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ROMANZO CRIMINALE | Sgominato il clan dei Patania, in manette un ex maresciallo infedele

LAMEZIA TERME A dicembre del 2012, dopo lo scalpore suscitato dalla perquisizione scattata a carico dell`ex comandante della stazione dei carabinieri di Sant`Onofrio e dell`allora parroco di Stefan…

Pubblicato il: 27/03/2014 – 8:09
ROMANZO CRIMINALE | Sgominato il clan dei Patania, in manette un ex maresciallo infedele

LAMEZIA TERME A dicembre del 2012, dopo lo scalpore suscitato dalla perquisizione scattata a carico dell`ex comandante della stazione dei carabinieri di Sant`Onofrio e dell`allora parroco di Stefanaconi, il procuratore capo Vincenzo Lombardo spiegò che erano emersi degli «indizi» di rapporti, diretti o indiretti, dei due personaggi con alcuni componenti della cosca Patania di Stefanaconi. A quegli indizi, poi, si sono aggiunte delle prove solide raccolte dagli inquirenti – la Dda di Catanzaro e i carabinieri del Comando provinciale di Vibo – nelle oltre 600 pagine del decreto di fermo di indiziato di delitto eseguito stamattina a carico di 11 persone, tra cui ci sarebbero gli ultimi affiliati rimasti a piede libero. Si tratta di Bruno Patania, 39 anni; Alessandro Bartalotta, 23 anni; Antonio Sposato, 38 anni; Iliya Krastev, 33 anni; Maria Consiglia Lopreiato, 31 anni; Caterina Caglioti, 32 anni; Alex Loielo, 21 anni; Natale De Pace, 62 anni (l`unico ai domiciliari, per motivi di salute); Toni Mazzeo, 38 anni; Riccardo Cellura, 32 anni. I reati contestati, a vario titolo, sono: associazione mafiosa, estorsione, usura, danneggiamento, detenzione di armi, possesso di segni distintivi contraffatti e favoreggiamento personale. Tra i fermati, c`è anche l`ex maresciallo Sebastiano Cannizzaro, sospeso dal maggio 2012 e radiato dall`Arma nel febbraio scorso, accusato di concorso esterno in associazione mafiosa, rivelazione di segreto d`ufficio, omissione di atti d`ufficio, falso, abuso d`ufficio e favoreggiamento.
«I carabinieri – ha evidenziato il colonnello Daniele Scardecchia, comandante provinciale di Vibo –  hanno fatto pulizia al loro interno, senza guardare in faccia nessuno».

FAVORI E INFORMAZIONI RISERVATE PER I PATANIA
Il ruolo dell`ex carabiniere è stato definito «inquietante» dagli inquirenti. Dalle carte dell`inchiesta emerge la sua presunta «contiguità» ai Patania, “famiglia” storica del piccolo centro alle porte di Vibo Valentia appoggiata dai Mancuso – in particolare dal boss “Luni Scarpuni” – nella recente, sanguinosa faida contro il clan emergente dei “Piscopisani”, che operava in autonomia e non voleva sottostare al potere dei mammasantissima di Nicotera e Limbadi. Le condotte di Cannizzaro, secondo la Dda, vanno inquadrate «nell`ottica della più ampia e reiteratamente manifestata finalità di agevolare il clan oggetto delle investigazioni», e ciò a discapito delle fazioni contrapposte ai Patania, in primo luogo i Bonavota di Sant`Onofrio, a cui facevano riferimento anche i Bartolotta di Stefanaconi.
Così i Patania, secondo i magistrati, hanno potuto acquisire diverse notizie su indagini a carico loro e dei loro avversari, e si sarebbero rafforzati anche grazie alle «plurime omissioni», da parte dell`ex maresciallo, riguardo alla trasmissione alle autorità competenti «di atti e documenti aventi rilievo penale e rilevanza investigativa» nei confronti dello stesso clan, che avrebbe così avuto il tempo di adottare alcune contromisure per eludere indagini e controlli di polizia. In un caso – quello relativo alle intimidazioni subite dal titolare della ditta “Ecoservice”, che si occupava della raccolta della differenziata a Stefanaconi e che era stato costretto ad assumere il figlio di Fortunato, Giuseppe, a cui poi sarebbe subentrato un altro suo sodale, Alessandro Bartalotta – l`ex maresciallo avrebbe omesso, «indebitamente ed ingiustificatamente» di trasmettere tempestivamente all`autorità giudiziaria il verbale delle sommarie informazioni testimoniali rese dal titolare dell`azienda, che aveva esternato i suoi sospetti nei confronti di Patania e Bartalotta.
Nel corso di vari interrogatori, i collaboratori di giustizia Loredana Patania e Daniele Bono «hanno più volte riferito – si legge nel decreto di fermo redatto dal sostituto procuratore della Dda, Simona Rossi – che il maresciallo Sebastiano Cannizzaro, per quanto a loro diretta conoscenza, era solito fornire informazioni riservate, apprese nell`esercizio delle sue funzioni di Comandante della Stazione CC di Sant`Onofrio al sacerdote Salvatore Santaguida, parroco di Stefanaconi, perché le veicolasse proprio ai Patania».
Le informazioni riservate a cui i collaboratori hanno fatto riferimento riguardano in particolare alcune intercettazioni e alcune perquisizioni in procinto di essere eseguite a carico dei Patania. E poi c`è il caso, emblematico, delle targhe, già emerso dalle perquisizioni del dicembre 2012: quando i Patania vedevano transitare a Stefanaconi delle auto sconosciute, “sospette” perché potenzialmente appartenenti ad affiliati delle cosche contrapposte, annotavano il numero di targa e consegnavano l`appunto a Giuseppina Iacopetta, vedova di Fortunato – il patriarca del clan ucciso nel settembre 2011 – la quale a sua volta, secondo la Dda, lo “girava” al parroco che «forniva le targhe al maresciallo Cannizzaro, il quale, dopo i relativi accertamenti, forniva le generalità dei soggetti risultati proprietari dei mezzi».
Insomma gli eredi di “Nato” da questo punto di vista erano tranquilli, come spiega in un interrogatorio Loredana Patania, tra i pentiti chiave dell`indagine: «Magari non avevano posti di blocco, cioè loro passavano tranquillamente, avevano sempre armi addosso e passavano tranquillamente che i carabinieri non li fermavano».

