Ultimo aggiornamento alle 21:45
Corriere della Calabria - Home

I nostri canali


Si legge in: 6 minuti
Cambia colore:
 

Processo Archi-Astrea, parla Silipo

REGGIO CALABRIA «Almeno dal 2000-2001 c’era il clan De Stefano dietro il progetto della Perla dello Stretto, tanto sulla costruzione, tanto sulle future attività commerciali». È questo il dato, in …

Pubblicato il: 03/10/2013 – 17:43
Processo Archi-Astrea, parla Silipo

REGGIO CALABRIA «Almeno dal 2000-2001 c’era il clan De Stefano dietro il progetto della Perla dello Stretto, tanto sulla costruzione, tanto sulle future attività commerciali». È questo il dato, in possesso della Squadra Mobile di Reggio Calabria già dai primi anni Duemila emerso oggi al processo Archi-Astrea dalla testimonianza di uno dei dirigenti della Questura dell’epoca, Luigi Silipo. Chiamato a deporre dal pm Giuseppe Lombardo, è nel riferire le indagini di riscontro alle dichiarazioni dei tanti collaboratori di giustizia che riguardano i soggetti oggi imputati nel procedimento, che Silipo sottolinea: «Già attorno al 2000-2001, nel corso delle indagini per la cattura dei latitanti Carmine e Orazio De Stefano, avevamo già iniziato a registrare l’interesse di Giuseppe De Stefano e di suo cugino Giovanni, il figlio di Giorgio (ndr Il boss ucciso nel ’77)».

L’AFFARE DI PEPPE
Un affare seguito in prima persona da Giuseppe, secondogenito di don Paolino – ricorda il dirigente – nonostante la Perla ricada nel territorio di Villa. Un dettaglio che il pm Lombardo ci tiene a sottolineare, perché in linea con la ricostruzione – oggi al centro di un altro procedimento, Meta – che vuole Peppe De Stefano, simbolo e vertice di quella `ndrangheta nuova partorita dalla pax mafiosa. Un ruolo cristallizzato nella carica di capocrimine, che era stata del padre e che Peppe De Stefano – dicono le indagini – ha ricevuto durante la detenzione su mandato del superboss Pasquale Condello, vecchio braccio destro di don Paolino De Stefano prima che la seconda guerra di ‘ndrangheta dividesse con il sangue i destini e le famiglie. Solo dopo quasi sei anni di morti ammazzati, fra Condello, De Stefano e gli schieramenti che attorno a loro si erano formati,  ci sarà la riconciliazione e in città vigeranno nuovi equilibri di cui il ruolo di Peppe De Stefano – teorizzano gli inquirenti – è diretta espressione. Una tesi che trova conferma nelle parole di Luigi Silipo, che riferisce: «Villa San Giovanni è un locale autonomo, ma abbiamo chiaramente registrato l’interesse del clan De Stefano sulla Perla. Erano collegati agli Zito Bertuca, ma a noi non risulta che da parte delle cosche di Villa ci sia mai stata alcuna richiesta precisa ai De Stefano per quei lavori».

