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L`ultima verità di Nino Lo Giudice

REGGIO CALABRIA “Le dichiarazioni sugli attentati a  Reggio Calabria nel 2010 non sono vere. Ho mentito perche? quando iniziai a collaborare il Dott. Cortese mi disse che avrei avuto il piano di pr…

Pubblicato il: 17/12/2013 – 20:44
L`ultima verità di Nino Lo Giudice

REGGIO CALABRIA “Le dichiarazioni sugli attentati a  Reggio Calabria nel 2010 non sono vere. Ho mentito perche? quando iniziai a collaborare il Dott. Cortese mi disse che avrei avuto il piano di protezione solo se avessi parlato delle bombe, senza suggerirmi il contenuto delle dichiarazioni”. E? questo uno dei principali passaggi del primo interrogatorio cui e? stato sottoposto Nino Lo Giudice dopo la cattura. A poche ore dal blitz della Mobile e dello Sco di Roma che ha stanato il Nano nel quartiere di Vito, alla periferia nord della citta?, l’ex collaboratore ha risposto alle domande del pool di magistrati che per mesi ha lavorato alla sua cattura. In una delle stanze della Questura, di fronte ai procuratori della Repubblica di Reggio Calabria, Federico Cafiero De Raho, e di Catanzaro, Vincenzo Lombardo, all’aggiunto Ottavio Sferlazza, e ai sostituti Giuseppe Lombardo, Giovanni Musaro?, Antonio De Bernardo e Gerardo Dominijanni, il Nano ha iniziato a chiarire i motivi che lo hanno indotto ad abbandonare il luogo protetto e darsi alla latitanza, confermando quanto sul punto aveva gia? anticipato nei due memoriali con cui aveva rotto quel silenzio di cinque mesi. Due scritti di cui ha rivendicato la paternita? e che avrebbe redatto in momenti diversi, ma comunque da solo e senza alcuna assistenza. Allo stesso modo, da solo e senza allertare nessuno si sarebbe allontanato dal luogo protetto. “Un giorno – racconta agli inquirenti che lo interrogano – approfittando del fatto che la mia compagna dormiva, mi sono allontanato”. Circostanze che non spiegano come mai la donna abbia atteso oltre 24 ore per segnalare la sua scomparsa, ma sulle quali – almeno per adesso – i magistrati non hanno approfondito.

DONADIO E LE DOMANDE SULLA TRATTATIVA
A spingerlo a compiere tale gesto – continua il Nano – sarebbe stata la paura per l’incolumita? propria e dei familiari, scatenata dal colloquio investigativo cui era stato sottoposto dal sostituto procuratore della Dna, Gianfranco Donadio. “In data 3 giugno 2013 mi sono allontanato dal luogo in cui ero ristretto agli arresti domiciliari in localita? protetta in quanto in data 14.12.12, mentre mi stavo recando a Reggio Calabria, (dove avrei dovuto essere sentito al processo Meta), la scorta mi disse che dovevamo fermarci a Roma perche? c’erano nuove disposizioni. Abbiamo pernottato a Roma, poi il giorno dopo fui condotto presso gli uffici della Dna, dove ci aspettava il dottor Gianfranco Donadio. Nella circostanza il dottor Donadio lascio? fuori la scorta e mi fece entrare”. Ed e? proprio nell’ufficio del sostituto della Procura Nazionale – dove “c’era un tenente con il cranio rasato” – che si verificano le circostanze che precipiteranno il collaboratore nel panico. “Il dottor Donadio – afferma – mi disse che non avrebbe registrato la deposizione, ma ho visto che c’era un registratore e anche una telecamera. In tale occasione, il Dr Donadio mi ha maltrattato e mi ha portato ad accusare persone che io non conosco, tali Aiello e Antonella. Lui mi ha suggerito il nome di Aiello e poi mi ha detto che tale soggetto era responsabile di fatti gravissimi, quali la strage di Capaci”.

