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Tre affiliati al clan Pesce beccati grazie alle chat

ROSARNO Associazione di tipo mafioso, porto e detenzione illegale di munizioni, di armi comuni da sparo e di armi da guerra e tentato omicidio aggravato: sono questi i reati, tutti aggravati da fin…

Pubblicato il: 07/11/2013 – 7:31
Tre affiliati al clan Pesce beccati grazie alle chat

ROSARNO Associazione di tipo mafioso, porto e detenzione illegale di munizioni, di armi comuni da sparo e di armi da guerra e tentato omicidio aggravato: sono questi i reati, tutti aggravati da finalità mafiose che hanno fatto scattare le manette per tre persone ritenute affiliate alla cosca Pesce, operante a Rosarno. Nei loro confronti, i carabinieri del Ros e del Comando provinciale di Reggio Calabria hanno eseguito un decreto di fermo di indiziato di delitto, emesso dalla locale Direzione distrettuale antimafia. L’operazione è stata denominata “Lupus in fabula”.
I tre indagati sono, altresì, accusati di tentato omicidio aggravato dalle modalità mafiose e della detenzione e porto in luogo pubblico di micidiali armi da guerra, tra cui un fucile kalashikov, una pistola semiautomatica Glock, una pistola automatica Uzi, con relativo munizionamento. Alcune di queste armi sono state artatamente manomesse per aumentarne la potenzialità offensiva. I tre fermati sono gravati da precedenti penali e hanno rapporti di parentela con affiliati alla cosca Pesce: Biagio Arena, 31 anni, è figlio di Domenico Arena (59 anni) pluripregiudicato, ex latitante, attualmente detenuto e già condannato per appartenenza alla cosca Pesce, con sentenza della Corte d’Appello di Reggio Calabria del 22.2.2013, nelle forme del rito abbreviato, alla pena di anni 8 di reclusione, nell’ambito nell`ambito del processo “All inside”. Sia Biagio Arena che il cugino Rosario Rao, inoltre, sono nipoti del boss detenuto Vincenzo Pesce, inteso `U pacciu, ritenuto esponente apicale della cosca e attualmente detenuto in regime di 41 bis, già condannato dalla Corte d’Appello di Reggio Calabria, il 22.2.2013, nelle forme del rito abbreviato, a 16 anni di reclusione, nell’ambito del processo “All inside”. Vincenzo Cannatà ha parentele comuni con Saverio Marafioti (48 anni), ritenuto il bunkerista della cosca Pesce, attualmente detenuto nell’ambito del processo “Califfo”, in corso di svolgimento al Tribunale di Palmi, e Antonio Pronestì (già condannato, con sentenza di patteggiamento, alla pena di anni 1 mesi 8 di reclusione per aver favorito il reggente della cosca, Francesco Pesce, 34 anni, inteso Cicciu ’u Testuni. Così come per le altre operazioni effettuate nell’ultimo triennio su Rosarno, volte a disarticolare la potente e egemone cosca di `ndrangheta prezioso si è rivelato il contributo reso dalla collaboratrice di Giustizia Giuseppina Pesce. Le indagini si basano sull’applicazione di una nuova tecnologia, grazie alla quale è stato possibile eseguire l’intercettazione delle sessioni di chat tra smartphone. Gli indagati avevano scelto di utilizzare proprio quel tipo di comunicazione, credendo di poter interagire in maggiore sicurezza e non essere intercettati. Nel corso dei messaggi scambiati per via telematica da Arena, Rao e Cannatà, gli investigatori sono riusciti a captare, in diretta, le immagini relative alla cessione di una mitragliatrice tipo “Uzi” e di una pistola semiautomatica marca “Glock”, appositamente modificata per esplodere colpi a raffica. (0050)

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