ROMA «Nessuno vuole rispecchiare la Calabria qui a Roma, perché qui a Roma ognuno si vuole prendere i suoi spazi e vivere in maniera diversa da come vive in Calabria». È la `ndrangheta nella capitale secondo Gianni Cretarola, arrestato a luglio scorso per l`omicidio del boss Vincenzo Femia a gennaio 2013 e diventato collaboratore di giustizia. La sua testimonianza ha portato all`arresto di tre presunti complici, tra cui i due uomini che avrebbero sparato a Femia in una strada di campagna di Roma. Una cellula della mafia calabrese in trasferta per controllare il mercato della droga.
Il 31enne Cretarola, di origine calabrese ma nato e cresciuto a Sanremo, spiega l`atteggiamento dei nuovi “picciotti” – lui è stato affiliato in carcere nel 2008 – che hanno creato un “locale”, una filiale delle cosche di San Luca nella capitale. E così parla ai pm di Roma del compare Francesco Pizzata, figlio 22enne del boss Giovanni, che dopo aver sparato a Femia «voleva andare a festeggiare, a mangiare fuori, prostitute e queste cose qua, come un ragazzo di 20 anni vuole fare, no?».
«La costituzione di un locale qui a Roma potrebbe dire anche sottostare alle stesse regole della Calabria, agli stessi diktat della Calabria anche qui a Roma e nessuno lo vuole questo – afferma Cretarola secondo quanto si legge nell`ordinanza d`arresto degli altri tre presunti membri del gruppo omicida -. Cosa che in Calabria invece, oltre le cose migliori che non si può…che ti dovrebbe dare, no? Sei anche costretto a sottostare a un`impostazione molto rigida di vita, proprio di vita quotidiana, qui a Roma invece cerchi di prendere solo quello che di buono (l`appartenenza alla `ndrangheta, ndr) ti può dare e fare una vita come un ragazzo normale ha interesse di fare. Quindi discoteca, ragazze e quello che quant`altro un ragazzo vuol fare».
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