REGGIO CALABRIA «Il quadro che emerge da questa ordinanza di custodia cautelare ci riporta al medioevo – commenta amaramente il procuratore capo Federico Cafiero de Raho illustrando i particolari dell’operazione “Deus” –, quando era il signore a decidere della vita e della morte dei propri sudditi». E loro – in effetti – controllavano tutto, decidevano tutto. Gli appalti, i lavori, le politiche, le scelte, i simboli cui i cittadini di Rizziconi potessero avere accesso – come quella residenza Cordopatri che i Crea hanno comprato solo per abbattere –, addirittura le persone che dovevano sedere o meno nelle istituzioni comunali. Padroni incontestati nel proprio feudo, forti di un consenso popolare strappato a forza di elemosine, i Crea pensavano di essere invincibili, intoccabili. O almeno tali si sentivano fino a stamattina, quando a finire in manette è stato il capo storico del clan, quel Teodoro “Toru” Crea, pluripregiudicato per reati di mafia, già arrestato nel 2006 dopo un lungo periodo di latitanza, che a Rizziconi era conosciuto anche come “dio onnipotente”. E tale si doveva sentire quando ha deciso che l’amministrazione guidata da Antonino Bartuccio doveva finire perché troppi no aveva detto ai desiderata del clan.
«La cosca era interessata a rispondere a determinate esigenze che venivano dal territorio, perché, come in passato ha spiegato il pentito Bruzzese, i Crea a Rizziconi sono forti perché godono del consenso della gente». E quel sindaco, «sordo ai consigli di chi gli raccomandava atteggiamenti più morbidi», spiega il procuratore capo della Dda, che lo indica come «un esempio che restituisce il senso dello Stato», per i Crea non poteva e non doveva più governare il paese. Per questo, il clan – si legge nell’ordinanza – «ha agito in maniera sottile e apparentemente incruenta, con metodo tipicamente mafioso, esercitando quella forza di intimidazione di cui si avvale sul territorio, in modo tale da far apparire le vicissitudini dell’apparato amministrativo – culminate con lo scioglimento del consiglio comunale di Rizziconi del 2 aprile 2011 – quale frutto di libere scelte politiche». Ma dietro le dimissioni dei nove consiglieri che hanno privato il sindaco di una maggioranza e hanno provocato lo scioglimento del Comune – spiega Cafiero de Raho nel corso della conferenza stampa dell’operazione “Deus” – «c’ erano solo i Crea che di volta in volta intervenivano per volgere a proprio favore l’attività amministrativa». Con i più, è bastata una richiesta. Ad altri invece, come Domenico Russo, cugino omonimo di uno dei destinatari dell’ordinanza di custodia cautelare, il messaggio è stato fatto arrivare tagliando un albero – vicenda che è costata a Teodoro Crea, Antonio Crea e Domenico Russo anche la contestazione di estorsione – sulla via d’accesso all’abitazione. Ma il risultato è stato il medesimo. Il sindaco Bartuccio è rimasto solo.
Una strategia sottile che ha potuto contare sulla presunta collaborazione di due ex consiglieri comunali – Vincenzo Alessi, Girolamo Cutrì – e l’ex assessore allo Sport e allo Spettacolo, Domenico Rotolo. Tutti, per gli inquirenti, si sono fatti portatori dei desiderata del clan, tutti hanno tentato di condizionare l’attività amministrativa del Comune, tutti – per questo – sono finiti in manette. C’è chi come Rotolo avrebbe fatto presente che i Crea avrebbero gradito la conferma nell’incarico della segretaria del Comune o che il clan avrebbe preferito vedere campi di calcio piuttosto che alloggi popolari nei terreni loro confiscati, chi invece come Cutrì avrebbe tentato di drogare il concorso bandito per cercare un geometra comunale, chi come Alessi avrebbe prestato la propria storia politica al clan, dimettendosi immediatamente quando il clan l’ha richiesto.
Tutti elementi emersi nel corso dell’indagine della squadra mobile di Reggio Calabria e del Commissariato di Gioia Tauro, coordinati dal Servizio centrale operativo di Roma e diretti dal pm Alessandra Cerreti, che hanno deciso di vederci chiaro nel misterioso naufragio di quel consiglio comunale praticamente monocolore. Approfondimenti che hanno spalancato una finestra sul feudo dei Crea, che a Rizziconi tutto potevano.
Potevano – ad esempio – decidere quale ditta dovesse occuparsi della vigilanza sulla centrale elettrica a turbogas costruita a Rizziconi dalla Ansaldo Energia per conto del consorzio Rizziconi Energia. Stando a quanto emerge dalle indagini, sarebbe stato infatti il latitante Giuseppe Crea a decidere che quell’appalto da 300mila euro l’anno dovesse andare alla Securpol degli imprenditori di Villa San Giovanni, Osvaldo e Giuseppe Lombardo – oggi finiti in manette – e non alla Europol, tra l’agosto e il novembre 2011 vittima di pesanti intimidazioni, che in precedenza se lo era assicurato. O ancora, potevano accaparrarsi indebitamente i finanziamenti messi a disposizione dall’Unione europea, sottraendo alla comunità centinaia di milioni, in teoria destinati allo sviluppo, ma che solo hanno incrementato il patrimonio personale di uomini e donne del clan. Nonostante lo status di latitante dal 2006, Giuseppe Crea ha strappato alle casse dell’Agea, Agenzia per le erogazioni in agricoltura) dei contributi comunitari relativi al Psr (Piano di sviluppo rurale) per un totale di 188.884,64 euro. Una cifra più ridotta, quella pretesa e ottenuta dai familiari – il padre Teodoro Crea, la madre Clementina Burzì e la sorella Marinella Crea – che alle casse dell’ente hanno sottratto 48.408,59.
Ma questi non sono che alcuni degli esempi del dominio dei Crea, emersi nel corso di un’indagine che nonostante abbia permesso di individuare anche gregari e uomini di peso del clan, come Antonio Crea “u Malandrinu”, Domenico Crea “Scarpa lucida”, Teodoro Crea “u biondu” e Domenico Russo “u Malandrino”, per il procuratore capo Federico Cafiero de Raho «non si ferma qui». Una promessa o forse una minaccia, ma di quelle che ai cittadini di Rizziconi non possono né devono fare paura. (0050)
Alessia Candito
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