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NEVER MORE | Gratteri: «Bambini scaricati come pacchi»

REGGIO CALABRIA «Questa operazione è tanto più significativa, quante più vite umane siamo riusciti a salvare». È visibile la soddisfazione del procuratore capo Federico Cafiero de Raho nel commenta…

Pubblicato il: 15/10/2013 – 13:44
NEVER MORE | Gratteri: «Bambini scaricati come pacchi»

REGGIO CALABRIA «Questa operazione è tanto più significativa, quante più vite umane siamo riusciti a salvare». È visibile la soddisfazione del procuratore capo Federico Cafiero de Raho nel commentare l’operazione Never More eseguita dalla guardia di finanza, in stretto coordinamento con la Procura di Reggio Calabria, che ha permesso non solo di salvare 226 profughi siriani, ma soprattutto di intercettare e fermare l’equipaggio della nave madre, che poco prima aveva abbandonato i rifugiati su un barcone alla deriva. «Siamo riusciti ad evitare una nuova sicura tragedia», ha detto de Raho, sottolineando come l’imbarcazione più piccola su cui scafisti senza scrupoli avevano fatto trasbordare i profughi, avesse già iniziato ad imbarcare acqua, mentre la nave madre si allontanava. «Un crimine contro l’umanità e un atto di pirateria orrendo» secondo il procuratore capo, il quale – per permettere agli uomini della Finanza di intervenire in acque internazionali contro i trafficanti di uomini – ha dovuto trovare un varco nella confusa legislazione che disciplina gli interventi in mare. Un intervento sul filo della normativa, calibrato – ha sottolineato il procuratore aggiunto Nicola Gratteri – «anche grazie allo stretto coordinamento con gli uomini della guardia di finanza che hanno eseguito le operazioni in mare».

DALL’AVVISTAMENTO ALL’INTERVENTO IN MARE Due giorni di attività febbrile, tanto in Procura come in mare aperto, dove sabato un aereo portoghese dell’Agenzia Frontex ha avvistato un peschereccio di circa 30 metri in navigazione verso le coste italiane, con a rimorchio un’altra imbarcazione più piccola, priva di passeggeri a circa 250 miglia a sud-est di Capo Spartivento. Un convoglio divenuto ormai tristemente noto per i militari, che con l’inasprirsi del conflitto siriano hanno assistito – fino ad oggi impotenti – al proliferare dei viaggi della speranza lungo le nuove rotte della disperazione che dall’Egitto, dalla Turchia e dalla Grecia puntano alla costa jonica calabrese e siciliana. Allo stesso modo, altrettanto tristemente nota è la pratica adottata dagli scafisti per evitare le acque territoriali italiane, dove in passato sono stati bloccati e arrestati: a centinaia di miglia dalla costa, in acque internazionali, i trafficanti di uomini obbligano i migranti a trasbordare su un’imbarcazione che viaggia a rimorchio. Si tratta il più delle volte di barche a vela o pescherecci che hanno visto tempi migliori, natanti vetusti e la cui perdita non costituisce una perdita grave per l’organizzazione che traffica vite. Ma lo è per i migranti che lì sono obbligati a salirci,  perché spesso quelle barche non sono neanche in grado di arrivare alla costa e per di più vengono il più delle volte affidate ad uno dei passeggeri, approssimativamente istruito prima della partenza, che  in cambio di uno sconto sul prezzo della traversata accetta di condurre la barca fino alle coste italiane. Quando ci arrivano. Di certo non ce l’avrebbe fatta quella intercettata sabato scorso.

