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OPERAZIONE INSULA | Una storia «incredibile»

ISOLA CAPO RIZZUTO Gli uomini del clan Arena dovrebbero essere atterriti quando la loro terra – quella che è stata faticosamente confiscata dallo Stato, dopo anni di battaglie legali – passa nelle …

Pubblicato il: 03/12/2013 – 17:15
OPERAZIONE INSULA | Una storia «incredibile»

ISOLA CAPO RIZZUTO Gli uomini del clan Arena dovrebbero essere atterriti quando la loro terra – quella che è stata faticosamente confiscata dallo Stato, dopo anni di battaglie legali – passa nelle mani del Comune di Isola Capo Rizzuto, guidato da un sindaco antimafia come Carolina Girasole. Eppure non sono affatto preoccupati. Sono contenti che sia il potere locale a gestire quel terreno sul quale hanno piantato finocchi. E lo sono perché credono che l’amministrazione comunale farà di tutto per evitare che perdano il loro profitto. Hanno perfettamente ragione: è esattamente quello che accade. Ed è «incredibile», come scrive per quattordici volte il giudice per le indagini preliminari Abigail Mellace nell`ordinanza di custodia cautelare. Incredibile che quel terreno resti per anni nelle mani di chi non dovrebbe gestirlo. Incredibile che il Comune non si preoccupi di sottrarlo al controllo mafioso. Incredibile che nasca una gara – quella per la raccolta dei finocchi piantati su quella terra – decisa in partenza e a condizioni totalmente sbilanciate a favore dei privati che se l’aggiudicheranno, cioè gli Arena. Incredibile che una parte di quei finocchi finiscano, a mo` di omaggio, ai congiunti dei sindaco antimafia. Tutto così incredibile da essere accaduto davvero in un fazzoletto di Calabria che si credeva (oggi sarebbe meglio dire si sperava) sottratto alle cosche grazie all’azione di un sindaco coraggioso. Nulla di tutto questo, almeno secondo il gip. Perché «la valutazione complessiva degli elementi dimostra (…) come l’incredibile accordo elettorale evocato dai fratelli Arena nelle conversazioni (…) sia realmente avvenuto». Un presunto patto tra Carolina Girasole e un clan della `ndrangheta.

L’ACCORDO ELETTORALE
L’accordo evocato emerge da alcuni colloqui intercettati dagli investigatori. Pasquale Arena, figlio del boss Nicola, è molto chiaro: «Glielo direi io come ha preso i voti». In una delle conversazioni, l’uomo sostiene che si era molto attivato per procurare voti al sindaco «facendo favori ai cristiani». Il figlio del boss commenta poi «ironicamente – è scritto nell`ordinanza di custodia cautelare – la fama mediatica di sindaco antimafia conquistata dalla Girasole mettendo in diretta relazione l`immagine pubblica della donna con l`eloquente frase «glielo direi io come ha preso i voti». Arena, stizzito, ricorda poi anche che il suo diretto interlocutore, Francesco Notaro, dipendente comunale e responsabile dell`ufficio demografico del Comune di Isola Capo Rizzuto, che gli aveva indicato la Girasole come «la persona da portare avanti» in campagna elettorale. Pasquale Arena, nella conversazione intercettata, ricorda anche che «quella notte, andando e tornando da Crotone, gli abbiamo procurato 350 voti anche con sigarette e omaggi». Lo scenario lascia a bocca aperta gli inquirenti. Quello che segue, però, è addirittura peggio. Perché da presunto accordo deriverebbe «la successiva “messa a disposizione” del sindaco Girasole, che, infatti, nel momento in cui era chiamata a svolgere, con rigore e imparzialità,  le sue funzioni nell’interesse della collettività e a dare un primo, vero tangibile segno della volontà dei  cittadini di Isola di ribellarsi a quel giogo mafioso che per anni li ha oppressi, ha abdicato completamente al proprio ruolo e, a dispetto di tanti proclami mediatici, ha permesso alla criminalità organizzata di conseguire i suoi obiettivi e di dettare, ancora una volta, le sue leggi».

IL TERRENO CONFISCATO DAL CLAN
Gli Arena volevano avere quel terreno e volevano i profitti prospettati dalla semina dei finocchi (e dalla loro vendita). Hanno ottenuto tutto. Eppure avrebbero potuto perderla, questa battaglia. Su quell’area confiscata, il Comune avrebbe potuto decidere di operare una frangizollatura: la risistemazione del terreno per prepararlo a nuove coltivazioni. Sarebbe stato necessario, però, cancellare i finocchi piantati fino a quel momento. Fino a quando è la Prefettura a gestire la pratica, i figli del boss hanno paura di veder svanire l’investimento. Quando entra in gioco il Comune, però, le cose si sistemano. Lo provano le conversazioni registrate negli ultimi mesi del 2010. E un incontro (del quale gli investigatori documentano le conseguenze, nei dialoghi tra gli Arena) nel corso del quale «il sindaco Girasole conferma all’Arena che i terreni sequestrati non sarebbero stati frangizollizzati». Per il gip «non può non essere assolutamente allarmante, oltre che deprecabile, il solo fatto che il primo cittadino di un Comune da sempre soffocato da anni dal potere mafioso comunichi, con tempestività, proprio a un noto esponente della famiglia che da sempre incarna tale potere e alla quale per tale motivo sono stati confiscati i terreni affidati alla gestione pubblica, le decisioni assunte in merito agli stessi fondi, corredando tale  inopportuna informazione anche con un “fraterno consiglio”». È, per il magistrato, una conseguenza del «sostegno ricevuto in campagna elettorale», sostegno che avrebbe «privato il sindaco Girasole dell’autorità necessaria per assumere decisioni contrarie alle aspettative mafiose dei soggetti da cui era stata appoggiata». Quando il Comune riceve il terreno dall’Agenzia nazionale dei beni sequestrati, gli Arena lo sanno praticamente in tempo reale. E ne sono sollevati. È il 3 dicembre 2010: quella lettera stempera le tensioni e prepara a un altro atto fondamentale, per le aspirazioni del clan. Il 7 dicembre il Comune invia un «atto di indirizzo al responsabile del settore patrimonio per la stesura di un bando per la raccolta dei finocchi seminati sui terreni confiscati». Le piante non saranno distrutte. Gli Arena potranno organizzarsi per partecipare (di certo non direttamente) alla gara e vincerla attraverso un prestanome (come effettivamente succederà). E pure per guadagnarci un pacco di soldi (gli inquirenti calcolano che si sia trattato di circa un milione di euro). Perché «secondo quanto emerso dalle indagini, un ettaro di finocchio, all’epoca, veniva  trattato mediamente a 15.000 euro, laddove invece per lo stesso ettaro il prezzo base fissato nel bando di gara era 350-500 euro». Una sproporzione che al gip sembra l’ennesimo favore fatto alla cosca: « Mai chi scrive si è imbattuta in una gara il cui importo è stato fissato dall’amministrazione comunale in maniera così arbitraria, con modalità cioè che plasticamente rilevano l’intento di favorire esclusivamente  l’arricchimento dei soggetti privati, a totale discapito del pubblico interesse». Sembrerebbe ancora una volta incredibile. Eppure è successo davvero, in uno degli avamposti dell’antimafia calabrese. (0020)

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