IL CADAVERE DI PENNA E IL “SALVACONDOTTO” PER IL CLAN
Cannizzaro aveva contatti quotidiani con il parroco. Si vedevano di persona o si sentivano per telefono. E avevano, seppur per ragioni diverse, anche un`ossessione in comune: il ritrovamento del cadavere di Michele Penna, assicuratore e segretario cittadino dell`Udc, all`epoca 30enne, inghiottito dalla lupara bianca il 19 ottobre 2007. Sia il prete che il maresciallo ritenevano che Loredana Patania, suo marito Giuseppe Matina – detto “Gringia”, ucciso a febbraio 2012 – ed Emilio Antonio Bartolotta – presunto capo della “famiglia” di Stefanaconi avversa ai Patania – fossero a conoscenza del luogo in cui era stato sepolto Penna. E il suo ritrovamento, nelle parole che avrebbero detto Pino e Saverio Patania a Loredana, avrebbe portato dei benefici alla cosca. La pentita infatti riferisce che gli sarebbe stato detto esplicitamente: «Tu lo devi fare ritrovare per la famiglia perché a noi… praticamente è come un telepass, noi gli diamo a Michele e loro ci fanno passare».
Il parroco potrebbe aver agito solo per cercare di aiutare i genitori del giovane scomparso, mentre Cannizzaro secondo la Dda avrebbe di fatto agevolato l`operato della cosca «con la speranza che Patania Loredana (benché non organica a tale consorteria, ma intrattenente con il direttorio di questa stretti legami di parentela) facesse ritrovare il corpo di Penna Michele. A tal proposito – si legge nelle carte dell`inchiesta – la stessa Patania Loredana riferiva che i propri cugini, fiutata l`occasione, spesso la esortavano a rivelare al parroco il luogo del seppellimento di Penna in considerazione che tale circostanza avrebbe loro garantito importanti vantaggi nel rapporto con la Stazione CC di Sant`Onofrio e di fatto costituito una sorta di “salvacondotto” per il proprio criminale operato».

LE DENUNCE DI FIORILLO E IL “FALSO” DOCUMENTO DELLA PROCURA
La faida tra i Patania e i Piscopisani scoppiò dopo l`omicidio di Nato Patania. Il capomafia fu freddato mentre si stavano svolgendo i funerali di Michele Mario Fiorillo, agricoltore di Piscopio che era stato ucciso pochi giorni prima. Un delitto chiave, questo, che secondo gli inquirenti fu preso quasi come un pretesto dai piscopisani per consumare la loro vendetta sul capoclan rivale. Fiorillo però, come emerge dalle carte dell`inchiesta portata a termine oggi, aveva denunciato quattro volte – tra l`ottobre del 2010 e il giugno del 2011 – le vessazioni subite dal capomafia di Stefanaconi e dai suoi figli, ma l`ex maresciallo Cannizzaro avrebbe omesso di trasmettere tempestivamente le querele alla Procura. Cannizzaro
, poi, nel febbraio 2012, le ha inviate al Reparto Operativo del Comando provinciale dei carabinieri, attestando «falsamente di aver recapitato “ulteriormente” alla sua gerarchia le denunce di Fiorillo Michele Mario, quando, in realtà, erano state consegnate solo in quella occasione». Altro falso, poi, l`ex comandante della stazione di Sant`Onofrio lo avrebbe commesso attestando di avere già trasmesso la comunicazione della notizia di reato alla Procura della Repubblica di Vibo Valentia, «cosa che non era in realtà mai avvenuta». Anzi, l`ex maresciallo, in relazione a queste denunce, avrebbe redatto anche «una falsa ricevuta» della Procura.

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