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ANTIMAFIA A REGGIO | Trattativa, Roberti: riunioni periodiche anche con la Procura

REGGIO CALABRIA «La Dna sta svolgendo pienamente il coordinamento nell’ambito dell’indagine sul ruolo della Calabria nella trattativa Stato-mafia. C’è un magistrato della Dna applicato a questo fas…

Pubblicato il: 09/12/2013 – 20:32
ANTIMAFIA A REGGIO | Trattativa, Roberti: riunioni periodiche anche con la Procura

REGGIO CALABRIA «La Dna sta svolgendo pienamente il coordinamento nell’ambito dell’indagine sul ruolo della Calabria nella trattativa Stato-mafia. C’è un magistrato della Dna applicato a questo fascicolo presso la Procura di Reggio Calabria, si fanno riunioni periodiche fra la Procura di Reggio e le tre Procure antimafia siciliane interessate e siamo svolgendo in pieno quest’attività di coordinamento e di scambio di dati, di informazioni, di scambio di atti congiunti di indagine. Il coordinamento sta funzionando pienamente». È a margine dell’audizione in Commissione parlamentare antimafia – oggi straordinariamente riunita a Reggio Calabria – che il procuratore nazionale antimafia Franco Roberti conferma quell’indiscrezione che da mesi circola insistentemente: la `ndrangheta ha avuto un ruolo nella trattativa Stato-mafia e tanto Reggio Calabria come gli inquirenti siciliani stanno lavorando su questo fronte. Quali siano state le acquisizioni sul punto, non è dato sapere. Ma di certo, il capo della Dna ha bene in mente quale sia la reale natura del fenomeno `ndranghetista, e quali siano gli strumenti necessari per contrastarlo. Strumenti in parte ancora da forgiare.

LE NECESSARIE MODIFICHE NORMATIVE
Su domanda della presidente della Commissione, la senatrice Rosy Bindi, Roberti non esita infatti a elencare in modo dettagliato i reati spia su cui è necessario lavorare. «L’autoriciclaggio – esordisce il capo della Dna – sarebbe una incriminazione importante perché consentirebbe di rendere più efficace la sanzione che già esiste nei confronti dei riciclatori. Poi naturalmente, andrebbe rafforzata la normativa in materia di antiriciclaggio, che in questo momento si basa solo sulla segnalazione delle operazioni sospette che vengono rilevate poco dagli istituti bancari, meno ancora da quelli finanziari e dagli ordini professionali». Un fronte su cui è necessario anche, se non soprattutto, un impegno internazionale perché – afferma – «è proprio in virtù della globalizzazione e degli strumenti che offre che i capitali illeciti generalmente bypassano il  sistema bancario e finanziario nazionale, sfuggendo alla segnalazione. Oggi, è allo studio presso l’Ue una nuova normativa antiriciclaggio, la quarta, ma questi strumenti – commenta Roberti – non sono ancora sufficienti». Una vera svolta – sostiene – arriverebbe al contrario se la normativa prevista all’articolo 12 quinques, che persegue l’intestazione fittizia di beni, venisse assorbita a livello internazionale. «Non dobbiamo aspettarci il mafioso con coppola storta e lupara, l’operazione è sempre affidata a prestanome, a insospettabili. Se chi esegue l’operazione non è in grado di spiegare la provenienza del denaro, l’operazione è di per sé sospetta, anche se formalmente eseguita da insospettabili. Tuttavia, l’incriminazione per 12 quinques esiste solo in Italia, ma finché non ci sarà anche negli altri Paesi non funzionerà mai l’individuazione dei beni mafiosi all’estero». Così come, «con la sostanziale depenalizzazione dei reati societari e del falso in bilancio» sarà impossibile o estremamente difficile  – sostiene il procuratore – individuare e bloccare la massa di capitali che le organizzazioni criminali usano per l’attività di corruzione. «Non dobbiamo dimenticare che prima di sparare, ammazzare, mafia, `ndrangheta e camorra cercano di corrompere e di comprare. La corruzione è caratteristica del metodo mafioso».

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I soldi, dunque, sono la chiave per comprendere e colpire la galassia mafiosa, ma anche – spiega Roberti ai parlamentari della Commissione, riproponendo l’intuizione investigativa che era stata di Falcone  – lo strumento per comprendere l’evoluzione dei fenomeni criminali.  «La struttura unitaria della `ndrangheta – dice Roberti, rispondendo a una domanda del senatore Claudio Fava –  è preposta proprio in funzione delle capacità di investimento finanziario. Sono segnali che arrivano da indagini non solo calabresi, ma anche della Lombardia, del Piemonte, della Liguria. C’è una strategia economico-finanziaria comune, che sostiene e giustifica le evoluzioni di questo fenomeno anche in altre regioni». Una strategia che oggi è stata compresa e deve essere contrastata, non a caso uno dei primi e principali fronti di intervento che il procuratore nazionale antimafia ha individuato è  quello dei meccanismi finanziari che consentono a federazioni di clan, unite in un’unica, temporanea ma potentissima holding, di muovere tonnellate di droga.

