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Calunnia, perché Cisterna è stato assolto

REGGIO CALABRIA Nel motivare l’assoluzione del magistrato Alberto Cisterna per il reato di calunnia e la contestuale bocciatura dell’opposizione all’archiviazione dell’esposto presentato dall`ex nu…

Pubblicato il: 22/10/2013 – 16:37
Calunnia, perché Cisterna è stato assolto

REGGIO CALABRIA Nel motivare l’assoluzione del magistrato Alberto Cisterna per il reato di calunnia e la contestuale bocciatura dell’opposizione all’archiviazione dell’esposto presentato dall`ex numero due della Dna contro il funzionario di polizia, Luigi Silipo, il gup Barillà è netta. La vicenda in esame è limitata a quell’informativa redatta dall’ex dirigente di una sezione della Mobile reggina, oggi trasferito a Torino, Silipo, che presentava una serie di alterazioni, per la Procura «attinenti ad aspetti marginali e prive di dolo», per Cisterna – che le ha denunciate con un esposto – di natura dolosa, perché lo avrebbero immediatamente scagionato dalle accuse che all’epoca gli venivano contestate.

«NESSUN APPROFONDIMENTO DEL PROCEDIMENTO
PER CORRUZIONE ARCHIVIATO»
Sono queste – ripete la Barillà nel corso delle oltre 150 pagine di motivazioni – le circostanze in esame, e nulla devono avere a che fare con quel procedimento a carico dell’ex numero due della Dna – poi archiviato su richiesta della stessa Procura che lo aveva istruito –, scaturito dalle accuse di corruzione che contro di lui l’ex collaboratore Nino Lo Giudice, detto il “Nano”, aveva affidato a un memoriale, oltre i 180 giorni durante i quali i pentiti sono obbligati a mettere nero su bianco tutto quello che è a loro conoscenza. E nell’esaminare ogni singola alterazione denunciata da Cisterna e difesa nel corso del procedimento dal pm Centini – che, assieme all’aggiunto Ottavio Sferlazza, ha chiesto l’archiviazione dell’esposto dell’ex numero due della Dna e il suo contestuale rinvio a giudizio per calunnia – la Barillà ricorda che si tratta di un nodo che «non si reputa di dovere risolvere o sostenere in questa sede, in cui non è dato rivisitare o approfondire in alcun modo gli esiti del procedimento 4291111 RGNR definito, su input della Procura di Reggio Calabria, con provvedimento di archiviazione di cui non si ha ragione alcuna, tanto più ai limitati fini dell`angolo visuale dell`oggetto del presente procedimento, di rivisitarne gli elementi approfonditi».

L’INTERCETTAZIONE SCOMPARSA
Nell’esaminare l’intercettazione fra Antonino Spanò e Luciano Lo Giudice – pizzicati a lamentarsi dell’impossibilità di avere contatti con Cisterna – scomparsa nell’informativa redatta da Silipo, ma presente in quella depositata lo stesso giorno da un collega del funzionario appartenente a un’altra sezione della Mobile, il gup, pur sottolineando che in ottica investigativa quella conversazione avrebbe potuto avere «risvolti di conferma al costrutto accusatorio», sottolinea quella che definisce una  «riflessione, ex post dovuta, che comunque anche tale intercettazione (per quanto dal contenuto ambivalente e come tale senz`altro di portata anche favorevole alle ragioni dell`accusa), unitamente all`intero compendio investigativo del proc. 4291/11 RGNR, non ha consentito sinora l`accesso ad un giudizio penale di responsabilità per quei fatti (certamente valutabili in sede disciplinare come avvenuto), essendosi, lo si deve ribadire, giunti, su richiesta della Procura, ad un`archiviazione per il procedimento penale 4291/11 RGNR e non ad un accertamento anche solo funzionale ad affermare la responsabilità penale per qualcuno di quegli addebiti, sia pure per assenza di riscontri su un unico e limitato profilo quello corruttivo in senso stretto di effettiva non dimostrata dazione di un`ingente somma di denaro dal Luciano Lo Giudice al Cisterna».

