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Gli affari "in trasferta" e la potenza dei De Stefano

REGGIO CALABRIA «Non c’è paragone fra Peppe De Stefano e Mico Oppedisano. Peppe De Stefano è nettamente superiore». Non ha dubbi l’ex vicecapo della Mobile, Luigi Silipo. Nonostante pochi minuti pr…

Pubblicato il: 04/10/2013 – 16:49
Gli affari "in trasferta" e la potenza dei De Stefano

REGGIO CALABRIA «Non c’è paragone fra Peppe De Stefano e Mico Oppedisano. Peppe De Stefano è nettamente superiore». Non ha dubbi l’ex vicecapo della Mobile, Luigi Silipo. Nonostante pochi minuti prima abbia descritto in dettaglio le principali acquisizioni dell’inchiesta Crimine, che non ha neanche lambito le storiche `ndrine della città di Reggio come i De Stefano, i Tegano, i Libri o i Condello, Silipo, chiamato a deporre al processo Meta come teste a discarico dall’avvocato Calabrese, legale – fra gli altri – di Pasquale Condello, sul ruolo degli arcoti assicura: «I De Stefano sono la famiglia più potente della ‘ndrangheta reggina».
Un’affermazione che l’ex dirigente della Questura di Reggio Calabria, oggi capo della Mobile a Torino, fonda soprattutto sulle risultanze dell’indagine che già nei primi anni Duemila aveva fatto emergere l’interesse del clan De Stefano per la Perla dello Stretto, il grande centro commerciale che di lì a poco sarebbe nato nella città di Villa. Un affare – ha ribadito Silipo, che sul punto ha deposto ieri anche nel procedimento Archi – che Peppe De Stefano seguiva personalmente insieme al cugino Giovanni (figlio del boss Giorgio, ucciso nel ’77 ad Acqua del Gallo, ndr) e senza che le storiche `ndrine di Villa – gli Zito-Bertuca, tradizionalmente vicini agli arcoti e gli Imerti, affini ai Condello – ci avessero mai messo becco. Una traccia che – sostiene Silipo – «ero interessato ad approfondire perché in quel periodo lavoravamo sull’autostrada, ma fui bloccato perché c’era già in corso un’indagine del Ros. Lavorando sull’autostrada avevamo riscontrato la presenza di due ditte, espressione di Orazio De Stefano e Pasquale Condello, anche a Rosarno, per questo sarebbe stato interessante capire cosa succedesse a Villa».
Tuttavia, il dato è che nelle intercettazioni di quel periodo – ha aggiunto il dirigente – emerge che  Peppe De Stefano, attenzionato dagli investigatori subito dopo la sua scarcerazione, «aveva un ruolo apicale e gestiva direttamente l’affare della Perla tramite uomini suoi come Pino Rechichi (ex direttore operativo della Multiservizi, coinvolto nel procedimento Archi perché considerato diretta espressione dei Tegano all’interno della società) e Pino Scaramuzzino». Un’extraterritorialità del clan di Archi nella gestione degli affari che Silipo spiega con «la potenza della cosca De Stefano, notoriamente la famiglia più potente della `ndrangheta reggina». Una conclusione che il dirigente – su diretta domanda del pm Lombardo – riesce a coniugare con le risultanze dell’operazione Crimine, di cui ha curato la parte sidernese, spiegando: «L’apporto interessante di quella indagine è l’unitarietà della `ndrangheta reggina, la divisione in mandamenti. Noi accertiamo una competenza organizzativa e per quanto mi riguarda è una ricostruzione parziale».
Parole che starà alla presidente Silvana Grasso valutare, così come quelle di un altro dei testi oggi sfilati di fronte al suo Tribunale. Si tratta di Giuseppe Rodà, pizzicato dagli investigatori a chiacchierare con il noto imprenditore reggino Ugo Marino di quella che gli inquirenti hanno interpretato come una richiesta estorsiva. Una ricostruzione che Rodà, che per sua stessa ammissione vanta una serie di amicizie nel panorama criminale da Nino Fiume a Domenico e Demetrio Condello, contesta, tentando di spiegare al Tribunale e alle parti che quel giorno sarebbe stato lui a raccontare a Marino i suoi problemi con Luciano Lo Giudice, sponsor di un evento da lui organizzato ma che non avrebbe mai pagato il dovuto. Una ricostruzione che non ha convinto per nulla il pm Lombardo, perché proprio all’inizio di quella conversazione c’è un chiaro riferimento a Demetrio Condello – fratello di Domenico e cognato di Ugo Marino- che il teste non ha saputo o voluto spiegare, limitandosi a trincerarsi dietro una serie di «non so», «non ricordo».
Allo stesso modo – sostiene, rispondendo a una diretta domanda della presidente Grasso – «è capitato per caso di parlare della questione di Lo Giudice con Ugo Marino, non c’era un motivo specifico, parlavamo tanto per parlare». Circostanze su cui probabilmente anche lo stesso Ugo Marino sarà chiamato a rispondere. In realtà, avrebbe dovuto farlo oggi stesso, ma ha dato forfait, facendo pervenire all’avvocato Calabrese un certificato del Pronto Soccorso dell’ospedale reggino, che attesta che ieri sera tra le 20 e le 21 sarebbe stato visitato a causa di uno «stato d’ansia, accompagnato da stato confusionale». Una motivazione non sufficiente per la presidente Grasso che per lui ha disposto l’accompagnamento coatto. (0020)

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