«Il nome di battaglia da staffetta partigiana di mia nonna era Carla. In realtà si chiamava Santina Riberi»: inizia così la lettera che Mario Riberi, 18enne di Mirto Crosia, ha inviato a Laura Boldrini. E ieri – nel giorno del 69esimo anniversario della Liberazione – il presidente della Camera ha condiviso sulla propria pagina facebook la storia di “Carla” e, assieme, quella del giovane nipote – oggi coetaneo della partigiana al momento della sua fucilazione – che quella nonna non l`ha mai conosciuta se non in una foto ingiallita. «Voglio condividere – ha scritto la terza carica dello Stato – la sua storia per ricordare, soprattutto ai giovani, che se si smarrisce la memoria si può essere indotti a dare per scontata la libertà. Parlo per esperienza diretta vissuta accanto ai rifugiati politici, persone in fuga da guerre e persecuzioni da Paesi dove il diritto di voto è un miraggio, dove non puoi né dire né scrivere ciò che pensi, dove rischi la vita se provi a fare valere le tue ragioni. La nostra democrazia è stata una conquista. Teniamocela stretta e custodiamola». La Boldrini elogia il ragazzo calabrese come esempio virtuoso di chi, in tempi di antipolitica e sfiducia verso le istituzioni, «ha cominciato un percorso di impegno civile e politico nel quale crede».
Scrive Riberi: «Se oggi fosse qui, a festeggiare la Liberazione per la quale ha lottato, avrebbe 87 anni. La sua vita, invece, fu crudelmente spezzata a soli 17 anni. Fu fucilata nel cortile della caserma Freguglia di Ivrea dai componenti del battaglione fascista Barbarigo, dopo essere stata torturata per due giorni. Era nata a Viverone, in provincia di Biella, il 5 novembre 1926. Del suo aspetto so quello che si vede in una vecchia foto ingiallita che la ritrae durante una manifestazione, con la bandiera tra le mani e il passo deciso. Sulla sua personalità so che il suo comandante la definiva una donna buona, coraggiosa e forte. Il 9 settembre del 1944, quando fu catturata e uccisa, aveva un figlio di un anno e mezzo. Immagino che l’essere donna e giovanissima mamma abbia rafforzato gli ideali che la spinsero ad aderire alla divisione Garibaldi, a lottare con determinazione e correndo pericoli estremi per ottenere libertà ed emancipazione».
Il 18enne di Mirto Crosia, da qualche anno impegnato nella militanza politica e rappresentante studentesco, aggiunge: «Credo che il contributo di mia nonna, come delle tante partigiane del Canavese, sia stato prezioso nella lotta contro il nazifascismo. La loro vita è stata certamente segnata dalla terribile esperienza della guerra e alcune, per quei valori, hanno pagato il prezzo più alto. Le partigiane attive in quella zona d’Italia furono quasi quattrocento. Ben venticinque vennero incarcerate, cinque torturate, una deportata, nove ferite in combattimento, dodici uccise».
Nella lettera indirizzata a Laura Boldrini, Riberi racconta come spesso gli capiti «di immaginare cosa avrà passato mia nonna in quegli anni di resistenza. Vorrei tanto poterle chiedere come ha vissuto quei momenti. Quando penso alla sua vita ed al suo coraggio, mi viene in mente il passaggio finale di una poesia di Italo Calvino che si intitola “Oltre il ponte”, e che fa così: “e vorrei che quei nostri pensieri quelle nostre speranze di allora rivivessero in quel che tu speri o ragazza color dell’aurora”. Questa nonna, rimasta per sempre una giovane eroina che ha dato la vita per la libertà insieme a tanti altri partigiani, per me e la mia famiglia è un grande esempio perché so che grazie a persone come lei che oggi siamo un Paese democratico. Ed è la consapevolezza della nostra storia che motiva il mio impegno civile».
Mario ha cominciato la militanza quattro anni fa, a 14 anni, «perché non è vero che la politica la fanno solo gli adulti. Oggi, alla stessa età in cui mia nonna fu uccisa, penso di farne il senso della mia vita. A me piace mettermi al servizio degli altri, parlare con le persone e ascoltare i loro problemi, da quelli che riguardano il mio paese, Mirto Crosia in provincia di Cosenza, a quelli che coinvolgono tutti, con l’obiettivo di migliorare l’Italia, proprio come volevano i partigiani. E quando ascolto frasi che farebbero venire voglia di arrendersi penso a lei e vado avanti a testa alta perché mi sento come loro: in lotta per cambiare questo Paese». (0070)
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