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Delitto Costantino, la lettera con cui Lo Giudice ritratta

REGGIO CALABRIA “A seguito del processo in corso inerente la scomparsa di mia cognata Angela Costantino faccio presente di non essere a conoscenza di che fine ha fatto, nel mio calvario di isolamen…

Pubblicato il: 10/12/2013 – 21:55
Delitto Costantino, la lettera con cui Lo Giudice ritratta

REGGIO CALABRIA “A seguito del processo in corso inerente la scomparsa di mia cognata Angela Costantino faccio presente di non essere a conoscenza di che fine ha fatto, nel mio calvario di isolamento, all’inizio della mia collaborazione ricordo di aver fatto molte ipotesi e diverse versioni, sia verbali veri e propri attraverso ricostruzioni, intrecci, nomi di giornali, puntando il dito su più persone, pensando che fossero a conoscenza della sua scomparsa, ho puntato il dito su tutti, non ho escluso nessuno, ma io non ho mai visto nulla, come si sono potute evolvere le cose, senza mai aver saputo direttamente che fine avesse fatto Costantino Angela”. Il lessico è elementare, la sintassi incerta, la grammatica altrettanto ma il contenuto non lascia spazio a dubbi. Maurizio Lo Giudice ha deciso di fare totale marcia indietro sulle dichiarazioni in precedenza messe a verbale riguardo la morte della cognata, Angela Costantino, che avevano portato all’arresto di diversi componenti della famiglia, fra cui lo zio del pentito, Bruno Stilo – accusato di essere il mandante dell’omicidio della donna- e il nipote di quest’ultimo, Fortunato Pennestrì, incriminato come esecutore materiale. Il processo con rito abbreviato che li vede imputati e ormai alle battute finali, per questo – scrive il pentito – Maurizio Lo Giudice ha deciso di inviare una missiva al gup Indellicati, incaricato del procedimento, e alla Procura della Repubblica, così come ai legali dei due familiari. Una lettera breve, sgrammaticata ma pesantissima che gli avvocati di Bruno Stilo – difeso da Antonio Tarsitani e Renato Russo – e di Fortunato Pennestrì – difeso Giovanna Araniti e Fortunato Russo – hanno fatto pervenire al Corriere della Calabria, dopo aver chiesto – invano – l’acquisizione agli atti del procedimento. Un’istanza respinta al mittente dal gup per questioni tecniche – la fase istruttoria è abbondantemente conclusa – ma che non mutila l’importanza delle dichiarazioni del collaboratore, che non solo afferma di non sapere nulla della scomparsa della cognata ma anche che “a me direttamente non è mai venuto nessuno a dirmi della sorte di Angela e quando ho chiesto a più parenti, si facevano molte ipotesi sulla sua scomparsa ma mai mi è stato raccontato qualcosa di certo”.
Dichiarazioni radicalmente differenti da quelle con cui in precedenza aveva indicato mandanti ed esecutori dell’omicidio della cognata, dando gambe a una nuova indagine sulla sorte della donna. “Quando venne la dottoressa Beatrice Ronchi a Bologna nel 2010 circa, prima di un interrogatorio mi accennava che dietro la scomparsa di Angela, in quel periodo erano sparite altre persone che potrebbero essere collegati”. Una prassi forse non troppo ortodossa in sede di interrogatorio, ma soprattutto – rivela il pentito – un campanello d’allarme per lui. “In quel momento capii che si stava creando un castello troppo grosso su cose che io non sapevo”, afferma Maurizio Lo Giudice nella sua missiva, tentando di spiegare su cosa abbia basato le sue precedenti dichiarazioni. “Durante la mia carcerazione, un mattino ho letto dalla Gazzetta del Sud di una scomparsa di un certo Pietro Calabrese. È da lì che avevo ipotizzato che Angela fosse sparita con questo Pietro”. Sarebbero stati invece i risentimenti familiari, nonché una certa dose di invidia a spingere,  per sua stessa ammissione, Maurizio a puntare il dito contro “altri parenti del tipo Pennestrì Fortunato, Stilo Bruno, Vincenzo Lo Giudice (fratello), Domenico Lo Giudice (cugino) e molti altri”.  
Il motivo, stando a quanto il pentito scrive, andrebbe da ricercare nel diverso tipo di percorso che i familiari all’epoca avevano scelto. “La loro vita era diversa dalla mia, loro pensavano a lavorare come ambulanti per le strade e Domenico, mio cugino, aveva la gestione del banco a Santa Caterina, ottenendo una vita serena, tranquilla con più guadagni dei miei”. Una situazione radicalmente diversa – riferisce il collaboratore – da quella che lui stesso viveva. “Conducendo una vita mediocre – ricorda – non mi sono potuto mantenere e non avendo più contatti con loro per la mia vita ribelle, pensando a furti rapine e danneggiamenti, puntai il dito su di loro, avendo una certa invidia perché li ritenevo responsabili dei miei guai”. Ai parenti – si legge nella missiva – Lo Giudice non perdonava di essere stato “falsamente accusato di aver attentato alla vita di mio cugino Pasquale Borghi, nipote di mio cugino Domenico Lo Giudice, (figlio, ndr) di Vincenzo, trovandomi anche in galera per delle infamità che la famiglia Colonnetta aveva creato”. Ma oggi quell’astio che – stando a quanto si legge – aveva spinto il collaboratore ad accusare ingiustamente i parenti sembra essere scemato. “Visto che ci sono persone  oggi in galera, accusate della scomparsa di Angela Costantino si legge in conclusione nella missiva ritengo doveroso ammettere che quello che io ho dichiarato è stato frutto di un mio malessere personale, prima che le persone inquisite subiscano un giudizio, ritengo doveroso sottolineare che venga fatta un’attenta valutazione dei veri fatti accaduti e di quanto sto scrivendo adesso”.
Toccherà agli inquirenti valutare il portato delle nuove rivelazioni di Maurizio Lo Giudice, ma la missiva che il pentito ha voluto far pervenire alla Procura e al Tribunale di Reggio Calabria sembra poter essere interpretata solo come una chiara ritrattazione, irrilevante ai fini processuali, ma comunque fondamentale per i legali. E non solo in vista di un probabile appello.  La missiva – ha sostenuto l’avvocato Russo di fronte al gup Indellicati-  non fa che ribadire due dichiarazioni che Maurizio Lo Giudice aveva fatto nel lontano febbraio e marzo 1999, quando – rispondendo alle domande del pm Franco Mollace – aveva affermato di non sapere nulla della scomparsa della donna. Dichiarazioni – ha denunciato il legale – che la Procura non ha allegato agli atti del processo con rito abbreviato che oggi vede imputati Bruno Stilo e Fortunato Pennestrì.
Per loro, il pm Sara Ombra aveva chiesto trent’anni di reclusione ciascuno ritenendoli responsabili dell’omicidio della parente. Sposata giovanissima a Pietro Lo Giudice, Angela ragazza venticinquenne  già madre di quattro figli e vedova bianca di un boss in galera, è scomparsa senza lasciare traccia il 16 marzo del 1994. Stando alla ricostruzione degli inquirenti, sarebbero stati i suoi familiari a deciderne l’eliminazione e a farla sparire per punirla per una sua presunta relazione extraconiugale. (0070)

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