REGGIO CALABRIA L’ombra fedele. Il braccio operativo. «Negli ultimi tempi – ammette con i magistrati – il suo unico riferimento a Imperia». Incaricata di fissare appuntamenti, prenotare viaggi, anticipare temi di discussione agli interlocutori, verificare conti, messaggi e faccende, ma all’occorrenza anche di contattare operai, ordinare e verificare lavori, fare da autista o da spalla. Roberta Sacco di Claudio Scajola sa tutto. O almeno tutto quanto la sua funzione di segretaria-ombra le ha permesso sapere. Certo – specifica in una memoria che tramite il suo legale ha fatto pervenire ai magistrati Giuseppe Lombardo e Francesco Curcio – non ha mai frequentato il suo capo «al di fuori dell’orario di lavoro, né la sua famiglia», ma di lui sa molto. E molto ha iniziato a raccontare.
Non si tratta solo dell’affettuoso rapporto fra l’ex ministro e la moglie di Matacena, Chiara Rizzo, di cui è a malincuore diventata – anche per esigenze di riservatezza legate alla situazione familiare dei due – inevitabile terminale. Ma soprattutto dei movimenti finanziari e societari, nonché dei contatti e delle relazioni del politico, che proprio tramite la sua segretaria si interfacciava con il mondo. Un mondo che potrebbe essere molto più vasto di quanto quello che già è emerso potesse far immaginare e che si potrebbe intrecciare – a quanto pare – con l’inchiesta che la Procura di Genova sta conducendo su Banca Carige, come con altri filoni di indagine – allo stato – prettamente genovesi.
Un’indiscrezione già emersa qualche giorno fa in occasione della missione ligure dei pm della Dda reggina, ma che oggi sembra trovare conferma nelle parole della Sacco che, rispondendo alle domande dei magistrati, afferma: «Scajola ha tre conti correnti. Il primo presso il Banco di Napoli di Montecitorio, il secondo presso la Bnl del Viminale e il terzo presso la Banca Carige di Imperia». Un dato che potrebbe non stupire. Quale ligure – si dice – non ha un conto in quella che viene considerata la banca territoriale? Eppure, dalle risposte della donna riportate nel verbale riassuntivo, il rapporto di Scajola con l’istituto di credito oggi al centro della bufera sembra nascondere qualcosa di più. E forse non solo perché, come afferma la Sacco, «Scajola nell’ultimo periodo aveva difficoltà economiche tanto da aver sforato i fidi concessi dalle banche» e da aver chiesto alla sua segretaria di «fare il riconteggio delle spese mensili, visto che aveva bisogno di sapere quale fosse il suo bilancio familiare».
L’austerity di Scajola
Un periodo difficile in cui – forse – l’ex ministro potrebbe aver avuto la necessità di elevare il grado di riservatezza delle sue conversazioni, se è vero che «ha recentemente chiesto di aver installato Skype – riferisce la Sacco – tanto sullo smartphone che sul suo computer portatile che utilizzava in ufficio». Con chi parlasse, perché avesse bisogno di mettere al riparo quelle parole da eventuali intercettazioni non è dato sapere. Ma più di un elemento fa pensare che l’ex ministro stesse trattando questioni delicate, magari non solo con l’ex parlamentare di Forza Italia, Amedeo Matacena, che con la medesima tecnologia ha dimostrato avere estrema familiarità. Questioni che forse potrebbero avere a che fare con uomini di peso di banca Carige – come il dirigente e consigliere provinciale del Pdl, Paolo Pippione – o della finanza svizzera, come Giorgio Muratorio, come del mondo imprenditoriale genovese e non solo.
Obiettivo banche?
Rapporti di cui la Sacco qualcosa sembra sapere: «Conosco Paolo Pippione quale funzionario della filiale di Imperia Oneglia della Banca Carige – dice, rispondendo alle domande degli inquirenti – Ricordo che Pippione è il funzionario che si è occupato del conto corrente di Scajola che ho indicato prima. il rapporto del Pippione con lo Scajola nasce però in ambito politico oltre vent’anni fa». Ma Pippione non era l’unico “uomo di banca” con cui l’ex ministro avesse a che fare. «In relazione a Giorgio Muratorio sono in grado di dire, senza avere certezze assolute – dice la Sacco – che potrebbe trattarsi della persona che lo Scajola, qualche mese fa, tra febbraio e marzo 2014, ha incontrato in Montecarlo per sbrigare alcune incombenze bancarie. Sono certa che quel giorno Scajola avesse anche un appuntamento con la Rizzo».
