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Nicola Colloca e Giuseppe Cricrì: due morti, un destino

VIBO VALENTIA Due storie diverse, distanti. Nessun collegamento tangibile, nessun punto di contatto, nessuna ipotesi suggestiva. Non c`è, in queste storie, nulla di intrigante su cui fantasticare, …

Pubblicato il: 19/04/2014 – 13:23
Nicola Colloca e Giuseppe Cricrì: due morti, un destino

VIBO VALENTIA Due storie diverse, distanti. Nessun collegamento tangibile, nessun punto di contatto, nessuna ipotesi suggestiva. Non c`è, in queste storie, nulla di intrigante su cui fantasticare, non c`è letteratura di genere da costruire. C`è, invece, un destino atroce, una morte improvvisa, violenta e all`apparenza inspiegabile, e ci sono altre macabre analogie ad accomunare le storie di Nicola Colloca e di Giuseppe Damiano Cricrì. Vibonesi, quasi 50enni – al momento della morte avevano 49 anni il primo, di Vena Superiore, e 48 il secondo, di Dinami –, dopo essere scomparsi nel nulla sono stati ritrovati, in luoghi e momenti diversi, carbonizzati nelle loro auto. Per entrambi, nell`immediato del ritrovamento, si è ipotizzato il suicidio, ma ben presto, sulla loro sorte, si sono aperti altri scenari, diversi e ancora in parte inesplorati. Entrambi conducevano un`esistenza apparentemente senza ombre, da persone oneste e tranquille, ma entrambi avevano una vita sentimentale per certi versi difficile, sofferta, che agli occhi degli inquirenti che stanno scavando per trovare la verità sulla loro morte presenta diversi punti oscuri.    

COLLOCA: I BUCHI NERI E LE CHIAVI SPARITE
Contrada Gutumara, Comune di Pizzo, è uno dei posti più suggestivi e meno conosciuti del Vibonese. Il panorama che regala è mozzafiato, rovinato in parte solo da antenne, tralicci e ripetitori. È il punto più alto del territorio di Pizzo, ed è più vicino al centro abitato di Sant`Onofrio che alla cittadina costiera famosa per i tartufi gelato. Poco distante dallo svincolo A3, vi si arriva imboccando una stradina vicina all`area industriale di Maierato. C`è una fitta pineta: da una parte pianure verdeggianti, dall`altra uno strapiombo vertiginoso da cui si scorge tutto il golfo di Lamezia e che sovrasta il viadotto autostradale che collega Pizzo e Vibo.
Il 26 settembre 2010 la tranquillità di questa contrada è squarciata da sirene e lampeggianti. Sul posto, i carabinieri, allertati da due operai forestali – non in servizio – che si sono accorti della presenza di un`auto bruciata con un corpo all`interno. È domenica, sono le 18, e quel corpo risulterà essere di Nicola Colloca, all`epoca 49enne, infermiere del 118, che era sparito due giorni prima.
Che si tratta di lui lo si deduce dall`auto – una Opel Corsa bianca – ma la certezza arriva solo con l`esame del dna, perché il corpo non è riconoscibile, gli arti inferiori e superiori sono stati divorati dalle fiamme. Secondo quanto rilevato dal medico legale e dal perito balistico, il corpo si trova sul sedile anteriore sinistro, con lo schienale reclinato all`indietro. L`incendio sarebbe partito dallo spazio ai suoi piedi. Sotto il sedile viene trovato un piccolo flacone in vetro in cui sono riscontrate tracce di benzina. Inoltre appare chiaro che l`incendio è avvenuto in contrada Gutumara, poiché sui fusti degli alberi circostanti si notano tracce di bruciature. La vastità del rogo, secondo la perizia balistica, non può attribuirsi ad un evento involontario, e inoltre diversi elementi fanno concludere che nel momento in cui è stato innescato l`incendio, i finestrini e gli sportelli dell`auto erano chiusi. Ciò porta il perito a concludere che il rogo sarebbe stato causato dallo stesso Colloca. Il medico legale rileva nel sangue dell`uomo «tracce di cloroformio» – che, in determinate quantità, ha effetto anastetico – mentre dagli esami tossicologici emerge la presenza di Lorazepam, ansiolitico meglio note come Tavor. Nei bronchi ci sono tracce di particelle fuligginose, quindi mentre il fuoco divampava l`infermiere continuava a respirare. Era vivo, ma mentre bruciava «non ha eseguito alcun movimento». La conclusione dei periti della Procura: l`uomo «si è chiuso nell`autovettura e ha versato il liquido incendiario nella parte anteriore sinistra […] In detta posizione – disteso sul sedile, ndr – ha inalato il cloroformio e contemporaneamente ha innescato l`incendio».  
La moglie e il figlio – all`epoca 21enne – di Colloca raccontano che l`infermiere, venerdì 24 settembre 2010, rientra a casa dal lavoro intorno alle 14, mangia qualcosa e va a riposarsi. Quando si sveglia, i suoi congiunti lo mettono a confronto con una donna – nella loro abitazione – che dicono essere la sua amante, e gli chiedono di ammettere il presunto adulterio. L`uomo nega, si innesca una discussione e la presunta amante se ne va. Anche la moglie di Colloca, stando al suo racconto, esce di casa. Il figlio riferisce agli inquirenti che poi esce anche il padre, prendendo una busta che forse conteneva il libretto di circolazione dell`auto, ma lasciando lì il suo telefono cellulare. Grazie al sistema satellitare installato dalla compagnia assicurativa, si ricostruisce il percorso che l`Opel Corsa – partita da casa intorno alle 17 – compie prima di arrivare alla pineta: un tragitto strano, con l`auto che si ferma più volte per le strade di Vibo, dopodiché si dirige verso Sant`Onofrio, arriva in una stradina del centro abitato contigua ad una zona isolata, quindi torna indietro e si dirige verso contrada Gutumara. Il segnale satellitare cessa intorno alle 4 del mattino di sabato, ora in cui presumibilmente le fiamme avrebbero avvolto l`auto e il corpo al suo interno.
Nell`immediatezza moglie e figlio non denunciano la scomparsa, ma il ragazzo ne dà notizia al padre di Colloca – stando a quanto sostiene quest`ultimo – solo sabato pomeriggio. Interrogata, la moglie dell`uomo avrebbe ammesso di avere a sua volta un amante, da anni, e dalle indagini sarebbe emerso che lei e la presunta amante del marito erano in contatto. I congiunti dell`infermiere paiono da subito convinti del suicidio. Il padre, al contrario, non ci crede affatto: spiega che suo figlio era «un fifone», che mai sarebbe riuscito a porre fine alla sua vita in quel modo, che era «un grafomane e avrebbe lasciato sicuramente un messaggio», aggiunge che la nuora e il nipote, due giorni prima del funerale, gli hanno chiesto di cremare il corpo, e solleva due questioni. Primo: «Dalla lettura dei suoi diari non emerge mai la volontà di compiere un gesto simile». Secondo: «È stato accertato che gli sportelli erano chiusi mentre l`incendio divampava, ma le chiavi dell`auto non sono mai state ritrovate». Anche il pm Michele Sirgiovanni non considera il caso risolto, infatti dopo aver aperto un primo fascicolo, per omicidio, ne ha aperto un altro più recente per istigazione al suicidio. Lo scorso 1° marzo la Procura ha disposto la riesumazione del cadavere e ha affidato un nuovo incarico all`anatomopatologo romano Giuseppe Arcudi. I risultati arriveranno a breve, e anche sui diari della vittima, 12 quaderni sui quali sarebbero annotate le sue vicende quotidiane degli ultimi 2-3 anni, si stanno effettuando nuovi accertamenti.