TUTELARE GLI STRUMENTI DI INDAGINE
Mafia, `ndrangheta, camorra – ribadisce a più riprese il capo della Dna – sono fenomeni complessi e in continua evoluzione. Per questo, se sono necessarie modifiche al codice penale che consentano di perseguire i nuovi reati grazie a cui le mafie si arricchiscono e prosperano, è anche indispensabile tutelare gli strumenti che le Procure hanno a disposizione per le indagini. Strumenti “indispensabili” come le intercettazioni, divenute nuovamente argomento caldo dopo le segnalazioni fatte alle Procure dal Garante della privacy, che ha imposto ai procuratori distrettuali e locali l’adeguamento delle strutture, pur in assenza delle disponibilità finanziarie per farlo, come della possibilità di intervenire sulle sale d’ascolto distaccate presso i comandi delle forze dell’ordine. Un problema serio per Roberti, perché  «al di là delle intenzioni del garante, rischia di mutilare l’indipendenza della magistratura». Ma di strutturale importanza per nuove e vecchie indagini sono anche i collaboratori di giustizia, finiti di recente nuovamente nell’occhio del ciclone, anche in seguito alla controversa vicenda del pentito Nino Lo Giudice, allontanatosi dal luogo di protezione nel giugno scorso e riacciuffato dopo cinque mesi di latitanza, interrotti da due infuocati memoriali con i quali ha ritrattato tutto quanto in precedenza dichiarato, lanciando anche pesantissime accuse. E sul punto il capo della Dna è netto. «L’istituto della collaborazione è più forte dei tentativi di strumentalizzazione che ci possano essere su questa o altre vicende. I collaboratori sono una fonte indispensabile per l’indagine penale. Naturalmente quello che dicono non va preso per oro colato – spiega Roberti a margine della sua audizione –, ma verificato rigorosamente con tutti gli strumenti a disposizione».

RIFORMARE IL PROCESSO PENALE
Ma non è solo sul fronte delle indagini che il capo della Dna ha richiamato l’attenzione dei parlamentari. «Andrebbero modificate quelle disposizioni che rendono il processo penale inefficace e inefficiente. Il processo penale per reati ordinari non funziona. Vedremo che effetto farà la redistribuzione degli uffici giudiziari, ma è necessario un intervento. È necessario riformare il grado di Appello, perché non ha senso un Appello che riproduce pari pari il primo grado. Si potrebbe riservare al secondo grado quello che si definisce l’Appello cassatorio, ovvero il giudizio sulla contraddittorietà o insufficienza della motivazione, lasciando alla Corte di cassazione la competenza per questioni di pura legittimità». Una riforma che permetterebbe di non ingolfare la Cassazione, costretta ogni anno ad esaminare 50mila ricorsi, a differenza – cita ad esempio Roberti – di quella francese, che ne incamera meno di ottomila. «Con grande sforzo i nostri giudici sono in grado di esaminare un ricorso in meno di 8-10 mesi, ma il rischio è che venga meno la funzione di armonizzazione del diritto che è propria della Suprema Corte».

IL TRAFFICO DI UOMINI
È sintetico, chiaro e ha chiaro in mente l’obiettivo, il procuratore Roberti. Sa bene quali siano le riforme necessarie per permettere alla macchina della giustizia di funzionare, ma è anche consapevole che solo un intervento internazionale è in grado di mettere i magistrati in condizione di agire su fronti oggi divenuti caldi come il traffico di v
ite umane. «Il problema delle Procure distrettuali e ordinarie interessate – spiega – è contrastare i trafficanti che operano in acque internazionali, in assenza di normativa precisa. C’è la convenzione di Montego bay che riguarda i traffici di schiavi ma non di migranti, cioè di soggetti che volontariamente si imbarcano. Catania e Reggio hanno agito inseguendo le navi in acque internazionali grazie alla teoria dell’attore mediato, perché scaricando i migranti in mare dalla nave madre costringono le forze di polizia ad intervenire, dunque possono essere perseguiti. Ma questa è un’interpretazione che non ha riferimenti normativi precisi. Stiamo aspettando ancora che la Cassazione si esprima sul punto, ma è necessario che la risposta arrivi a livello internazionale». (0090)

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