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"Vecchia guardia", le regole dell`Antistato

TAURIANOVA Quando sulle sue terre si iniziano a registrare i primi furti di arance e danneggiamenti, un imprenditore agricolo di Taurianova non chiede aiuto alle forze di polizia, né va in Procura …

Pubblicato il: 25/03/2014 – 12:03
"Vecchia guardia", le regole dell`Antistato

TAURIANOVA Quando sulle sue terre si iniziano a registrare i primi furti di arance e danneggiamenti, un imprenditore agricolo di Taurianova non chiede aiuto alle forze di polizia, né va in Procura a denunciare le vessazioni subìte. «Sapeva della parentela di mio fratello con i Piromalli, ovviamente no? Si è rivolto a noi. Principalmente a me personalmente, se conosco e gli posso dare una mano per sistemare sta situazione. Gli ho detto “guardi io conosco questi a meno che poi non sono altre famiglie non lo so. Ma a questi li conosco. Perché sono clienti miei, vengono a spendere qua da me, comprano qualcosa per le loro campagne”». A raccontare tutto in dettaglio, in una serie di interrogatori, prima al pm Giovanni Musarò, quindi al sostituto procuratore Giulia Pantano è il pentito Antonio Russo.

LE RIVELAZIONI DEL COLLABORATORE
Non è un affiliato, ma nel tempo ha avuto modo di diventare uomo di fiducia dell’élite della `ndrangheta della Piana – i Piromalli e i Molè – di cui conosce organigramma, affari e soprattutto le litigiose e complesse dinamiche interne. Per questo, la sua collaborazione sta facendo male ai clan che dominano Gioia Tauro e le zone limitrofe. E probabilmente lo farà ancora in futuro. «Le sue conoscenze – ha affermato il procuratore capo della Dda, Federico Cafiero de Raho – sono di altissimo livello. Ha operato in vari settori, le sue dichiarazioni sono già sfociate in alcune misure cautelari, altre ancora sono in via di approfondimento». Quelle sugli Zappia erano sicuramente  precise, coerenti e circostanziate. Anche perché Russo all’epoca era considerato una persona affidabile tra gli uomini delle `ndrine, uno con cui si poteva parlare senza timore e con un rango tale da poter fare da garante e mediatore. Ma anche i professionisti che avevano necessità di parlare con gli uomini dei clan senza – almeno ufficialmente – sporcarsi le mani, andavano a bussare alla sua porta.

RUSSO MEDIATORE
Per questo, sarebbe stato lui stesso a farsi carico delle “trattative” con gli Zappia «essendo anche gli Zappia miei clienti, dissi una volta io a Pino Zappia (…) guarda mi puoi dare una mano? A questo gli stanno facendo tutti sti` danni, gli tagliano le gabbie, gli rubano le arance. Dice “guarda io non posso interessarmi però qua si tratta di denaro…”». Questo sarebbe stato il dialogo fra Russo e Pino Zappia – messo a verbale dal pentito di fronte agli inquirenti – al termine del quale sarebbe arrivata una richiesta molto precisa: «1.250 euro ogni quindici giugno e 1.250 euro ogni quindici dicembre». Quasi una tassa, il cui pagamento sarebbe stato delegato dall`imprenditore di Taurianova allo stesso Russo. «Ero io che facevo da tramite, busta mi davano e busta gli davo», mette a verbale Russo che spiega che l’impreditore taglieggiato portava una busta «sigillata, incollata e quando venivano loro busta gli davo. Aprite, controllate. Contavano… Sapevano che ce l’avevo io, quindi anche se passavano con qualche giorno di ritardo… non erano precisi. Io i soldi delle  estorsioni li davo o… raramente venivano le donne da me al capannone a ritirare la busta, o veniva un altro omonimo che si chiama Pino Zappia».
Pagamenti che sarebbero andati avanti regolarmente fino al 2009, quando il rientro di Domenico Cianci in Calabria, dopo un periodo di soggiorno obbligato in Emilia, aveva imposto una nuova spartizione delle estorsioni. È sempre Russo a raccontare ai magistrati che sarebbero state le sorelle Zappia, pienamente inserite negli affari mafiosi della famiglia, a comunicargli che i proventi di quel terreno non sarebbero più toccati a loro. «Mi dissero, guarda… noi da questo momento non c`entriamo più niente… sarà contattato da un tal Ciancio di San Martino e che poi se la vede con lui, dice perché ci siamo divisi la zona» racconta Russo ai magistrati, per poi specificare in un secondo interrogatorio:  «Mi hanno detto (…) siccome è uscito Ciancio, là va con Ciancio, non so se di questa cosa qua se la vede Ciancio, dice, noi non centriamo più niente. Quindi è inutile che li porta a noi». Da quel momento in poi, l’imprenditore avrebbe iniziato a corrispondere regolarmente a Cianci 100 euro al mese. Sarà lui stesso a confermarlo agli inquirenti, ma solo dopo essere stato messo a confronto con le lunghe, esplicite conversazioni registrate fra lui e la moglie, da cui traspare tutta la paura che i clan riuscivano a incutere loro. Una paura che mozza le parole in bocca, che spinge a cambiare strada e a evitare le campagne e i luoghi isolati, per paura di possibili ritorsioni in seguito alla convocazione in Questura. Una paura che forse, infine, ha spinto l’imprenditore ad ammettere di essere sempre stato vittima delle estorsioni mafiose. Tutti pretendevano soldi in cambio della fine di furti e danneggiamenti, tutti promettevano  protezione. Ma in realtà era solo asfissiante oppressione mafiosa, per molti, troppi divenuta normale. (0090)

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