IL MISTERO DELL`ORGANISTA CANDIDATO A SINDACO
Il 16 marzo scorso, a Dinami, è lutto cittadino. Si celebrano i funerali di Giuseppe Cricrì, l`organista che si era candidato alla guida di una lista civica alle passate amministrative e che il 22 ottobre 2013 è stato trovato carbonizzato, in una zona boschiva di Acquaro, all`interno della sua Fiat Panda. Si pensa al suicidio, ma il giorno precedente al ritrovamento, prima di scomparire nel nulla, l`uomo era passato da casa del cognato per chiedergli una mano per il trasloco che avrebbe dovuto fare all`indomani. Giuseppe era un uomo di fede, suonava l`organo nella chiesa di Melicuccà di Dinami, non aveva avuto una vita facile e dieci anni fa, dopo essersi separato dalla moglie, era tornato a vivere con i genitori. Pare che negli ultimi tempi avesse intrecciato una relazione con una donna, a sua volta separata, e che la relazione fosse finita per volontà dell`uomo. La donna in questione avrebbe avuto, secondo quanto rilevato dagli inquirenti, altre relazioni potenzialmente “pericolose”. Dopo l`iniziale pista del suicidio, dunque, ora le indagini – coordinate dal pm Alessandro Pesce e condotte sul campo dai carabinieri della Compagnia di Serra,
guidati dal capitano Stefano Esposito Vangone – si stanno dirigendo sull`omicidio, ovviamente non tralasciando alcuna ipotesi ma privilegiando la pista “passionale”. Da alcuni esami specifici su ciò che è rimasto del 48enne, infine, starebbero emergendo elementi che fanno pensare a un`aggressione feroce, subita dall`uomo forse in un luogo diverso da quello in cui è stato ritrovato, e forse portata a compimento da più persone.

Il servizio è stato pubblicato sul numero 145 del Corriere della Calabria.

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