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«Andare oltre l`indignazione»

COSENZA Tre giornalisti e un’aula piena di studenti. Una lezione non rituale, ma che racconta il male della Calabria dal punto di vista di chi, per mestiere, dentro la `ndrangheta ha guardato a fon…

Pubblicato il: 21/03/2014 – 19:18
«Andare oltre l`indignazione»

COSENZA Tre giornalisti e un’aula piena di studenti. Una lezione non rituale, ma che racconta il male della Calabria dal punto di vista di chi, per mestiere, dentro la `ndrangheta ha guardato a fondo per raccontarla. Pantaleone Sergi – che è stato chiamato a coordinare l’evento – Paolo Pollichieni e Aldo Varano hanno avviato il ciclo di seminari sulla legalità promossi dal dipartimento di Lingue e Scienze dell’educazione – rappresentato dal professor Marcello Zanatta – portando il contributo di osservatori da lungo tempo in prima linea e dunque capaci di cogliere i mutamenti del fenomeno `ndranghetistico, che oggi sarebbe ingenuo circoscrivere a un fatto di violenza e soprusi, essendo assai più sofisticato.
«Oggi l’80% del potere della `ndrangheta non viene più dalla paura che incute, ma dalla sua capacità di penetrare le istituzioni e creare consenso», ha spiegato Pollichieni, direttore del Corriere della Calabria, svelando la vulnerabilità della società calabrese e della sua classe politica. Del resto è ben noto come la `ndrangheta sia in grado di condizionare quasi ogni momento della vita sociale del territorio, dalla sanità fino a «chi deve superare gli esami universitari», ricorda ancora Pollichieni facendo riferimento alla vicenda della figlia del boss raccomandata dal potente e temuto padre a un docente dell’Unical, toccando quindi un tasto sensibile dentro un’aula piena di studenti. Per questo appare subito chiaro che quello è il posto giusto per parlare di legalità, dove costruire una solida cultura della cittadinanza attiva, «mentre la Regione paga associazioni private, l’antimafia con la partita Iva, per spiegare nelle scuole quel che dovrebbe essere insegnato ogni giorno».
E la lezione dei giornalisti agli studenti non può eludere il potente effetto della trasmissione di Servizio pubblico sulla sanità e sul potere della politica, di cui in queste ore parla la città intera. Quel che emerge è una comunità divisa tra lo scoramento e la necessità di piegarsi a quel potere perverso, un quadro che rappresenta la rassegnazione alla sconfitta dei diritti e della partecipazione.
Ma sarebbe un errore credere che tutto si consumi qui, nello stretto e per certi versi provinciale ambito regionale perché, come avvisa ancora il direttore del Corriere della Calabria, «la `ndrangheta è un organo di potere del territorio, ma questo concetto da tempo si è esteso ben oltre la Calabria, avendo conquistato il Nord».
Anche i metodi di conquista utilizzati dalla criminalità organizzata oggi sono mutati, adeguandosi alla necessità di mimetizzarsi e apparire il meno possibile, per questo la pratica della violenza non è mai una vittoria per la `ndrangheta, che si afferma anche per via di una diffusa sottovalutazione, per la quale ci si può interrogare su chi faccia più danni, «se il colluso o l’idiota» che non coglie la portata del fenomeno criminale.
Eppure i giorni che stiamo vivendo sono per Pollichieni una specie di frana che viene implacabilmente giù. Usa la metafora del Vajont Pollichieni, gli sembra adeguata per spiegare che ci si potrebbe trovare davanti a un mutamento epocale, la fine di un lungo periodo di malaffare e tuttavia se così fosse non saremmo ancora pronti a «costruire una nuova casa dopo aver distrutto la vecchia». Eppure al giornalista non fa difetto l’ottimismo, non di maniera, ma convinto. Con sincerità confessa di non sapere cosa si può fare ancora, restando tuttavia convinto della necessità di una robusta informazione e della diffusione della cultura della cittadinanza. Poi guardando i ragazzi piegati sugli appunti, li chiama a un impegno che fin qui c’è stato ma non sempre puntuale, mentre invece occorre andare oltre «l’indignazione e usare il sapere per lavorare e costruire».
Resta intatto il rischio di un equivoco grande e potenzialmente pericoloso. A lanciare l’allarme è Aldo Varano, direttore della testata online Zoomsud e storico corrispondente dell’Unità di una volta. Varano infatti non esita a criticare l’interpretazione antropologica che alcuni osservatori di mafia danno del fenomeno criminale nel Meridione. Quasi un destino biologico, una condanna lombrosiana, per vincere la quale servirebbero molte generazioni. Invece per il giornalista è chiaro che l’origine del fenomeno malavitoso va cercato nelle radici economiche e sociali di una terra complessa e dolente. Non è una differenza da poco, infatti aderire a una o all’altra delle scuole di pensiero implica scelte diverse nella soluzione del dramma e la prima spiegazione non è solo vagamente razzista, ma pure sbagliata e fuorviante, scegliendo la repressione come unica soluzione e non il mutamento delle condizioni sociali delle genti meridionali. (0050)

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