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«Raso agì per interesse privato» Ecco il perché della condanna

Che l’ex assessore al Patrimonio edilizio del Comune di Reggio Calabria, Michele Raso, fosse uno degli strenui difensori della famiglia è cosa nota. Quello che è toccato spiegare al Tribunale di Re…

Pubblicato il: 26/11/2013 – 6:58
«Raso agì per interesse privato» Ecco il perché della condanna

Che l’ex assessore al Patrimonio edilizio del Comune di Reggio Calabria, Michele Raso, fosse uno degli strenui difensori della famiglia è cosa nota. Quello che è toccato spiegare al Tribunale di Reggio Calabria è che almeno in un caso la famiglia che – più che difendere – Raso ha favorito è stata la sua. L’ex assessore è stato infatti condannato a due anni di reclusione con pena sospesa per aver indebitamente assegnato un alloggio popolare alla cognata Silvia Cagnolo, anche lei condannata alla medesima pena. «Raso Michele – si legge infatti nella sentenza emessa dal Tribunale presieduto dal giudice Andrea Esposito, con Matteo Fiorentini a latere – ha certamente agito per far fronte all’interesse privato della cognata che – consapevole dell’illegittimità per essere stata precedentemente esclusa dall’aggiudicazione ed avendo richiesto ed ottenuto aliunde l’aiuto dell’assessore – ha usufruito dell’assegnazione entrando nel possesso del bene immobile».
Una pronuncia che risale all’aprile scorso, ma fino ad oggi rimasta sconosciuta ai più, messa in sordina dalle gravissime condotte di politici e amministratori che hanno determinato lo scioglimento del Comune per contiguità mafiose, ma che rappresenta l’ennesima fotografia deteriore di una città e della sua amministrazione. Nonostante non coinvolga nessun altro rappresentante della giunta dell’epoca, il procedimento rivela infatti che la linea difensiva assunta dall’ex sindaco di Reggio, Giuseppe Scopelliti, quando è esploso lo scandalo Fallara, oggi tracimato in un procedimento che lo vede imputato, era già stata testata in passato. Anche quando l’assessore Raso ha generosamente assegnato la casa alla cognata, Peppe Scopelliti «firmava carte che non leggeva».  
Tutte circostanze ricostruite dal pm Sara Ombra, che nell’ambito di un’indagine mirata ad accertare eventuali irregolarità nella  procedura di aggiudicazione degli alloggi popolari, ha scoperto una curiosa assegnazione di cui per diversi anni ha beneficiato Silvia Cagnolo, cognata dell’ex assessore. La donna –  che in passato aveva già presentato senza esito una richiesta di alloggio popolare ed era stata esclusa dall’aggiudicazione perché risultata  847ma in graduatoria – ha infatti beneficiato di una provvidenziale assegnazione “fuori bando”. Un provvedimento di assegnazione provvisoria ed urgente, giustificato dalle precarie condizioni – si spiegava nell’atto – della richiedente, che all’epoca risultava destinataria di “una intimazione di sfratto”, dimorante in alloggio “in precarie condizioni di stabilità” e con due figli “minori in una fase delicata della loro crescita” a carico. Peccato però che – all’esito delle indagini – nulla di tutto ciò risulterà vero. «È infatti incontestabilmente emerso – scrive il Tribunale –  che nei confronti della medesima  era stato intimato dal proprietario solo verbalmente di lasciare l’appartamento, senza che lo stesso (sig. Cardea) avesse intrapreso alcuna azione giudiziaria per il rilascio dell’immobile locato». Inoltre, lungi dal presentarsi in “precarie condizioni di stabilità”, quel palazzo – come affermato da un verbale della polizia municipale, sottoscritto dalla stessa Cagnolo – risultava in “buono stato”. «Parimenti, è ictu oculi evidente – aggiungono i giudici – che i figli dell’imputata (Triglia Atonia Maria e Triglia Felice Davide) non erano minorenni alla data del provvedimento di assegnazione, come emerge dalla mera lettura delle date di nascita». Sarà lo stesso amministratore – interrogato dagli inquirenti  in 13 ottobre del 2010 – ad ammettere – candido – di aver redatto personalmente il testo del provvedimento di assegnazione provvisoria e urgente, in seguito sottoscritto dall’allora sindaco Giuseppe Scopelliti, pur in assenza di nuova domanda della cognata, che all’epoca si sarebbe  limitata a lamentarsi della mancata assegnazione dell’alloggio con procedura ordinaria, riferendogli le circostanze – false – poi riportate  per giustificare il provvedimento. Per lui – tenterà di giustificarsi Raso di fronte ai pm – si trattava di una “richiesta di aiuto”  della cognata “presa dal panico” – si legge letteralmente negli atti –  perché impossibilitata a pagare il canone di locazione dopo la separazione dal marito.  
«Nella fattispecie in esame, è certo ravvisabile – scrivono i giudici –  una violazione del dovere di astensione del pubblico ufficiale in presenza di un palese interesse della cognata (affine di secondo grado) Cagnolo Silvana (nonché delle correlate norme di legge e di regolamento che lo prescrivono) nella condotta di Raso Michele, il quale, per sua stessa ammissione (cfr. verbale di interrogatorio reso in data 13.10.2010), ha redatto il testo del provvedimento di assegnazione poi sottoscritto dal sindaco». Parimenti, sarebbe responsabile la donna che avrebbe falsamente attestato quelle “condizioni di estrema difficoltà” poi servite per giustificare il provvedimento.
Una situazione imbarazzante tanto per l’allora assessore, quanto per l’allora primo cittadino e attuale governatore Giuseppe Scopelliti, “salvato” dalle giustificazioni che in sede di interrogatorio Raso si è affrettato a dare, sottolineando che «le proposte da lui sottoposte  – si legge in sentenza – venivano firmate senza alcun vaglio, sussistendo, in proposito, estrema fiducia da parte del primo cittadino, il quale si limitava a recepire e sottoscrivere le proposte vagliate ex ante dall’assessore e dal dirigente preposto».  
Sono questi i motivi per cui tanto l’ex assessore, come la cognata, Silvana Cagnolo sono stati ritenuti colpevoli  dell’abuso, compiuto “in esecuzione di un medesimo disegno criminoso (l’illegittima assegnazione dell’alloggio)”, e “inducendo in errore il Sindaco di Reggio Calabria che firmava il provvedimento”. Anche allora Peppe Scopelliti firmava atti che non leggeva.

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