Ultimo aggiornamento alle 14:11
Corriere della Calabria - Home

I nostri canali


Si legge in: 5 minuti
Cambia colore:
 

Dia, sequestro per 325 milioni a un imprenditore della Piana

REGGIO CALABRIA Per decenni si sarebbero serviti di fatture per operazioni inesistenti, di indebite percezioni di contributi comunitari per la produzione di olio d’oliva, di agevolazioni fiscali e …

Pubblicato il: 07/11/2013 – 7:16
Dia, sequestro per 325 milioni a un imprenditore della Piana

REGGIO CALABRIA Per decenni si sarebbero serviti di fatture per operazioni inesistenti, di indebite percezioni di contributi comunitari per la produzione di olio d’oliva, di agevolazioni fiscali e artifizi contabili per accumulare un patrimonio, ma l’epoca d’oro di almeno uno dei re dell’olio d’oliva calabrese è finita. Su proposta del capo della Dia, Arturo De Felice, avallata dal Tribunale di Reggio Calabria, sono scattati i sigilli sull’immenso patrimonio di Vincenzo Oliveri – villese di nascita ma radicato nella Piana -, che a forza di truffe sui contributi comunitari avrebbe costruito un impero. Case, ville, alberghi, terreni, automezzi, titoli, disponibilità finanziarie aziendali e personali, società attive tanto nel settore agricolo come in quello alberghiero e della ristorazione in Calabria, Abruzzo ed Emilia Romagna – tutte riconducibili alla famiglia Oliveri – sono state poste sotto sequestro. Tutte quante erano finite nel mirino degli uomini della Dia, nell’ambito della continua attività di monitoraggio capitali e imprese con cui si punta a stanare i patrimoni mafiosi. «Nonostante non ci sia evidenza di contatti con la `ndrangheta, il patrimonio di Oliverio è frutto di proventi illeciti – ha detto visibilmente soddisfatto il  comandante della Dia reggina, il colonnello Gianfranco Ardizzone – e la normativa oggi ci permette di sequestrarlo in via cautelare. Lo Stato da  vent’anni combatte con questi signori».

Il gruppo Oliveri e i Tribunali, una battaglia lunga 20 anni
Fin dagli anni ’80, coinvolto  in numerosi procedimenti penali per la commissione di reati associativi finalizzati alla truffa aggravata, frode in commercio, emissione ed utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti strumento prediletto per ottenere indebitamente i contributi Aima (ora Agea), erogati nel settore agricolo, per la produzione, lavorazione e commercializzazione dell’olio d’oliva, Olivieri – grazie a provvidenziali assoluzioni o prescrizioni del reato – per lungo tempo è riuscito a dribblare misure di natura patrimoniale.
Solo nel 2010, per ordine del gip di Palmi su richiesta della Procura, è stato arrestato insieme al padre e al fratello per associazione a delinquere, truffa aggravata ed altri reati tutti relativi all’indebita percezione di contributi erogati ai sensi della legge 488. Uno strumento concepito per stimolare lo sviluppo nel Mezzogiorno ed in altre aree depresse del Paese, grazie alla concessione di contributi, in parte a fondo perduto, ma che agli Oliveri di fatto servivano solo per aumentare il capitale sociale di altre imprese a loro riconducibili, tali da renderle in grado di percepire nuovi contributi. Quei fondi della 488, nelle intenzioni del legislatore necessari  a rilanciare lo sviluppo del Sud, per il gruppo Oliveri erano dunque solo un ingranaggio di un meccanismo finanziario destinato a accumulare rendite. Tutte evidenze in base alle quali, all’epoca, il Tribunale di Palmi aveva disposto il giudizio per i tre e il sequestro penale di beni per 18 milioni di euro riconducibili al gruppo, corrispondenti ai contributi illecitamente percepiti.

