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LUCE SU VIBO | Uomini dello Stato al servizio della cosca

LAMEZIA TERME Da una parte i capi storici di una delle cosche più potenti della `ndrangheta, dall`altro alcuni degli investigatori di punta che operavano sul territorio vibonese. In mezzo Antonio G…

Pubblicato il: 25/02/2014 – 13:59
LUCE SU VIBO | Uomini dello Stato al servizio della cosca

LAMEZIA TERME Da una parte i capi storici di una delle cosche più potenti della `ndrangheta, dall`altro alcuni degli investigatori di punta che operavano sul territorio vibonese. In mezzo Antonio Galati, avvocato di fiducia dei Mancuso, che era il ponte di collegamento tra due mondi che dovrebbero essere totalmente distanti tra loro. E invece così non era, perché gli uomini dello Stato coinvolti nell`operazione di oggi si presentavano come «soggetti vicini e compiacenti – si legge nell`ordinanza del gip di Catanzaro, Abigail Mellace – disposti a “chiudere un occhio”, ad evitare una denuncia, a relazionarsi su un piano di perfetta parità e quindi a “prendere un caffè”, a fare una visita di condoglianze, a trascorrere insieme una giornata al mare». Un comportamento devastante anche dal punto di vista simbolico, che si è tradotto, nei fatti, in una totale, voluta e consapevole, imbarazzante assenza di indagini a carico dei Mancuso negli anni – in particolare dal 2009 al 2011 – in cui Maurizio Lento ed Emanuele Rodonò guidavano la squadra mobile di Vibo. Sostanzialmente è lo stesso Rodonò, quando è in procinto di lasciare l`incarico, ad ammettere «di non avere indagato sulla cosca Mancuso – si legge ancora nell`ordinanza – al fine di assolvere a un dovere gerarchico e di fedeltà al quale non aveva potuto sottrarsi (e del quale anche il Galati era ben consapevole)».   
Il lavoro di intermediario di Galati, che secondo la Dda di Catanzaro doveva letteralmente sdoganare la mafia all`interno della società civile, ha contribuito a creare attorno alla cosca Mancuso «una situazione di tranquillità che ne ha amplificato a dismisura le capacità operative». Secondo la Dda l`avvocato partecipa alla cosca di cui Pantaleone (classe 47, detto “vetrinetta”), Antonio (classe 38) e Giovanni (classe 41) Mancuso rappresentano l`organismo di vertice, svolgendo il ruolo di interlocutore di soggetti appartenenti ad apparati dello Stato operanti nel settore investigativo e giudiziario «al fine di procurarsi informazioni su indagini in corso, di garantire l`immunità della cosca Mancuso – e in particolare di quella frangia di essa riconducibile a Pantaleone “vetrinetta” – dallo svolgimento di attività investigative, la concentrazione delle indagini nei confronti dei gruppi rivali ai Mancuso (in particolare di quello dei “piscopisani”), la delegittimazione di magistrati portatori di orientamenti interpretativi tali da non garantire, in modo assoluto, il favorevole esito di procedimenti penali a carico di soggetti appartenenti o contigui alla cosca».
Insomma l`avvocato si era pazientemente cucito addosso il ruolo di anello di congiunzione fra la cosca e la zona grigia: sfruttando i legami e i rapporti abilmente instaurati e coltivati negli anni, ha avuto la possibilità di entrare nei meccanismi interni alla Procura e di apprenderne con anticipo i progetti investigativi, nonché di «acquisire informazioni su importanti e delicate indagini, addirittura di commentare processi in corso proprio con coloro che quei processi stavano in quelle ore decidendo, violando il segreto della camera di consiglio».
Le intercettazioni telefoniche e ambientali hanno anche permesso di seguire in diretta le varie fasi attraverso le quali, ad un certo punto, il difensore ha «inglobato nel proprio circuito relazionale» anche l`amministratore e custode giudiziario dei beni che erano stati sequestrati proprio ai Mancuso.

GLI INVESTIGATORI GRADITI AL BOSS
È «impressionante» secondo gli inquirenti la rete di amicizie, relazioni e frequentazioni che Galati è riuscito a tessere, tanto da arrivare a creare un rapporto personale tra i capi storici della cosca e vertici della Mobile dell`epoca. Il concorso esterno all`associazione mafiosa, da parte di Lento e Rodonò, sarebbe avvenuto «consapevolmente ed intenzionalmente fornendo alla stessa un contributo effettivamente utile al suo rafforzamento». E a raccontarlo sarebbero anche le conversazioni che permettono di «seguire in diretta» la frequentazione, da parte di Rodonò, del villaggio turistico di proprietà del genero – Antonio Maccarone – e della figlia del boss Pantaleone. Tutto organizzato da Galati.
Significative sono pure le conversazioni in cui lo stesso boss «dopo avere ricordato le modalità di conoscenza del dottor Lento (“presentatogli” appunto dal Galati), esalta la bontà e l`affidabilità dell`investigatore cui riconosce il merito di non avere investigato sulla sua persona e, anzi, di avere assunto atteggiamenti compiacenti, a differenza del suo predecessore. Per tale ragione – si legge nell`ordinanza del gip – il Mancuso esorta il legale a organizzare, come già fatto in precedenza, incontri conviviali “per prendere il caffè”». Incontri che però, a detta dell`avvocato, l`allora capo della Mobile a partire da un certo periodo di tempo evitava per il timore di potere essere intercettato o che, addirittura, «stava pensando di camuffare con “la scusa di una perquisizione”».

LA TALPA IN QUESTURA
Tra gli indagati c`è anche un poliziotto in servizio alla Questura di Vibo, Wladimiro Pititto. Accusato di rivelazione di segreti d`ufficio a favore di Aurelio Maccarone, ex consigliere provinciale, zio di Antonio, per lui la Dda catanzerese aveva  chiesto l`applicazione della misura interdittiva della sospensione dall’esercizio di pubblico ufficiale, ma il gip ha disposto l`invito a comparire per essere interrogato.

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