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"Archi-Astrea", «Lavilla e Rechichi uomini di peso del clan Tegano»

REGGIO CALABRIA Antonio Lavilla e Giuseppe Rechichi non sarebbero stati semplici prestanome del clan Tegano nell’affare Multiservizi, ma uomini di peso all’interno del clan, che nel caos provocato …

Pubblicato il: 05/12/2013 – 20:30
"Archi-Astrea", «Lavilla e Rechichi uomini di peso del clan Tegano»

REGGIO CALABRIA Antonio Lavilla e Giuseppe Rechichi non sarebbero stati semplici prestanome del clan Tegano nell’affare Multiservizi, ma uomini di peso all’interno del clan, che nel caos provocato dall’arresto di Giovanni Tegano e dall’operazione “Agathos” avrebbero sgomitato per avere un ruolo di primo piano nella catena di comando. È quanto emerge dalla deposizione dell’ex vicecapo della Mobile reggina Luigi Silipo, chiamato a testimoniare nel corso del processo “Archi-Astrea” sulle indagini sviluppate a partire dalle conversazioni – ascoltate e intercettate dalle cimici degli investigatori – fra Michele Crudo e i suoi familiari, primo fra tutti il cognato Eddy Branca.

Le inquietudini di Michele Crudo e il clan spezzato
Arrestato nell’ambito dell’operazione “Agathos”, Crudo soffre la carcerazione ma soprattutto teme i nuovi equilibri che – caduto il boss Giovanni Tegano – potrebbero determinarsi all’esterno. Genero del superboss, dietro le sbarre Crudo è un leone in gabbia. Si lamenta dell’incompetenza di Giancarlo Siciliano, principale responsabile della latitanza di Tegano, ma a suo dire incapace di gestirla. Inveisce contro lo stesso superboss, che ha sempre ignorato le sue perplessità su Siciliano. Teme le rivelazioni che Roberto Moio, nipote acquisito dei Tegano, proprio in quei mesi ha iniziato a fare agli inquirenti, teme di perdere il potere accumulato, ma soprattutto non sopporta che soggetti come Franco Benestare, anche lui genero del boss, non siano stati – almeno all’epoca – ancora toccati da indagini. Anche perché è proprio l’ascesa di Benestare che per lui rappresenta il massimo pericolo, soprattutto dopo che il giovanissimo Domenico Tegano, figlio appena maggiorenne di Pasquale, si è collocato al fianco dell’odiato rivale. Ma Benestare non è il solo ad ambire un posto ai massimi vertici del clan. Dopo il suo arresto, Antonio Lavilla e Giuseppe Rechichi iniziano a scalpitare, mentre si mostrano sordi alle “esigenze” dei detenuti. La catena di comando del clan Tegano in quei mesi è spezzata.

L’astio nei confronti di Benestare
Puntualmente informato nel corso dei colloqui in carcere dal cognato Eddy Branca, divenuto per sua investitura il suo diretto rappresentante tanto all’interno del clan quanto all’esterno, Crudo segue passo passo tutto quanto accade fuori, continua a dare ordini e a impartire direttive. E da dietro le sbarre, l’ingombrante presenza di Franco Giorgio Benestare con cui ha sempre dovuto dividere il potere riflesso che l’essere strettissimi parenti dei fratelli Tegano comporta, per lui diventa una vera ossessione. Lo accusa di essere da sempre un informatore delle forze dell’ordine, per lui sarebbe addirittura responsabile degli arresti di “Agathos” perché autore di alcune dettagliate missive che avrebbe fatto pervenire in Questura. Lettere che – stando a quanto emerso dalle intercettazioni – Crudo avrebbe quanto meno visto. Ascoltato dagli investigatori, al cognato dice infatti che erano scritte in corsivo, «uguali a quelle che mandava ai familiari dal carcere» – racconta Silipo in aula sottolineando un passaggio dell’intercettazione – e firmate con una serie di numeri. Missive su cui l’ex dirigente della Mobile, pur sollecitato sul punto dal pm Giuseppe Lombardo, non sa dire di più, ma che più e più volte saranno citate da Crudo nel corso dei suoi colloqui con il cognato.

Talpe al servizio di Branca?
Così come più volte torna l’argomento Roberto Moio. Per l’ex luogotenente dei Tegano, finito dietro le sbarre, sempre Benestare sarebbe responsabile della sua decisione di pentirsi perché per lungo tempo lo avrebbe bersagliato con minacce di morte. Ma – quasi paradossalmente – Crudo non si scaglia contro Moio. Teme che le sue rivelazioni – che nel corso dei mesi iniziano a filtrare sulla stampa e che puntualmente Branca gli riporta – possano compromettere definitivamente la sua posizione processuale, ma «almeno lui si è dichiarato collaboratore – riporta Silipo, ripercorrendo un’intercettazione – gli altri non lo fanno, si nascondono e collaborano lo spesso. E questo è peggio». Ma la stampa non sembra essere l’unica fonte di notizia per Branca. Commentando le dichiarazioni del collaboratore, Crudo e la moglie Maria Tegano si chiedono come mai – pur in presenza di tanti elementi – non siano scattati gli arresti per gli altri uomini del clan. La risposta che arriva da Branca dà speranza ai coniugi ma inquieta non poco gli inquirenti. L’uomo infatti risponde che se una parte dell’indagine è stata chiusa, a carico dei Tegano è stato aperto un nuovo fascicolo datato 2011.