QUELLE STRANE VISITE
Nel verbale depositato non ci sono ulteriori dettagli, non si spiega perche? il Nano si sia piegato alle asserite pressioni di Donadio, ne? a che titolo sia stato chiamato a riferire su soggetti legati alla storia della trattativa e tanto meno se e in che misura Lo Giudice sia in grado di riferire sul punto. Ma, al netto dei dettagli, quelle raccontate in sede di interrogatorio sono circostanze che Nino Lo Giudice aveva gia? messo nero su bianco nel primo memoriale, inviato quando ha deciso di far perdere le sue tracce. Allo stesso modo, sembrano ricalcare quanto affermato in quello scritto, le parole con cui il Nano descrive le due strane visite ricevute nei mesi successivi, prima “due uomini vestiti di nero, giunti con una Rover coupe? color oro”, dalla “carnagione scura e che sembravano meridionali”, quindi  “altri due soggetti, vestiti in cravatta e camicia” che “si sono presentati presso la medesima abitazione e hanno suonato al campanello, dicendo di essere appartenenti al servizio di Protezione. Quando io ho risposto che prima di aprire avrei dovuto avvisare il Servizio, sono scappati via”. Entrambi – aggiungera? dopo – “avevano un accento laziale”.  Ma a far preoccupare Donadio sarebbe stata un’altra circostanza. “Quando io mi sono reso conto che Donadio aveva interrogato Antonio Cortese sui medesimi fatti mi sono preoccupato molto e ho temuto per l’incolumita? mia e della mia famiglia. Per tale ragione ho convocato i miei familiari”. Insieme a loro, ricostruisce Lo Giudice, sarebbe stato “fermato dai carabinieri e ci hanno chiesto i documenti, io ho esibito il passaporto. Nella circostanza, io non stavo bene, era evidente, piangevo”. Particolari che fanno sorgere piu? di una domanda. Com’e? possibile che un collaboratore ai domiciliari disponga della liberta? di contattare i familiari – quali? Anche loro esponenti a vario titolo del clan? –  e incontrarli nel sito che dovrebbe essere riservato per tutti se non per il servizio centrale di protezione? E ancora, com’e? possibile che un collaboratore ai domiciliari abbia a disposizione un documento valido per l’espatrio? Quesiti tutti da sciogliere ma che al Nano servono per giustificare le sue successive mosse.

LA FUGA
Da Macerata, dopo aver inviato il primo memoriale, avrebbe preso un treno per Civitanova e da li? sarebbe andato a Pietrelcina, dove sarebbe rimasto “per un mese, forse due”. Qui il racconto di Lo Giudice si ingarbuglia. Inizialmente, afferma di essere stato accolto da un anziano incontrato per caso, quindi da un’altra persona, ma alla rilettura del verbale nega e fa correggere tale circostanza, confermando solo di essersi fermato a casa di un “vecchietto che ho conosciuto li?, si chiamava Giovanni, non ho pagato nulla per l’ospitalita?”. Di lui afferma di averlo “conosciuto in piazza. Appena l’ho visto ho intuito, non so perche?, che avrebbe potuto darmi ospitalita?. E cosi? e? stato”. E no, non avrebbe avuto paura di essere riconosciuto in quei giorni di giugno in cui la sua faccia era su tutti i giornali e i telegiornali perche? “il vecchietto in questione era mezzo cieco, anzi miope”. Rivelazioni che dovranno essere vagliate a fondo e riscontrate dagli inquirenti, ma che il Nano ribadisce con sicurezza, domanda dopo domanda. Nella casa dell’anziano – racconta ancora avrebbe scritto il secondo memoriale, con un computer e una stampante in seguito distrutti, e avrebbe fatto i video “con una macchina fotografica che videoriprende e che ho ancora con me, ritengo sia stata sequestrata oggi perche? era all’interno del borsello”, dice il Nano.

DOV`E` LA CHIAVE DEI RISCONTRI?
Un elemento importante, che potrebbe essere utilizzato dagli investigatori per vagliare l’attendibilita? delle ultime dichiarazioni di Lo Giudice, che – riferisce – da solo si sarebbe occupato anche di mandare “tredici copie del secondo memoriale, tutte inviate per posta dall’ufficio postale di Pietrelcina, in particolare dalle buche dell’Ufficio postale di Pietrelcina”. Un’indicazione – anche questa – utile per gli investigatori, che all’epoca almeno su alcuni dei plichi pervenuti a redazioni e avvocati non erano riusciti a individuare il timbro. Ma soprattutto – dice Lo Giudice – in quel borsello “c’e? una pen drive in cui ci sono registrazioni di cui parlo nel memoriale”. E proprio questo forse potrebbe essere l’elemento chiave per ricostruite il controverso percorso di Nino Lo Giudice. In quel documento – lessicalmente e grammaticalmente sconnesso, ma esplosivo – il Nano lasciava intendere di essere in possesso della registrazione di alcuni colloqui investigativi che proverebbero la veridicita? delle accuse. Affermazioni che tocchera? alle indagini riscontrare, ma che gia? oggi sembrano conferma
re tutte le ombre che hanno caratterizzato la collaborazione di Lo Giudice, che a meta? agosto avrebbe deciso di fare ritorno in Calabria.