IL SALVATAGGIO DEI PROFUGHI Dopo le operazioni di trasbordo, compiute in notturna e in violazione di qualsiasi elementare norma di sicurezza – «i bambini venivano scaricati come pacchi», ha detto ancora indignato Gratteri – sotto lo sguardo delle telecamere ad infrarossi degli aerei della Finanza, la nave madre invertiva la rotta allontanandosi verso le coste egiziane, mentre l’imbarcazione più piccola, con i migranti a bordo, tentava di puntare sulle coste calabresi. «Volevamo aspettare che si avvicinasse alle acque territoriali italiane – ha spiegato il procuratore aggiunto – ma dai rilevamenti ci siamo accorti che in un’ora aveva imbarcato oltre un metro cubo d’acqua per questo abbiamo deciso di intervenire subito». Mentre gli aerei della Finanza continuavano a monitorare le due imbarcazioni, un pattugliatore d’altura del Gruppo aeronavale di Taranto si lanciava all’inseguimento della “nave madre”, mentre un pattugliatore veloce del Gruppo aeronavale di Messina e un altro guardacoste da Crotone si sono diretti verso la malconcia imbarcazione che trasportava i migranti e l’hanno rapidamente affiancata. Un’operazione delicata divenuta quasi di routine per la Finanza, che negli ultimi mesi si è trovata più volte a intervenire in soccorso dei natanti abbandonati dagli scafisti in mare aperto. Nonostante le condizioni non ottimali del mare, è in tutta sicurezza che i profughi sono stati fatti trasbordare sulle due imbarcazioni dei militari che li hanno poi condotti a Reggio, mentre il natante veniva lasciato alla deriva.

CACCIA ALLA “NAVE MADRE” Nel frattempo, è scattata la caccia alla nave madre. «Non ci è sfuggita per un soffio – ha detto il comandante Amedeo Antonucci della divisione aeronavale di Taranto –, era molto vicina alle acque libiche». È questa la fase centrale dell’intervento – coordinata fin nei minimi dettagli con la Procura di Reggio –,  che lo stesso colonnello Antonucci ha voluto spiegare in dettaglio: «Avvalendoci delle facoltà che la normativa internazionale concede alle navi militari e agli organi di vigilanza in mare, abbiamo messo in atto un’inchiesta di bandiera, chiedendo di verificare i documenti di identificazione della nave. Abbiamo riscontrato che il peschereccio non batteva nessuna bandiera, dunque su disposizione dell’autorità giudiziaria, l’abbiamo accompagnato in porto dove è stato sottoposto a sequestro preventivo». Proprio l’assenza di bandiera – fino a qualche anno fa, stratagemma utilizzato per garantirsi l’anonimato in mare – è stato il varco «che abbiamo utilizzato per intervenire in acque internazionali di fronte a una palese violazione dei diritti umani. Se invece avesse battuto una qualsiasi bandiera, avremmo dovuto aspettare l’autorizzazione del Paese d’origine».

L’APPELLO DI CAFIERO DE RAHO Un varco giuridico che ha permesso anche di fermare tutti i dieci membri maggiorenni dell’equipaggio che adesso dovranno rispondere di associazione a delinquere finalizzata all’immigrazione clandestina, appesantita da ben sei aggravanti, e immigrazione clandestina. Le stesse contestazioni mosse dal Tribunale dei minori nei confronti di quattro dei sette membri dell’equipaggio ancora minorenne, mentre gli altri tre – non perseguibili perché di età inferiore ai quattordici anni – verranno affidati a strutture di accoglienza. Un successo rotondo per la Procura reggina e gli uomini della guardia di finanza, che lo stesso comandante regionale Gianluigi Miglioli ha voluto elogiare, ma che rischia di non essere facilmente ripetibile, se la normativa non viene modificata in fretta. È per questo che il procuratore capo della Dda ha voluto lanciare un appello: «La comunità internazionale si deve fare carico di una legislazione più agile che permetta all’autorità giudiziaria di intervenire anche in tema di migrazione a prescindere dalla territorialità, come in caso di narcotraffico o altri gravi reati. Siamo di fronte a un crimine contro l’umanità perpetrato da persone prive di scrupolo che sfruttano la disperazione della gente che cerca una vita migliore». (0070)

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