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Mafia a Sant'Ilario, chieste pene pesanti

REGGIO CALABRIA Sono pene severe quelle chieste dal pm Antonio De Bernardo per gli imputati del processo Dogville, tutti ritenuti a vario titolo espressione dei clan di Sant’Ilario dello Jonio. La …

Pubblicato il: 28/05/2014 – 22:00
Mafia a Sant'Ilario, chieste pene pesanti

REGGIO CALABRIA Sono pene severe quelle chieste dal pm Antonio De Bernardo per gli imputati del processo Dogville, tutti ritenuti a vario titolo espressione dei clan di Sant’Ilario dello Jonio. La pena più alta è quella che il pm della Dda reggina ha invocato per Giuseppe Belcastro, considerato il capo della ‘ndrina dei Belcastro-Romeo, da anni in lotta per l’egemonia a Sant’Ilario dello Jonio. Per lui, il sostituto procuratore De Bernardo ha chiesto 14 anni di reclusione e 8mila euro di multa. Medesima pena è stata invocata per Domenico Musolino, accompagnata però da una sanzione pecuniaria di 10mila euro. Pene pesanti sono state chieste anche per i familiari di Belcastro. Sono infatti 12 gli anni di reclusione invocati per Antonio Galizia, figlio del presunto boss, mentre è di 6 anni, 8 mesi e 6mila euro di multa la pena chiesta per la moglie, Grazia Marzano. Infine, il pm De Bernardo ha chiesto al gup Santoro di condannare a 6 anni e 8 mesi di reclusione e 6mila euro di multa ciascuno Giuseppe Nocera e Antonia Napoli, mentre è di 8 anni di carcere e 10 mila euro di multa la pena chiesta per Ivano Tedesco. Ergastolano, ma fuori dal carcere per decorrenza termini dl 2010 a causa di un ritardo nel deposito delle motivazioni della sentenza, stando alla ricostruzione della Dda, Belcastro non solo aveva costretto un imprenditore a versargli regolarmente mille euro, ma anche ad assumere come braccianti agricoli alcuni affiliati alla cosca, incluso il figlio del presunto boss, cui doveva regolarmente pagare lo stipendio nonostante non avessero mai lavorato. Gli assegni usati per pagare gli stipendi venivano portati all’incasso da uno degli indagati, che poi girava il denaro a Belcastro. Vessato dalla cosca, l’imprenditore ha denunciato tutto alla polizia fornendo i riscontri all’attività di indagine che aveva già dimostrato l’operatività di Giuseppe Belcastro e dei suoi uomini nel territorio di Sant’Ilario dello Jonio. Cresciuto all’ombra della potentissima cosca D’Agostino, è tra le loro fila che Belcastro cresce come fedele braccio destro dei tre fratelli D’Agostino, fino a quando l’avidità dei tre giovani boss non fa esplodere il malcontento. Uomo della vecchia ‘ndrangheta, fedele ai falsi principi di rispetto mafioso, a Belcastro non andava giù che i tre fratelli trattenessero per sé tutti i proventi dell’attività illecita, lasciando a stecchetto picciotti e gregari. Ed è per questo che si convertirà rapidamente nel capofila di una scissione interna. A dare manforte al ribelle, da Reggio arriverà anche Tommaso Romeo, forgiatosi negli anni della seconda guerra di ‘ndrangheta. «Attorno a loro – aveva commentato il procuratore aggiunto Nicola Gratteri all’epoca del fermo – si è andato coagulando gran parte del gruppo di fuoco dei D’Agostino. Di fatto, assistiamo alla creazione di una nuova ‘ndrina». Un affronto che il clan d’origine non ha sopportato. Dai primi anni Novanta, il comprensorio di Sant’Ilario verrà insanguinato dalla faida fra le due consorterie, durante la quale la nupova cosca verrà stritolata dalla potenza di fuoco che i D’Agostino possono mettere in campo, grazie anche a killer venuti da fuori. Solo anni di latitanza volontaria – ha sottolineato oggi Gratteri – hanno permesso a Belcastro e Romeo di salvarsi dalla furia del clan avversario. A spiegare quella lunga scia di sangue sarà l’operazione Prima Luce, che nell’estate del 2000 porterà dietro le sbarre 14 persone, in seguito condannate sia in primo grado, sia in appello a pene pesantissime. Fra loro, anche Giuseppe Belcastro, considerato il boss della piccola ma feroce cosca che a colpi di lupara aveva cercato di farsi strada a Sant’Ilario. (0050)

Alessia Candito

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