I MEMORIALI
Anche in questo caso, la seconda spedizione del memoriale avrebbe segnato il commiato dalla citta? in cui Lo Giudice stava. “Per andare da Pietralcina a Reggio Calabria ho preso il treno fino a Villa San Giovanni. Poi a Villa ho preso un taxi fino a Vito. Ritengo che il tassista non mi abbia riconosciuto perche? portavo il cappello”. Una ricostruzione tutta da verificare, come da passare al setaccio sono le pesantissime affermazioni che il Nano ha messo nero su bianco in quei documenti. Ma, sul punto, Lo Giudice si fa sfuggire o e? chiamato a dire poco o nulla. E? netto, chiaro e preciso sulle bombe del 2010. Le sue precedenti dichiarazioni non sono vere, con quegli attentati non ha nulla a che fare. A suo dire ne avrebbe parlato solo perche? l’ex capo della Mobile Cortese gli avrebbe detto che se non avesse toccato l’argomento, non avrebbe ottenuto il programma di protezione. Nessun riferimento c’e? – ma forse non e? un caso – a quei  magistrati fino a qualche tempo fa in servizio a Reggio – l’ex procuratore della Repubblica, Giuseppe Pignatone, il suo aggiunto, Michele Prestipino, e la sostituto beatrice Ronchi – contro cui nei memoriali aveva punto il dito, accusandoli di averlo indotto a rivelare cose non vere. L’unico riferimento ad una toga reggina riguarda invece il procuratore capo Salvatore Di Landro. “Nel memoriale- dice, rispondendo a una domanda dei magistrati che lo interrogano –  ho invitato il dottor Di Landro a dire tutta la verita? perche? ho immaginato che lui la sapesse, ma non ho elementi per avvalorare tale convinzione”.

LA PAURA DI NINO LO GIUDICE
Non c’e? la trascrizione della fonoregistrazione dell’interrogatorio, ma nella versione riassuntiva, Lo Giudice sembra parlare a stento con gli inquirenti. Contrariamente al passato, le risposte sono asciutte, monosillabiche. Il Nano – lo dice chiaramente – ha paura. “A tutt’oggi temo per la mia vita e per quella dei miei familiari, anche perche? con le mie dichiarazioni tanta gente e? finita in galera”, afferma. Ma anche su questo punto, il discorso del Nano si fa confuso. Di chi ha paura Nino Lo Giudice? “E? vero quanto riferito da mio figlio in merito al fatto che avrebbero dovuto “guardarsi” da carabinieri – dice ai magistrati – ma io mi riferivo al fatto che potevano presentarsi presso i miei familiari `ndranghetisti  travisati, anzi travestiti, da carabinieri. Ribadisco che la mia preoccupazione non era rivolta a persone appartenenti alle forze dell’ordine, ma a persone appartenenti alla `ndrangheta”. Una versione che non si incastra con quanto in precedenza raccontato a proposito del colloquio investigativo con Donadio, tanto meno viene confermata dai familiari, nonostante Lo Giudice metta a verbale “sono certo che i miei familiari abbiano inteso quanto intendessi dire, del resto questa e? stata la mia preoccupazione, fin dall’inizio della collaborazione”. Una certezza polverizzata dalle parole del figlio Giuseppe, che – interrogato nei giorni successivi alla scomparsa del padre – afferma “la preoccupazione di mio padre erano le forze dell’ordine, non ha mai fatto riferimento al tmore di ritorsioni della criminalita? organizzata per le dichiarazioni che aveva reso”.

COLLABORARE O NO?
Tutti punti che le indagini e lo stesso Nino Lo Giudice si spera che in futuro possano chiarire. Il Nano ha affermato con certezza di voler continuare il proprio percorso di collaborazione, ma quello che piu? fa sperare gli inquirenti e? la risposta con cui chiude il suo interrogatorio lo scorso 15 novembre. “Quando ho reso dichiarazioni alcune cose a mia conoscenza non le ho riferite”. Un’affermazione che conferma i sospetti che piu? di un magistrato aveva in passato avanzato sul suo conto. Un’affermazione che fa sperare che Lo Giudice abbia deciso – davvero  – di collaborare. Certo, gli esordi non sono dei migliori. Chiamato a testimoniare al processo Do ut des, a causa dell’assenza di un legale di fiducia, il Nano, cui il Tribunale aveva procurato un difensore d’ufficio, si e? rifiutato di rispondere. Ma la speranza e? che – risolto il problema tecnico dell’assistenza – possa finalmente chiarire i tanti punti di domanda che le sue dichiarazioni e ritrattazioni, ma soprattutto i suoi silenzi, hanno lasciato senza risposta. (0020)

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