Gli accertamenti della Dia
Oggi, grazie all’iniziativa della Dia, si fa un passo oltre: l’intero patrimonio degli Oliverio – sostengono gli uomini del colonnello Ardizzone – è stato costruito grazie a proventi illeciti e che non trovano riscontro nelle dichiarazioni dei redditi presentati negli anni dai vari membri della famiglia, dunque è possibile sequestrarlo interamente. Confrontando redditi e capacità di investimento – hanno svelato le indagini del personale del Centro Operativo Dia di Reggio Calabria – all’appello mancherebbero oltre 21 milioni di euro che la famiglia avrebbe “dimenticato” di dichiarare, inoltre dal `96 in poi, le aziende del Gruppo Oliveri hanno ottenuto finanziamenti pubblici per oltre 85 milioni di euro, cui occorre aggiungere le ulteriori ed ingenti somme erogate dall’Agenzia per le Erogazioni in Agricoltura (Agea – ex Aima), pari a 15, 5 milioni di euro, di cui ha direttamente beneficiato tanto il patron Vincenzo, come il suo nucleo familiare. Tutti elementi sottoposti al vaglio del Tribunale di Reggio, che «in soli dieci giorni» – ci ha tenuto a precisare Ardizzone – ha ritenuto «convincente» la ricostruzione proposta dagli uomini della Dia e ha disposto il sequestro. Per i giudici reggini, Vincenzo Oliveri è «un imprenditore che attraverso le sue società – emettendo o ricevendo fatture fittizi – ha ottenuto indebitamente in modo costante e ripetuto nel tempo, per un verso consistenti risparmi di imposta, e per altro verso cospicui contributi pubblici, riuscendo in tal modo a costruire realtà aziendali nel settore oleario ed immobiliare che altrimenti, ossia nel rispetto della legalità, non avrebbero raggiunto». Ed è proprio sulla base di tali considerazioni che il Tribunale ha identificato il re dell’olio come «abitualmente dedito a traffici delittuosi e comunque soggetto che vive anche in parte con i proventi di attività delittuose» dunque passibile di una misura cautelare come il sequestro dell’intero patrimonio.

La Dia chiama, Teramo non risponde
Un successo per la Dia reggina, che oggi però festeggia a metà. «Oggi ci accontentiamo di sequestrare metà dell’impero del gruppo Oliveri, ben coscienti che si tratta di uno dei più grossi sequestri messi a segno in Calabria». Nel mirino degli uomini del colonnello Ardizzone è finito infatti il patrimonio di tutta la famiglia Oliveri, incluso quello del fratello di Vincenzo, da tempo trasferito a Teramo, per il quale era stata proposta  la medesima di misura al Tribunale competente per territorio. «I giudici di Teramo hanno respinto la nostra richiesta, sostenendo che ricalcasse quella presentata dalla Guardia di Finanza in sede penale e si è conclusa con il sequestro di 18 milioni di euro. Per il tribunale la nostra sarebbe stata una sorta di duplicazione», ha spiegato il colonnello Lentini. Una sentenza contro la quale il pm incaricato ha fatto ricorso, rimettendo la decisione nelle mani dei giudici della Corte d’Appello di L’Aquila, chiamati a decidere il prossimo 15 novembre. «Pur nel massimo rispetto delle sentenze e della magistratura – ha premesso il colonnello Ardizzone – ci auguriamo, anche alla luce del provvedimento del Tribunale reggino, i giudici di secondo grado ribaltino la decisione».

Argomenti
Categorie collegate

Corriere della Calabria - Notizie calabresi
Corriere delle Calabria è una testata giornalistica di News&Com S.r.l ©2012-. Tutti i diritti riservati.
P.IVA. 03199620794, Via del Mare, 65/3 S.Eufemia, Lamezia Terme (CZ)
Iscrizione tribunale di Lamezia Terme 5/2011 - Direttore responsabile Paola Militano
Effettua una ricerca sul Corriere delle Calabria
Design: cfweb

x

x