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Le nuove verità sull`omicidio Marino

REGGIO CALABRIA Ci sono omicidi i cui mandanti non hanno nome e volto, ma lasciano un segno – indelebile – nelle vite di chi resta. In quella dei familiari della vittima, degli amici, dei parenti e…

Pubblicato il: 09/01/2014 – 8:04
Le nuove verità sull`omicidio Marino

REGGIO CALABRIA Ci sono omicidi i cui mandanti non hanno nome e volto, ma lasciano un segno – indelebile – nelle vite di chi resta. In quella dei familiari della vittima, degli amici, dei parenti e colleghi,  ma anche degli assassini. Uomini senza nome né volto ma noti alla loro cerchia, alla loro famiglia per quel sangue che le loro mani hanno versato. Per quella vittima immolata sull’altare dell’onore. Come quel “Peppe” divenuto “il migliore” per aver ucciso il brigadiere Antonino Marino.
È tra le pieghe dell’operazione Platino coordinata dalla Dda di  Milano che si nasconde un nuovo tassello di verità su quell’omicidio che il 9 settembre del 1990 ha insanguinato la Locride. A consegnarla agli inquirenti è la conversazione intercettata fra Agostino Catanzariti, storico uomo della cosca Barbaro-Papalia, e Michele Grillo, l’anziano boss divenuto la goccia che ha fatto traboccare il vaso della giunta Formigoni. Sarà lui infatti a farsi pizzicare dagli investigatori mentre aggiusta voti e preferenze per l’ex assessore pidiellino, Domenico Zambetti. Ma nulla di tutto ciò stava discutendo il 1 settembre 2012. Quel giorno, Grillo chiacchierava serenamente con Catanzariti. Il tono è quello di due vecchi compagni d’arme e in effetti è di una guerra che stavano parlando. Quella che la ndrangheta ha dichiarato alla gente della Locride.
Catanzariti: Peppe secondo me era il migliore di tutta la famiglia…
Grillo: i suoi fratelli pure
Catanzariti: però è stato un pezzo indegno, ché è stato capace di organizzare, gira e volta, e alla fine se l`è cavata lui (inc.)
Grillo: chi, Ciccio ?
Catanzariti: a (inc.) è stato lui che l`ha ammazzato …
Quando gli investigatori ascoltano queste parole drizzano le orecchie. Non ci sono riferimenti precisi, ma i due stanno parlando palesemente di un omicidio. E poco dopo saranno gli stessi Grillo e Catanzariti a dare dettagli che renderanno inequivocabile l’identificazione della vittima.
Grillo: lui, dici ?
Catanzariti: ah … Che si disse il perché, il movente, di tutto e di più …
Grillo: il movente perché era?
Catanzariti: il movente, perché dice che, nel paese, che perseguitava la famiglia Barbaro e menava sopra i “Castanu” e sopra di lui e di suo padre “Che dopo è stato … deciso per ammazzarlo, l`hanno trasferito e dopo … e là …”.
Quando Marino è stato ammazzato non lavorava più nella Locride. Dopo oltre cinque anni da comandante della stazione di Platì, era stato trasferito nella Piana, a San Ferdinando, nel rispetto di quella ferrea regola dell’Arma che gli aveva imposto il trasferimento dopo il matrimonio con una donna di Bovalino. Ma per i clan questo non era importante. Marino doveva pagare quei cinque anni passati a dare la caccia alle ndrine di Platì, a stanare i latitanti, a non dare pace a chi di quei luoghi si sentiva padrone. E lo hanno aspettato. Il 9 settembre del ’90, Antonio Marino era tornato a Bovalino superiore insieme alla famiglia per la festa del paese. Era una sera tranquilla di un’estate che non voleva finire. Tutto il paese era in piazza, ma verso mezzanotte tutti si erano spostati verso la periferia per assistere ai fuochi d’artificio. Il brigadiere era rimasto in piazza, insieme alla moglie e al figlio, seduto all’esterno del bar gestito dai suoceri. È lì che il killer l’ha sorpreso, scaricandogli addosso dieci proiettili che avrebbero ferito anche la moglie e il figlio del sottoufficiale. I due sopravviveranno a quell’agguato che per il brigadiere sarà fatale. Morirà dopo quindici giorni di agonia. Nonostante il movente fosse chiaro fin dal principio, quell’agguato è rimasto un mistero per oltre quindici anni. Saranno le dichiarazioni di Antonino Cuzzola a dare gambe a quell’inchiesta rimasta per oltre un decennio a prendere polvere negli archivi. Ai magistrati, Cuzzola racconterà che ad ordinare l’omicidio del brigadiere sarebbero stati gli allora massimi vertici delle ndrine di Platì: Antonio Papalia, Giuseppe Barbaro (cl. 48), Francesco Barbaro e Giuseppe Barbaro (cl. 56). Ma in sede giudiziaria le accuse del pentito non saranno ritenute sufficienti per arrivare a una condanna né in primo grado, né in appello.
Per gli inquirenti milanesi, la conversazione intercettata «è la prova in ordine alla dichiarata conoscenza del nome dell` autore di detto omicidio («Peppe, il migliore di tutta la famiglia»). A detta conoscenza va attribuita senza dubbio valenza di indice di appartenenza alla `ndrangheta: chi è estraneo all` associazione mafiosa non può certo essere a conoscenza dell`autore di un omicidio (quello del brigadiere Cc Marino) che può certamente definirsi eccellente». Ma per la Procura reggina e i familiari potrebbe – forse – essere un tassello importante per tentare di risalire a quei killer che da oltre vent’anni si nascondono. (0030)

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