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La sorella di Luni Mancuso: sfido i boss per i miei figli

CATANZARO «Non lasciate che siano i clan a dar lavoro ai miei ragazzi». È l`appello lanciato allo Stato, dalle pagine de L`Espresso che ne ha diffuso un`anticipazione, da Immacolata Mancuso, sorell…

Pubblicato il: 07/02/2014 – 15:35
La sorella di Luni Mancuso: sfido i boss per i miei figli

CATANZARO «Non lasciate che siano i clan a dar lavoro ai miei ragazzi». È l`appello lanciato allo Stato, dalle pagine de L`Espresso che ne ha diffuso un`anticipazione, da Immacolata Mancuso, sorella di Pantaleone “Luni” Mancuso, detto “Scarpuni”, sottoposto al carcere duro del 41 bis e considerato il capo dell`omonima cosca che opera a Limbadi, nel vibonese ed ha diramazioni in tutta Italia. La donna è fuggita dalla Calabria per salvare i figli e tenerli lontani dalla `ndrangheta.
«Lo Stato – ha detto la donna all`inviato del settimanale, Lirio Abbate – dice di andare contro la mafia. Noi lo facciamo, ma allo stesso tempo non ci tende la mano per vivere meglio, perché ci riempie di tasse e non offre alcuna possibilità ai giovani di lavorare. In questo modo la mafia ha il sopravvento. I ragazzi vengono attratti dal denaro facile e così rischiano di finire nella rete dei mafiosi. È per questo che chiedo aiuto. Qualcuno intervenga a salvare mio figlio come pure tanti altri giovani che sono nelle sue condizioni: c`è un`intera generazione che non trova lavoro e rischia di finire nelle mani di chi vive nel crimine».
La donna ricorda anche l`omicidio di Nicolino “Cocò” Campolongo, il bambino di tre anni ucciso e bruciato a Cassano allo Ionio (Cosenza) insieme al nonno ed alla compagna di quest`ultimo. «Mi chiedo – ha detto – con quale coraggio si può arrivare ad ammazzare un bambino. Questa mafia è uno schifo. Purtroppo nessuno parla. Tutti stanno in silenzio anche davanti ad una tragedia come quella di Cocò. La gente si sarebbe dovuta rivoltare ma purtroppo non è accaduto e nulla si farà. La maggioranza dei calabresi non cambia, continua a credere in questi assassini. La mafia fa più schifo di prima. Quella che conoscevo da bambina, perché in famiglia ne sentivo parlare, era collegata tutta a “don Ciccio”, mio zio Francesco, ricercato dai carabinieri ma considerato dalla gente un benefattore perché dava lavoro a tutti».
«Basta – ha concluso Immacolata Mancuso – con slogan e dichiarazioni. Ce ne sono tanti, come la targa fatta sistemare dalla Regione davanti all`ingresso del municipio di Limbadi. C`è scritto: “qui la mafia non entra”. Ma come, tutti sanno che è già entrata in quel Comune grazie a mio zio Ciccio Mancuso che ha fatto assumere alcune persone che ancora oggi sono in servizio. Come pure gli edifici confiscati che poi vengono abbandonati. C`è una villa accanto al municipio che è stata confiscata ma è completamente abbandonata e devastata dai vandali: questi scempi fanno perdere fiducia nelle istituzioni». (0020)

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