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Lo Stato indulgente

Con sentenza dell’8 gennaio 2013 la Corte europea per i diritti dell’uomo su ricorso di alcuni detenuti ha condannato l’Italia per violazione dell’articolo 3 della Convenzione che vieta il trattame…

Pubblicato il: 20/10/2013 – 8:06
Lo Stato indulgente

Con sentenza dell’8 gennaio 2013 la Corte europea per i diritti dell’uomo su ricorso di alcuni detenuti ha condannato l’Italia per violazione dell’articolo 3 della Convenzione che vieta il trattamento disumano dei reclusi: ciò a causa del sovraffollamento delle carceri, atteso che all’epoca di tale ricorso il numero dei detenuti era di oltre 65.000 unità superiore alle capienze carcerarie. Ha inoltre invitato il nostro Paese ad adottare entro un anno le misure atte ad eliminare tale fenomeno. Tanto premesso, vi sono diversi aspetti da esaminare, ed il primo di essi è che siffatta situazione non è scoppiata all’improvviso, ma si trascina da moltissimi anni, per cui c’è da chiedersi perché, di fronte al dilagare della criminalità, non si sia da tempo provveduto alla costruzione di nuove carceri ed all’ampliamento di quelle esistenti, e perché nessuno abbia sollevato fino al 2010 la questione di tale disastrata situazione. Fu allora che il presidente del Consiglio dei ministri dichiarò lo stato di emergenza nazionale per la durata di un anno, poi prolungata fino al dicembre 2012, ed attribuì al capo del Dap poteri commissariali per formulare un piano d’ intervento, che fu approvato nel giugno successivo, prevedendo la costruzione di 11 nuovi istituti penitenziari e di 20 padiglioni all’interno di strutture già esistenti, iniziativa che tuttavia implicava la creazione solo di 9.150 posti in più, con lavori che dovevano essere portati a termine entro il 31/12/2012. Poi la gestione per gli interventi di edilizia carceraria fu revocata al capo del Dap dal 1° gennaio 2012 ed affidata ad un commissario straordinario.
Ma lo scrivente ignora se le nuove costruzioni siano avvenute, e comunque non ha cognizione che la stampa ne abbia dato notizia. Inoltre, con legge del novembre 2010 fu tra l’altro stabilito che la pena detentiva residua non superiore ai 12 mesi, poi ampliata nel 2012 a 18 mesi, poteva essere scontata ai domiciliari o in altro luogo di accoglienza, tranne che per diversi gravi delitti. Si tralasciano altre programmate iniziative, come la depenalizzazione di taluni reati, la detenzione domiciliare come pena principale per quelli di minore gravità, l’estensione della messa in prova anche ai maggiorenni con estinzione del reato in caso di esito positivo; ed è ora d’attualità l’intenzione di emanare un nuovo provvedimenti di amnistia ed indulto per porre rimedio al sovraffollamento, atteso che alla data del 13/04/2012, le carceri italiane accoglievano ancora 66.585 detenuti, con un tasso di sovraffollamento del 148%.
Si tralasciano altresì le imperversanti polemiche circa l`asserita finalizzazione del nuovo indulto a beneficio dell’ex premier in quanto, pur essendo lo scrivente al di fuori dei partiti, qualsiasi sua obiettiva considerazione al riguardo, positiva o negativa, sarebbe interpretata come a sostegno politicizzato dell’una o dell’altra tesi. Orbene, evidentemente per aderire all’invito della Cedu di ovviare alla situazione entro l’anno e per evitare all’Italia nuove condanne, un nuovo provvedimento di amnistia ed indulto sarebbe l’unica soluzione possibile in attesa della realizzazione di nuovi istituti carcerari, che non potrebbe avvenire in così breve termine: infatti, l’altro rimedio, quello del differimento dell’esecuzione della pena di cui all’articolo 147 del codice penale fu dichiarato in questo mese di ottobre inammissibile dalla Corte costituzionale, sia perché tale norma non prevedeva il differimento per sovraffollamento delle carceri, sia per non avere detta Corte poteri legislativi. D’altra parte, esso sarebbe stato infruttuoso ove non si fosse rimediato definitivamente al continuo sovraffollamento. Ma l’altro aspetto che qui principalmente interessa è che dal 1948 al 2006 i provvedimenti di amnistia e/o indulto sono stati oltre 20, ed appena un anno dopo l’indulto del luglio 2006, già il 21% circa degli oltre 26.000 scarcerati erano ritornati in galera per nuovi reati: il che dimostra che tali benefici furono perfettamente inutili, e ciò non solo al fine di sfollare le carceri, ma soprattutto a quello del recupero della legalità. Quindi, anziché adeguare le carceri alle esigenze di giustizia, è avvenuto ed avviene il contrario, adeguando tali esigenze alla capienza carceraria: e lo stesso vale per gli organici della magistratura, che non sono mai stati rapportati al gran numero dei procedimenti (anzi non al loro numero, ma a quello degli inquisiti e imputati), donde la lungaggine dei processi e le conseguenti prescrizioni. Ne deriva una palese contrasto con gli inderogabili principi della certezza del diritto e della pena, il che ha comportato una progressiva decadenza della legalità, in quanto il rispetto di essa dovrebbe essere assicurato dalla certa ed adeguata sanzione delle sue violazioni. E ciò in paradossale contrasto con le pene della mafia e della delinquenza comune che sono gravissime, non modificabili ed immediatamente eseguite.
Del resto, proprio gli anzidetti benefici sono indici di tale decadenza, atteso che, nonostante essi, è aumentato progressivamente il numero dei reati e dei detenuti, colmando sempre il “provvisorio” svuotamento delle carceri: laddove occorreva contrastare il sempre maggiore dilagare della criminalità aggravando le pene per i reati più frequenti e rendendole tempestive ed ineludibili. Quindi, per spiegare ancora una volta in prosa la poesia del diritto, nell’ attuale Stato di diritto esistono dei reati “temporanei”, eliminabili o rendibili inefficaci di volta in volta con l’amnistia e l’indulto. E l’origine di tali termini è “dimenticanza”, “remissione” (dal greco amnestia) per il primo e “placarsi”, “perdonare” (dal latino indulgere, indultum) per il secondo: quindi, l’Italia è uno Stato indulgente che rimette i reati?

* magistrato

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