NESSUN DOLO, MA CISTERNA AVEVA IL DIRITTO DI DIFENDERSI
E se il gup sembra sposare l’ipotesi della Procura nel ritenere «prive di dolo» le varie alterazioni che quel documento finito agli atti di vari processi presenta, allo stesso modo – sottolinea – «la ratio scriminante non può tradursi – occorre ribadirlo – in un`automatica imputazione di calunnia a carico dell`odierno accusato, che correttamente evidenzia quanto la ricostruzione investigativa abbia pesato anche nell`idea che i destinatari (non tutti e non solo interessati alla vicenda in termini di accertamento penale) di tale rapporto si siano potuti creare, sicché anche la più insignificante delle imprecisioni (magari nell`ottica investigativa pure sostanzialmente ininfluente nel panorama molto più ampio delle ulteriori circostanze emerse, che tuttavia, va detto, per quanto qualificate non sono state sufficienti all`incriminazione del Cisterna per il reato corruttivo) può essere rivendicata da qualsivoglia indagato (non solo un magistrato), il quale, anche in forza di un convincimento personale, come si vedrà risalente nel tempo e sempre coerente, è portato a decifrare in termini di “accanimento” a proprio carico, senza ovviamente che esista realmente un piano doloso (mai provato)».

NESSUN «PIANO DOLOSO»
Cisterna per il gup si è dunque legittimamente difeso. A parere del giudice non ci si trova davanti a un episodio di un più ampio «piano doloso». Le sviste, le puntuali fughe di notizie, ma anche le omissioni che l’ex numero due della Dna ha sottolineato nel corso del dibattimento e in passato denunciato, per la Barillà dimostrano solo un «atteggiamento costante» da parte di Cisterna, nel segno di denunciare gli investigatori che un grosso input hanno dato alle indagini, finanche con richieste di avocazione e sospetti mossi anche a carico dei magistrati inquirenti allora procedenti. È il caso – ricorda il gup – dell’esposto presentato dall’ex numero due della Dna l`8 luglio 2011, per denunciare quanto appreso dall`avvocato Maria Albanese, co-difensore del capitano Saverio Spadaro Tracuzzi, detenuto preso il carcere militare di Santa Maria Capua Vetere a causa dei suoi rapporti con Luciano Lo Giudice. Stando a quanto riferitogli dal legale, presentatosi nel suo ufficio in Dna – spiegava all’epoca Cisterna nell’esposto – Renato Cortese, all’epoca dirigente della Mobile reggina, e Stefano Russo, comandante del Ros in riva allo Stretto, «avrebbero operato svariate pressioni sullo Spadaro Tracuzzi al fine di indurlo non solo a collaborare con la giustizia (il che sarebbe senz`altro legittimo), ma principalmente a rendere dichiarazioni accusatorie a carico dello scrivente e del dott. Francesco Mollace, magistrato in servizio presso la Procura generale della Corte d`appello di Reggio Calabria. I due avrebbero affermato che sarebbero state sufficienti anche dichiarazioni de relato sul conto dei citati magistrati, ossia conoscenze che sarebbero state asseritamente provenienti dal detenuto Lo Giudice Luciano, tratto in arresto dall`autorità giudiziaria di Reggio Calabria a decorrere dal novembre 2009, nel periodo in cui questi e lo Spadaro Tracuzzi avrebbero intrattenuto contatti di vario genere».

L’EMBLEMATICO ESPOSTO CONTRO RUSSO E CORTESE
Circostanze che il gip Giovanni Caparco di Santa Maria Capua Vetere, nell’archiviare l’indagine a carico di Russo e Cortese, giustifica con un «meccanismo interpretativo dei fatti che, a prescindere dalla loro reale consistenza, ha fatto sì che si paventasse la possibile esistenza di pressioni, da parte degli investigatori, in danno del detenuto Spadaro Tracuzzi Saverio affinché rendesse false dichiarazioni a carico di altri soggetti (tra cui il dottor Cisterna)». Un allarme che a detta del gip campano si deve tanto a una distorta interpretazione dei fatti da parte dello stesso capitano «prostrato dallo stato di detenzione», tanto dalle considerazioni dell’avvocato Albanese. «Secondo quanto riferito dal predetto legale – si legge in quel provvedimento – gli atti processuali effettivamente mostravano un modo di procedere dell`Autorità giudiziaria di Reggio Calabria caratterizzato dal fare pressioni indebite sui detenuti, convinzione che la stessa ricavava allorquando, avuta copia degli atti dopo il deposito degli stessi, successivamente alla conclusione delle indagini, ebbe modo di constatare che il detenuto Luciano Lo Giudice, in alcuni dialoghi con i su
oi familiari raccontava di un episodio secondo cui il dottor Cortese si era recato a colloquio con lo stesso Luciano Lo Giudice e gli aveva preannunciato un interrogatorio e quest`ultimo aveva affermato testualmente “no io non accetto perché devo dire la verità”». Una vicenda che per il gip Caparco sarebbe stata poi chiarita «alla luce di quanto dichiarato dallo stesso Spadaro Tracuzzi nel presente procedimento, sia all`esito delle dichiarazioni rese dagli indagati dottor Cortese e tenente colonnello Russo in sede di interrogatorio», dunque meritevole di un’archiviazione, ma che per la Barillà è «emblematica».

