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La notte dei soccorsi sul molo di Reggio

Sono spaventati, infreddoliti. Stanchi per i cinque lunghi giorni di viaggio che dalla Siria li hanno portati in Italia. Ma c’è soprattutto l’orrore della guerra civile che da oltre un anno insangu…

Pubblicato il: 14/10/2013 – 0:00
La notte dei soccorsi sul molo di Reggio

Sono spaventati, infreddoliti. Stanchi per i cinque lunghi giorni di viaggio che dalla Siria li hanno portati in Italia. Ma c’è soprattutto l’orrore della guerra civile che da oltre un anno insanguina il loro Paese e che ha stravolto le loro vite, negli occhi dei 226 profughi siriani approdati questa sera a Reggio Calabria. E sono tanti i  minori – almeno 79 secondo le prime stime –  alcuni poco più che neonati, che insieme a 102 uomini e 45 donne, tutti provenienti dalla Siria, viaggiavano a bordo di un peschereccio individuato questa mattina ad oltre 150 miglia da Capo Spartivento. Nel giro di poche ore, l’imbarcazione è stata raggiunta e abbordata, quindi i profughi sono stati fatti trasbordare su due motovedette della guardia di finanza. Un’operazione divenuta quasi di routine, da quando le coste joniche della Calabria sono diventate meta privilegiata delle rotte lungo le quali migliaia di siriani tentano di scappare dall’orrore della guerra.
«Io non volevo lasciare la Siria, ma la mia città è stata praticamente rasa al suolo dai bombardamenti». Aishai ha poco più di vent’anni, gli occhi neri pieni di paura. E di rabbia. La sua casa a Camp Yarmouk, prima della guerra il più grande insediamento palestinese in Siria, non c’è più. La cittadina, con le sue scuole, i suoi quattro ospedali, i suoi caffè è quasi distrutta. Troppo vicina a Damasco per non essere più e più volte assaltata dalle cosiddette truppe dei “ribelli” che puntavano alla capitale. Per questo Aishai e il padre hanno deciso di partire, di provare a raggiungere il resto della famiglia che già da tempo è in Svezia. «Prima della guerra facevo l’università, voglio continuare a studiare, voglio andare in Svezia e laurearmi».
Una destinazione comune, almeno nelle speranze, a tanti profughi che con lei hanno diviso il viaggio. Ci sono tanti palestinesi, molti alawiti – pelle chiara e occhi blu che spiccano fra le carnagioni ambrate dei compagni di viaggio -, siriani dei più diversi gruppi etnici o religiosi. Quasi tutti vengono dai dintorni di Damasco. Molti sono professionisti – tra loro c’è qualche medico, molti ingegneri-, tutti in Siria avevano casa, lavoro, una vita. Prima che arrivassero le bombe a spazzare via qualsiasi progetto. Prima che decidessero di attraversare il Mediterraneo su un barcone, per giocarsi una chance di vita diversa. E su quel peschereccio ci sono salite famiglie intere,  ma c’è anche chi è riuscito a pagare il viaggio solo ai figli, li ha affidati a un amico, un vicino o semplicemente li ha fatti imbarcare ed è rimasto in Siria, sul molo a sperare per loro una vita diversa, lontana dalle pallottole dei cecchini e dalle bombe degli eserciti. Stando alle prime stime, sono almeno 20 i minori non accompagnati, arrivati sul molo. La maggior parte ha 10-12 anni, alcuni sono di poco più grandi. Sono stati subito individuati da uno degli operatori di Save the children – una delle ong inserite nel progetto “Praesidium”, il programma coordinato dal ministero dell`Interno che dal 2008 vede diverse organizzazioni intervenire a tutela dei migranti – immediatamente accorso al molo, non appena la macchina dei soccorsi si è messa in funzione.
Poche ore dopo l’individuazione dei profughi, a Reggio città l’ormai rodata organizzazione cresciuta attorno all’emergenza profughi viaggiava infatti già a pieno regime. In attesa del loro arrivo, mentre sul molo insieme alle forze dell’ordine e alla Croce rossa, si sono presentati i volontari di sette associazioni della Protezione civile, al palazzetto dello sport di Pellaro sono state trasportate le brandine messe a disposizione dalla Prefettura, è stata predisposta una cena per rifocillare i profughi e sono stati trasportati tutti i vestiti asciutti e puliti che la Caritas è riuscita a mettere a disposizione. Per i bambini – tanti – che già si sapeva sarebbero arrivati, ci sono anche latte e biscotti. «Abbiamo fatto tutto quello che è stato possibile fare in poche ore», dice uno dei volontari accorso al porto.
Ed è sul molo, dove sono arrivati attorno alle 21, chei profughi hanno ricevuto le prime cure. Nessuno di loro presenta gravi patologie, tutti portano i segni di un viaggio lungo in condizioni precarie e durante il quale si è mangiato e bevuto poco. Solo per un bambino, con febbre alta legata a una comune malattia esantematica dell’infanzia, è stato disposto l’immediato ricovero in ospedale. Tutti gli altri, hanno avuto dai dottori – fra una carezza, un sorriso e una battuta in una lingua sconosciuta ma sufficiente per placare il pianto dei più piccoli – il permesso di seguire le proprie famiglie al palazzetto dello sport di Pellaro. Lì dove li attendono cibo caldo e vestiti asciutti. Lì dove potranno realizzare, di aver come tanti sfidato la morte sul Mediterraneo e almeno questa volta, aver vinto la partita. (0080)

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