Crudo e l’ipotesi collaborazione
È in questo frangente – stando a quanto riporta il dirigente della Mobile – che Crudo avrebbe minacciato «se mi accollano il fatto di Paolo, gli spiego io come sono andate le cose». Il riferimento è a quel Paolo Schimizzi, reggente e astro nascente della `ndrangheta reggina, scomparso nel nulla nel settembre del 2008. Per gli inquirenti, la sua eliminazione è stata decisa all’interno del suo stesso clan, ma il suo corpo non è mai stato trovato e la dinamica della sua eliminazione è stata fra i misteri meglio custoditi dagli arcoti. Ma qualcosa Michele Crudo sa e potrebbe rivelarla agli inquirenti. O almeno così minaccia, anche – forse – sulla base della supposizione che dietro la scomparsa improvvisa della moglie dell’uomo, Caterina Utano, ci sia l’inizio di una collaborazione con gli inquirenti. Almeno in quel periodo, per Crudo la collaborazione è un’ipotesi da non scartare a priori, e tocca ai familiari invitarlo più di una volta a resistere. Ma è un’ipotesi che non esclude, anzi più volte nel corso dei colloqui vi fa accenno, scatenando le proteste dei suoi.

La “banderuola” Antonio Lavilla
A inquietare Crudo c’è anche quello che definisce il voltafaccia di Antonio Lavilla, più volte definito “banderuola”, che dopo il suo arresto non solo si sarebbe rifiutato di riconoscere il ruolo da lui assegnato al cognato Eddie Branca, ma avrebbe iniziato a giocare partita a sé soprattutto nella gestione delle estorsioni. «Crudo – racconta Silipo – sprona Branca ad andare da Giovanni Pellicano perché dice di avere passato con De Stefano in passato e di aver già stabilito che in sua assenza sarebbe stato Branca ad occuparsene». Un riferimento, quello al potentissimo clan De Stefano, che Silipo – nonostante le sollecitazioni del pm – non sa spiegare. E mentre l’ombra del potente clan di Archi, rimane sullo sfondo a fare da eco alle risultanze di diverse inchieste che hanno provato una gestione comune e concordata delle estorsioni da parte di tutti i clan, l’ex vicecapo della Mobile reggina spiega come, incrociando i riferimenti desunti dai colloqui in carcere fra Crudo e Branca con quelli emersi dalle intercettazioni, gli investigatori arriveranno a identificare Giuseppe Rechichi. L’incontro fra Pellicano e Branca non avrà infatti alcun esito, perché a parlare – e presumibilmente a incassare – erano stati in precedenza Lavilla e un personaggio che – grazie a un controllo su strada organizzato ad hoc – si scoprirà essere l’ex direttore operativo della Multiservizi, Pino Rechichi, in precedenza indicato nei colloqui fra Branca e Crudo come “Salmone”. Uno sgarbo a Crudo, segnale di seria frattura, confermata anche dalla ritrosia a versare soldi per le spese legali degli associati. «Lavilla mi ha detto “dove vado vado, mi dicono abbiamo dato già”», riferisce Branca al cognato, intercettato dalle cimici degli investigatori. Lavilla scalpita, manda Branca anche da “Ciccio il Nero”, Francesco Caponera, genero di Carmelo Barbaro, che di Rechichi per gli inquirenti è stato il mentore, ma in cambio ottiene solo un invito a stare tranquillo.

Ricomposizioni
È insoddisfatto della gestione del clan all’esterno, nonostante il cognato lo informi puntualmente di screzi, riavvicinam
enti e poi ancora litigi fra i vertici del clan, fatica a capire cosa stia succedendo. Ma qualche equilibrio in quei mesi deve essere saltato se è vero che sarà lo stesso Lavilla ad affrettarsi a ricomporre la frattura, presentandosi in carcere da Crudo. A lui, Lavilla chiederà conto di quelle “voci” sulle sue presunte inquietudini, ricevendo in cambio solo rassicurazioni e rotonde smentite. La colpa – sosterrà il genero del boss Tegano – è da attribuire solo al cognato, colpevole di voler mettere zizzania. «Lavilla rinfrancato dalle rassicurazioni – sintetizza Silipo – dice: “noi siamo sempre i tuoi servi”. Crudo risponde che di questo ne aveva piena consapevolezza e con questo atteggiamento mira a mantenere saldo il controllo nelle proprie mani, tenendo separate due persone a lui legate. Con quest’atteggiamento di falsità mantiene il potere». (0050)

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