHE DI NOTIZIE
È un vero e proprio sfogo quello di Alberto Cisterna, che per la prima volta in sede processuale si difende dalle accuse che per anni gli sono state mosse, nell’ambito di un’indagine consumata più a mezzo stampa che nelle sedi dovute
. E proprio le fughe di notizie – almeno dodici, di cui mai è stata accertata la provenienza,  ricorda Cisterna – sono uno dei punti dolenti dell’intera vicenda, sui quali l’ex numero due della Dna non può sorvolare. A partire da quel memoriale cui il controverso collaboratore di giustizia, Nino Lo Giudice ricorre per accusare Cisterna di essere un magistrato corrotto e amico del fratello, Luciano. Lo Giudice affida le sue rivelazioni a un memoriale – o meglio, si scoprirà dopo, a due, uno inviato al Tribunale della libertà di Catanzaro, uno affidato all’allora procuratore capo Giuseppe Pignatone e al sostituto Beatrice Ronchi – pubblicato dalla stampa due giorni dopo. «E la copia pubblicata non è quella depositata al Tdl», lamenta l’ex numero due della Dna, che non può non sottolineare quel titolone del Corriere della Sera, che ha informato l’Italia dell’indagine a suo carico, come pure quell’intercettazione sparita dall’informativa redatta da Silipo, che poi diventerà uno dei capitoli dell’esposto presentato contro di lui, o ancora – ricorda – la notizia  «pubblicata puntualmente a un paio di giorni da questa udienza» dell’ordinanza di custodia cautelare che ha colpito il collaboratore Di Dieco, accusato di essere parte di un complotto per calunniare Nino Lo Giudice. «Le pare il modo di gestire il segreto investigativo e le pare che io ex post possa attribuire la minima affidabilità a questo Ufficio inquirente? Eppure, malgrado ciò presento l’esposto in questa sede».
Rifiuta la tesi del complotto il dottore Cisterna ma non esita a puntare il dito contro le stranezze che hanno caratterizzato la sua vicenda giudiziaria. «Io rilevo fatti, non denuncio complotti, rilevo fatti che pongono questioni precise, perché sui fatti denunciati nell’esposto a me non è mai stata data una risposta».
Tuttavia la sua fiducia nella Procura reggina – lascia intendere – inizia a vacillare: «Io non ho fatto i nomi di quei funzionari e di quei magistrati che hanno parlato di un accanimento ai miei danni, non li ho fatti qui. Ma questa trasmissione d’atti per Pennisi mi conferma che ho fatto bene» perché  «che un uomo della moralità, delle capacità, della forza d’animo, della determinazione di Roberto Pennisi possa essere indagato dal suo ufficio, da quello che lui considera ancora il suo ufficio, mi lascia senza parole. E mi si chiede di fare i nomi, mi si chiede di fare i nomi qui?». È questa la domanda che Cisterna rivolge al gup e all’aula prima di elencare uno ad uno gli “errori” e le forzature in cui la Procura è caduta nelle sue ricostruzioni, dall’informativa redatta da Silipo all’identificazione dei Lo Giudice come clan di `ndrangheta, nonostante fosse stata la stessa squadra mobile di Reggio Calabria, almeno fino al 2004, a depennare i Lo Giudice dalla lista delle `ndrine reggine. Ma non solo. Al pm Centini che gli chiedeva in requisitoria perché non avesse presentato la denuncia di Pennisi al Csm, Cisterna ricorda che il suo trasferimento per motivi disciplinari era arrivato esattamente un giorno prima: «Cosa avrei dovuto dire o fare? Di fronte a quale autorità legittima avrei dovuto presentarla», gli chiede l’ex numero due della Dna. Ed è amara la conclusione di Cisterna: «Questo non è un processo come un altro. E non perché oggi entro da imputato nell’aula in cui concludevo la mia carriera da magistrato a Reggio Calabria e dove ho indossato per l’ultima volta la toga da udienza, ma perché oggi qui davanti a lei, signor giudice, è in gioco ben altro. Questo processo realizza due fini imprescindibili: da un lato è un monito a chi subisce le angherie di pezzi delle Istituzioni, che ne vengono ricattati, abusati malmenati. A loro si dice che il braccio violento della legge è intoccabile, l`apparato è blindato, chiuso e indifferente a ogni denuncia e lamentela e guai a chi tocca gli sgherri del palazzo o i maniscalchi del Principe. Non è un problema di complicità. È che strutturalmente nel cuore della democrazia si annidano demoni e questi demoni invocano immunità per sé e per i  loro servitori. È ancor più grave quando ciò avviene attraverso le leggi e le loro interpretazioni. Secondo punto: bisogna offuscare le grida di chi invoca giustizia, ucciderne il desiderio di speranza e verità. Chi denuncia non è solo un visionario, ma piuttosto un malvivente, un calunniatore, un uomo la cui parola non è affidabile. Privare le parole degli uomini della loro verità è molto, ma molto più grave di indicarli come responsabili di qualsiasi misfatto. Svuotare le parole di un uomo della loro verità è un’ingiustizia enorme, che nessun dio potrà mai perdonare. In questo processo si è tentato di farlo».

LA DECISIONE
Parole pesantissime che il gup  Barillà avrà modo di valutare almeno fino al 4 ottobre, quando sarà chiamato a pronunciarsi tanto sulla richiesta di acquisizione dell’ordinanza di custodia cautelare a carico Di Dieco, avanzata dal pm Centini, tanto sull’istanza di integrazione istruttoria avanzata dai legali di Cisterna, che non hanno rinunciato a sentire l’autista e l’uomo della scorta che hanno assistito alla conversazione fra Silipo e Pennisi. Solo dopo aver sciolto queste riserve, il gup Barillà sarà chiamato a pronunciare una sentenza di un procedimento che sembra andare molto oltre l’accusa di calunnia contestata. (0090)

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