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"Cosa mia", in Appello chiesta la conferma delle condanne

REGGIO CALABRIA Conferma di tutte le condanne rimediate in primo grado: è questa la richiesta avanzata dal sostituto pg Adriana Fimiani al termine dell’appello del procedimento abbreviato “Cosa Mia…

Pubblicato il: 14/10/2013 – 19:35
"Cosa mia", in Appello chiesta la conferma delle condanne

REGGIO CALABRIA Conferma di tutte le condanne rimediate in primo grado: è questa la richiesta avanzata dal sostituto pg Adriana Fimiani al termine dell’appello del procedimento abbreviato “Cosa Mia”, scaturito dall’inchiesta che ha svelato e provato l’ingerenza delle cosche nei cantieri dell’A3, ma anche l’atteggiamento – nella migliore delle ipotesi – accondiscendente delle grandi imprese che la subiscono.
Confermando l’impianto accusatorio costruito dai pm Roberto di Palma e Giovanni Musarò, la sostituto pg ha chiesto alla Corte di confermare i 159 anni di detenzione complessivi inflitti nel gennaio 2012 dal gup Laganà. All’epoca la pena più alta era andata al patriarca Umberto Bellocco, personaggio di vertice dell’omonimo clan dominante a Rosarno, mentre pene più lievi ma severe erano andate agli altri esponenti dei clan Gallico-Morgante-Sgrò-Sciglitano di Palmi, e i Bruzzise-Parrello del “locale” di Barritteri e Seminara coinvolti nell’operazione. Undici anni di reclusione sono stati inflitti ad Antonio Dinaro, mentre di nove anni è stata la pena comminata a Francesco Campagna e a Italia Antonella Gallico, punita anche con 2200 euro di multa. È invece di 8 anni e sei mesi la condanna rimediata da Lucia Gallico e Carmelo  Sgrò, mentre qualche mese in meno di carcere è stato inflitti a Maria Antonietta Gallico, condannata a 8 anni 4 mesi  e Giulia Iannino, cui è stata comminata una pena di 8 anni e  2 mesi di detenzione. A otto anni di reclusione sono stati condannati invece Massimo Aricò, Vincenzo Barone, Pasquale Casadonte,  Antonino e Roberto Ficarra Domenico Gallico e Rosario e Vincenzo Sgrò. Il gup aveva inflitto infine una condanna a sei anni e due mesi a Elena Sgrò, mentre ne avevano  rimediati “solo” sei Rocco Carbone e Vincenzo Gioffrè. Di tre anni la pena imposta infine a Gaetano Giuseppe Santaiti,  mentre l’imprenditore Alberto  e Giovanni Cedro se la sono cavata con una condanna a nove mesi con pena sospesa. Un successo rotondo per l’accusa, che dal gup ha visto confermato il lungo lavoro di indagine, avviato nel 2005 dal pm Roberto di Palma, affiancato dal sostituto procuratore Giovanni Musarò a partire dal 2008. Un lavoro certosino che ha svelato che i cantieri per i lavori di ammodernamento della A3 continuavano ad essere stretti nella morsa delle organizzazioni criminali, che imponevano una tangente del 3% sugli appalti quale corrispettivo per la “sicurezza”. Una tassa che i clan imponevano con un rosario di furti e danneggiamenti e le grandi imprese accettavano di pagare senza troppi problemi. (0020)

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