REGGIO CALABRIA Ci sono vistosi, larghi, significativi omissis nel verbale dell’ex ministro dell’Interno Claudio Scajola, depositato dal pm di Reggio Calabria Giuseppe Lombardo e dal sostituto della Dna Francesco Curcio agli atti del Tribunale del Riesame. Ma le poche dichiarazioni dell’ex ministro sopravvissute alla censura degli inquirenti sono estremamente significative perché confermano che Claudio Scajola ha lavorato perché l’ex parlamentare di Forza Italia Amedeo Matacena sfuggisse a una condanna definitiva per mafia, riparando in Libano dove avrebbe beneficiato dell’asilo politico.
Ma a quello che lui stesso nelle innumerevoli conversazioni intercettate, quindi confluite nell’ordinanza che lo ha spedito in carcere, definisce «programma», Scajola non lavorava da solo. «Lo Speziali – si legge nel verbale di interrogatorio – mi propose un incontro con Chiara Rizzo e un consigliere di Gemayel per affrontare l’argomento». Un’affermazione che – nonostante le indignate smentite del diretto interessato – non fa che confermare quanto emerge tra le righe dell’ordinanza.
Anche l’omonimo nipote dell’ex senatore catanzarese del Pdl, Speziali, si era attivato per agevolare Matacena nel sottrarsi alla giustizia. Sarebbe stato lui a tenere i contatti con le autorità libanesi, così come sarebbe stato lui ad organizzare l’incontro fra la moglie di Matacena, Chiara Rizzo, e gli inviati del leader delle Falangi libanesi. «Seppi da Speziali – ammette infatti di fronte ai pm l’ex ministro – che a tale incontro non avrebbe preso parte il consigliere di Gemayel qualche giorno prima della data fissata, tanto è vero, se ben ricordo, che mi era stato detto che avrebbero mandato una lettera che lo Speziali riferiva a Gemayel». Una lettera vergata in francese e indirizzata al «Mio caro Claudio» che gli investigatori hanno trovato nel corso delle perquisizioni negli uffici dell’ex ministro.
Una lettera pesantissima che non solo inchioda Scajola ma tira in ballo direttamente anche Speziali. «Come mi ha spiegato il nostro amico comune – si legge infatti nella missiva – mesi fa verso la fine di novembre, capisco bene che la questione ti tocca particolarmente. Sfortunatamente proprio oggi siamo in pieno dibattito ministeriale per accordare la fiducia al nuovo governo, visto che il vecchio è dimissionario da quasi un anno. Prima di oggi era inutile tentare di trovare un accordo per la persona che ti è cara, mentre da due settimane, ossia dalla formazione del nuovo esecutivo io ho potuto patrocinare la questione e abbiamo già convenuto che una volta qui egli potrà beneficiare, in maniera riservata, della stessa situazione che egli ha a Dubai».
Quello che gli inquirenti ritengono – e Scajola ha confermato essere – Amin Gemayel era perfettamente informato delle condizioni di Matacena, così come delle esigenze del fuggiasco, di cui più di uno si è preoccupato di preservare non solo la libertà ma anche l’operatività. E quasi a fugare ogni angoscia, nella breve missiva indirizzata a Scajola si assicura che a Matacena saranno assicurate le migliori condizioni in Libano, «consegnandogli un documento di identificazione con dati anagrafici affinché egli possa rimanere nel nostro Paese e condurre una vita normale, naturalmente sotto la nostra responsabilità. Ciò di cui mi occuperò a partire da domani è di trovare un modo riservato per farlo uscire dagli Emirati Arabi poiché tratteremo il dossier con molta attenzione, una volta ottenute le garanzie che noi stabiliremo con le autorità. Comprendi bene che la questione è molto delicata, ma sono fiducioso. A tal fine, visto che la prossima settimana ci andrò per un giorno e mezzo, porterò con me il nostro amico e tenterò di avviare il discorso e ti terrò informato».
Per quale motivo il potentissimo leader di una delle formazioni più influenti dello scenario politico libanese e mediorientale profonda così tanto impegno in una causa – la salvezza di Matacena – che a quanto è dato sapere non gli appartiene, allo stato nessuno può dirlo. Forse, qualche particolare in più potrà o potrebbe darlo quel «comune amico» – che gli inquirenti identificano in Speziali junior – che Gemayel si preoccupa di portare con sé quasi come testimone del proprio impegno nell’operazione. In ogni caso, per gli inquirenti si tratta di un documento eccezionale che ancor prima delle conferme arrivate in sede di interrogatorio da parte di Claudio Scajola, fornisce innumerevoli elementi di riscontro a quella rete di contatti, rapporti e relazioni che gli inquirenti hanno iniziato a ricostruire a partire dall’attività tecnica e dalle conversazioni intercettate.
Una ricostruzione precisa, accurata, che documenti come quella lettera non fanno che confermare. E che – forse – hanno indotto Scajola a fare le prime ammissioni: «Confermo che si tratta della missiva – dice agli inquirenti che gliene mostrano una copia – di cui ho parlato prima, che io colloco qualche giorni prima dell’incontro con Speziali del 16 gennaio 2014». Ma quello non è l’unico documento che è stato ritrovato. Assieme alla lettera c’era infatti un appunto, vergato a mano su carta intestata alla Camera dei deputati che fa pensare che Speziali non si sia limitato a mettere in contatto Scajola e Rizzo con le autorità libanesi, ma sia stato il vero regista del tentativo di far ottenere l’asilo politico all’ex parlamentare di Forza Italia condannato per mafia.
Prima che gliene mostrassero copia, Scajola ha infatti affermato: «Ricevuta questa missiva, ho poi predisposto un appunto in cui indicavo i punti che Speziali mia aveva detto di portare all’attenzione degli avvocati del Matacena per la procedura d’asilo». Fra le carte ritrovate dai segugi della Dia ci sono due fogli, scritti in corsivo, in cui si leggono una serie di punti: «1- evidenziare la condanna di reato associativo inesistente nel codice libanese; 2- persecuzione di carattere giudiziario per finalità politiche. Palingenesi dei processi; 3- supplica di asilo per fini umanitari e di carattere medico».
In fondo, ben evidenziato si legge anche: «Consegna diretta all’ambasciata di Roma», ma soprattutto «e dovrà essere compiuto immediatamente dopo l’insediamento del nuovo esecutivo». Istruzioni precise, nette, lapidarie, che però Scajola non riconosce come proprie: «L’appunto aggiuntivo – spiega quando i fogli gli vengono mostrati – potrebbe essere stato vergato di suo pugno dallo Speziali in occasione dell’incontro avvenuto nella data suindicata, certo non è di mio pugno». Un’affermazione che a nulla serve per scagionare Scajola, ma di certo complica – e non di poco – la posizione dell’indagato Vincenzo Speziali, che presto – molto presto – potrebbe essere chiamato a dare dettagliate spiegazioni. (0050)
Alessia Candito
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