IL RUOLO DI PINO RECHICHI
Lavori in cui anche Giuseppe Rechichi,  ex direttore operativo della Multiservizi, considerato l’uomo che i Tegano avevano delegato alla gestione della Multiservizi, la più grande municipalizzata della città in seguito sciolta per infiltrazione mafiosa, «aveva un interesse preciso – racconta Silipo – non ricordo se fosse interessato a degli stand o direttamente alla costruzione.  Dalle intercettazioni, risulta in contatto diretto con Giovanni e Giuseppe De Stefano». Ed è proprio per decisione di entrambi che in seguito, l’ex direttore operativo di Multiservizi – riferisce l’ex dirigente della prima sezione della Mobile – sarebbe stato estromesso dai lavori. «Ci fu un problema con i De Stefano legato a una questione economica, uno sgarro non ricordo bene legato a cosa», ricorda Silipo, che nonostante le domande chirurgiche del pm Lombardo fatica ad essere preciso. «Nelle intercettazioni – continua – si fa riferimento all’ingresso di Audino (ndr Boss di San Giovannello, vicinissimo a Peppe De Stefano), ma l’allontanamento di Rechichi era dovuto anche ad una questione economica». Tutti particolari che erano emersi ben prima che Nino Fiume – storico fidanzato dell’unica figlia legittima di don Paolo De Stefano, e per lungo tempo, braccio destro dei fratelli di lei, Giuseppe e Carmine – iniziasse a collaborare, non solo svelando l’interesse degli arcoti per il progetto della Perla dello Stretto, ma portando all’attenzione degli investigatori personaggi come Rechichi, sulla carta insospettabili, ma in realtà al diretto servizio dei clan. Già prima di allora, ricorda Silipo non senza tentennamenti, l’ex direttore di Multiservizi, era stato denunciato dalla Mobile come soggetto intraneo alla `ndrangheta per gli stretti rapporti che aveva con i De Stefano e su di lui la sezione aveva ricevuto una precisa delega d’indagine. Quale sia stato l’esito non è dato sapere, ma qualche anno dopo, aggiunge il dirigente, ulteriori dichiarazioni su Rechichi, arriveranno dal pentito Giovambattista Fracapane. «Credo che sia stata fatta un’informativa –  tenta di ricordare Silipo – ma non sono in grado di dare i dettagli, perché mi sono dedicato alla cattura dei latitanti». Una risposta che non sembra soddisfare il pm Lombardo, che tuttavia dal dirigente non riuscirà a sapere di più.

MOIO E GLI ALTRI
Allo stesso modo, non molti dettagli e con non poca difficoltà, Silipo sembra in grado di riferire sulle indagini di riscontro alle dichiarazioni degli altri collaboratori. Se di Nino Lo Giudice Silipo ammette di non essersi mai occupato – «Tutte le attività riguardanti la cosca Lo Giudice sono state sviluppate dalla Quinta sezione, noi ci siamo limitati a mettere a confronto le dichiarazioni» sottolinea – di Roberto Moio, nipote del boss Giovanni Tegano, qualcosa ricorda. «Dopo la cattura di Orazio e Carmine De Stefano, abbiamo iniziato a lavorare su Pasquale e Giovanni Tegano. In quell’ambito è stato intercettato anche Moio, come soggetto pienamente inserito nella famiglia, costantemente in contatto con i cognati Michele Crudo e Carmine Polimeni». Ma all’epoca, spiega Silipo, Moio era anche un confidente della Questura. Pur non avendolo gestito personalmente – se ne occupavano gli ispettori Astuto, Arena e Nicolosi – il dirigente ricorda che «si era proposto per far catturare Giovanni Tegano. Su sua indicazione abbiamo fatto una perquisizione a casa Siciliano, con esito negativo». Confidenze che avrebbero significato per Moio l’inizio di un periodo di frizioni con il clan di appartenenza, che anni dopo – secondo risultanze investigative- sarebbero state la principale causa dell’inizio della sua collaborazione.
Dettagli che costituiscono solo un abbozzo del mosaico costruito dall’indagine Archi Astrea, che non solo ha svelato come il clan Tegano si sia appropriato della società mista Multiservizi, ma soprattutto ha gettato nuova luce sugli equilibri sorti in città all’indomani della seconda guerra di `ndrangheta. Un mosaico che nelle prossime udienze Silipo sarà chiamato ancora a costruire.

LA `NDRANGHETA NON ESISTE
Ma prima di lui, sul banco dei testimoni, era stato chiamato come teste di riferimento, Demetrio Moscato, l’ex socio del collaboratore Marco Mesiano, che ha disperatamente tentato non solo di ridimensionare la sua posizione, ma addirittura di negare l’esistenza della ndrangheta in città. Una “performance” che ha fatto letteralmente saltare dalla sedia il pm Lombardo, che al termine dell’udienza non ha potuto fare altro che chiedere per lui la trasmissione degli atti in Procura per falsa testimonianza. (0090)

Argomenti
Categorie collegate

Corriere della Calabria - Notizie calabresi
Corriere delle Calabria è una testata giornalistica di News&Com S.r.l ©2012-. Tutti i diritti riservati.
P.IVA. 03199620794, Via del Mare, 65/3 S.Eufemia, Lamezia Terme (CZ)
Iscrizione tribunale di Lamezia Terme 5/2011 - Direttore responsabile Paola Militano
Effettua una ricerca sul Corriere delle Calabria
Design: cfweb

x

x