UNA TRAPPOLA PER CISTERNA?
E il gup di Reggio sembra quasi evocare una trappola nello spiegare che da eventi come quelli relativi al procedimento contro Russo e Cortese, Cisterna «ha tratto linfa per convincersi dell`esistenza di un piano scorretto di approfondimento investigativo ai suoi danni, di cui il colloquio con l`avvocato Albanese e le prime note manoscritte dallo Spadaro Tracuzzi (poi non inoltrate dal detenuto) costituiscono un illuminante esempio, volto magari a trascinare anche il Cisterna dalla parte di coloro che la tesi accusatoria dovevano contrastare nel tentativo di “condividerne” la battaglia (reputata più forte se adesiva alle ragioni di un magistrato di qualificata collocazione), in un piano di delegittimazione immanente e costante dell`operato degli inquirenti, a cui il Cisterna non ha opposto grandi resistenze (anzi che ha via via e sempre più abbracciato in un crescendo di cui l`esposto dell`odierna contestazione costituisce un mero passaggio), sulla scorta di fatti di vita realmente accadutigli, con scelta etica (da magistrato nell`esercizio delle funzioni) che qui si può non apprezzare, ma che non può essergli rivoltata contro come elemento solido di accusa in assenza di prove, lo si ribadisce certe, di mistificazione di quei fatti e per quello che allo stato è dato sapere».

IL PENSIERO «QUASI OSSESSIVO»
SULL’OSTILITÀ DEGLI INQUIRENTI
Una condotta che la Barillà non sembra condividere, ma di cui comprende e spiega la dinamica interna: «In questo contesto accade, sia pure in un`ottica che qualsivoglia indagato (forse ci si sarebbe aspettato diversamente da un magistrato) avrebbe verosimilmente “galoppato”, alle volte anche per molto meno, che egli si convinca (più o meno maliziosamente, come è dato dubitare per qualunque accusato) della tesi di un complotto (o in altri termini di una diffusa malevolenza ai suoi danni con ragioni più recondite e di un accanimento inquisitore), atteggiamento ostile che non trova alcun fondamento in atti, ma che ai suoi occhi è continuamente alimentato da questi “singolari” (ed anche ambigui) episodi capitatigli, che ancorché additabili a sospetto non sono raggiunti sinora da specifico accertamento che ne sancisca la simulazione con il concorso o la consapevolezza pure dell`odierno imputato». Un atteggiamento che, a detta del gup, avrebbe portato Cisterna a maturare un pensiero «quasi ossessivo» relativo a «una certa rigidità o inflessibilità (“cattiveria” dirà il dottor Pennisi secondo Silipo e con indicazione dal Pennisi non sconfessata) nei giudizi a lui riservati, che lo ha portato sin da poco dopo l`inizio di questa vicenda ad inasprire i toni con atteggiamento via via acuitosi in fase più recente, come l`esposto qui incriminato, che, nel solco di quel crescendo si colloca, dimostra».

LE RAGIONI DELL’ASSOLUZIONE
Un’analisi storica, psicologica e comportamentale del vissuto ultimo di Cisterna, di cui il gup Barillà si dice incapace – allo stato – di trarre le conclusioni, rimandando al tempo la soluzione dell’enigma. Sottolinea, infatti il giudice, che «solo nel futuro potrà comprendersi se questo sia il progetto di un personaggio ambiguo che si è prestato consapevolmente ad alimentare ed a nutrirsi di tale atteggiamento appartenente a svariati soggetti che in quell`inchiesta hanno avuto differenti ruoli (accusati, loro avvocati, pentiti ecc.) oppure di un magistrato di indubbia fama ed, all`epoca della vicenda, in posizione di qualificato potere, nonché all`apice di una carriera ancora più promettente, che una volta smascherato nelle sue “abitudini” non del tutto adamantine o ortodosse (perché di delitti per quelle vicende “comprovati”, allo stato, non si può discutere) si sia immesso in un tunnel più perverso, o ancora di un soggetto fortemente deluso ed amareggiato da tali evenienze al punto da imbastire battaglie legali di non poco momento ai danni di tutti coloro che ha reputato suoi detrattori (dinanzi a fatti equivoci, errori su aspetti marginali ma poi effettivamente accertati, trascrizioni dubbie), attacchi che egli ha restituito, nella sua visione del caso così come ispirata da riferimenti ad episodi concreti di vita, con reazioni senza esclusioni di colpi, grazie alla collaborazione raccolta da più parti e proveniente dai più disparati ambiti». Valutazioni che comunque – ribadisce il gup – nulla hanno a che fare con il procedimento in esame, all’esito del quale il giudice «può riconoscergli quanto meno il beneficio del dubbio, di avere cioè di fronte agli errori (addotti a falsità) attribuiti al Silipo (ed effettivamente dall`investigatore, per quanto senza dolo ed in termini di mera svista, commessi nella maggior parte dei punti sopra citati) e con l`angolo visuale proiettato ovviamente solo alle risultanze di questo procedimento creduto di essere vittima dell`ennesimo irrigidimento ai suoi danni finalizzato a danneggiarlo». È questo il canone interpretativo che ha spinto il gup ad assolvere Cisterna dall’accusa di aver calunniato Silipo, come pure a respingere l’opposizione dell’ex numero due della Dna all’archiviazione dell’esposto nei confronti del funzionario.