Ex vicepresidente e oggi general manager della Compagnie Monegasque Banque privee, quello di Giorgio Muratorio non è un nome noto al grande pubblico. Ma quello dell’istituto per cui lavora, sembra aver solleticato più di una curiosità negli inquirenti. E non solo perché l’istituto ha conquistato la ribalta delle cronache agli albori di Tangentopoli, quando soggetti come Annibale Dal Verme, dirigente della Compagnie Monegasque de Banque, si facevano beccare alla frontiera di Ventimiglia con valigette colme di denaro o perché il nome dell’istituto è saltato fuori – ma senza ulteriori conseguenze – nel mezzo dello scandalo Parmalat. Nata nel 1976 su iniziativa della Banca Commerciale Italiana e di altri partner internazionali, a partire dal 1996 – anche a seguito del rilievo delle filiali monegasche della Comit– la Cmb è oggi interamente controllata da Mediobanca – controllata in larga parte da Mediolanum e Unicredit – che è entrata nella compagine azionaria nel 1989 e ne ha acquistato il controllo nel 2004 fino al salire al 100%.
Gli amici genovesi
Una coincidenza che gli inquirenti reggini vogliono approfondire, come allo stato sono tutti da esplorare i documentati rapporti con molti nomi noti dell’imprenditoria italiana come l’ex presidente della Federazione italiana sport invernali (Fisi), condannato per concussione nel febbraio 2013, ma in seguito tirato anche in ballo nell’inchiesta sullo Ior, Giovanni Morzenti. «Ho contattato di recente il signor Morzenti – riferisce al riguardo la Sacco – in quanto la signora Rizzo aveva bisogno di una sistemazione alberghiera in Limone Piemonte (dove Morzenti risiede, ndr): sono a conoscenza che i rapporti fra Scajola e Morzenti sono di vecchia data».
Ma questo non è l’unico nome noto che spunta nei verbali della Sacco, che arriva a parlare anche dell’ex titolare del porto di Imperia Domenico Gandolfo, indagato per associazione per delinquere finalizzata alla turbativa d’asta e per truffa aggravata ai danni dello Stato, e del manager Carlo Conti, un altro degli indagati eccellenti di quell’inchiesta sul porto di Imperia. E proprio con Gandolfo, Scajola qualche anno fa si era fatto pizzicare a chiacchierare mentre lo invitava: «Vieni a parlare nella stanza schermata». Tutti personaggi che la Sacco conosce, con cui in passato è stata in contatto, e su cui – almeno allo stato – nulla di recente sembra saper dire. Ma che sembrano suggerire l’ampiezza del network che Scajola aveva a disposizione.
Speziali
Un network di cui fa parte – a pieno titolo – anche Vincenzo Speziali jr, omonimo nipote del senatore Pdl. Un soggetto – riferisce la Sacco – di cui «avevo sentito parlare quando Scajola era ancora ministro» e con cui lei stessa sarebbe stata in contatto. «Confermo di essere stata contattata dal dottor Speziali che mi aveva anticipato che sarebbe arrivato un documento riservato per Claudio Scajola», conferma la segretaria, quando gli inquirenti le mostrano la lettera con cui quello che gli inquirenti ritengono Amin Gemayel – il leader delle falangi cristiano maronite libanesi – assicurava a Scajola che in Libano sarebbe stata garantita a Matacena la piena operatività. Una questione di cui però – afferma la Sacco – nulla sapeva o ha mai voluto sapere in dettaglio: «Ho dedotto che le operazioni gestite da Scajola, dalla Rizzo e dallo Speziali si riferissero al Matacena quando ho letto il fax di cui sopra, anche se lo Scajola a me non lo ha mai detto chiaramente». Affermazioni che toccherà alle indagini e all’eventuale procedimento pesare.
< strong>Alessia Candito
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