«INDAGATE SU PENNISI E SILIPO»
Un’ultima parte del provvedimento, il gup Barillà la riserva alle motivazioni che sostengono la decisione di trasmettere gli atti in Procura, relativamente alle dichiarazioni del funzionario di polizia, Luigi Silipo, e del procuratore della Dna, Roberto Pennisi che – prima in un memoriale, quindi nel corso del procedimento – aveva rivelato che in occasione di un casuale incontro con Silipo all’aeroporto di Roma, il funzionario gli avrebbe rivelato le pressioni ricevute nel corso delle indagini su Cisterna. Una versione smentita da Silipo anche nel corso di un tesissimo confronto con il magistrato in sede di udienza preliminare, che però non è riuscito a sciogliere i dubbi del gup, per il quale «si tratta di due uomini delle Istituzioni, già fianco a fianco in postazioni operative, proprio qui, in questo complesso territorio di trincea dal punto di vista della battaglia al crimine, nelle passate inchieste coordinate dalla locale Direzione distrettuale antimafia, la qual cosa ha condito di inevitabile tensione e di elevata carica umana le deposizioni e il confronto, nonché ha arricchito di difficoltà la valutazione del loro narrato». Pur non ritenendosi in grado né competente a valutare i profili emersi nel corso del confronto, la Barillà sottolinea che se da una parte la decisione di Silipo di approcciare Pennisi «depone per una serenità che mal si concilia con la presunta confessione resa», dall’altra non può escludersi «un passo obliquo da parte del dirigente di Polizia volto comunque a “mettere una toppa” con i magistrati in evidente posizione di prestigio vicini all`accusato, a cui si sovrapporrebbe un contegno remissivo rispetto alle “recriminazioni” del Pennisi lasciate cadere e poi scivolate verso presunte “responsabilità” superiori nel corso dell`accettato passaggio in automobile (e francamente sfugge per quale ragione, dopo i rimproveri subiti al limite dell`infamia)». Ma dal gip, considerazioni ambivalenti arrivano anche su Roberto Pennisi «la cui storia giudiziaria – si legge nelle motivazioni – parla da sola quanto a credibilità e rispettabilità all`interno del ordinamento giudiziario, però – nel caso di specie – si presta a due osser
vazioni. In primo luogo il suo racconto di questo episodio è tardivo, in via che induce una legittima suspicione sull`accaduto secondo parametri e criteri ordinari di giudizio». In secondo luogo, per il gup rimane in campo l’ipotesi che «il dato “sono stato costretto”, ove comprovato, non sia stato mai prima d`ora divulgato, perché, per la sua intrinseca ambiguità in assenza di maggiori particolari, sia stato reputato troppo debole e sfornito di capacità dimostrativa concreta anche da parte dei suoi ricettori e come tale non idoneo a costituire un serio ed effettivo “vulnus” all`impostazione accusatoria, che in quella sede si aveva motivato interesse a contrastare». Tutti nodi che ad altri giudici toccherà sciogliere per valutare l`ipotesi di falsa testimonianza a carico dell`uno o dell`altro dei deponenti, ordina il gup, che si concede alla fine un’annotazione: «Per quel che qui rileva, il contributo dichiarativo di Pennisi Roberto, anche al di là della sua tardività, per la sua intrinseca genericità non consente di aggiungere alcunché a quanto dallo stesso Cisterna più volte affermato: lo so cos`è successo, ma non posso provarlo, come diceva Emile Zola, non lo posso provare». In sintesi, per la Barillà, «si tratta dunque di “fango” e “accuse” che, in assenza di connotati specifici ed eventuali prove o indizi, non possono essere in alcun modo avallate e non consentono di rintracciare un qualche comportamento illecito a carico degli inquirenti». (0050)

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