REGGIO CALABRIA È un fiume in piena di indignazione, di sdegno, di frustrazione l’ex sindaco Antonino Bartuccio, quando decide di presentarsi dalle forze di polizia per raccontare quegli episodi che a soli sei mesi dalla sua elezione stanno rendendo un inferno la sua amministrazione. Si era proposto alla guida del suo paese, reduce dall’ennesimo scioglimento per infiltrazioni mafiose solo per «motivazioni di carattere etico incentrate – si legge in quel verbale – sul rispetto di alcuni principi fondamentali, fra i quali in primis quello della salvaguardia del bene comune». Le condizioni erano tutt’altro che semplici. Con la lista avversaria esclusa per irregolarità, il primo obiettivo era raggiungere il quorum e sfidare quella famiglia che in paese aveva sempre – testimoniano i due scioglimenti – deciso l’esito delle consultazioni. Una famiglia – quella dei Crea – con cui fin da principio Bartuccio non ha voluto avere nulla a che fare. «Assieme a un gruppo di persone perbene, ovvero ragazzi, giovani alla loro prima esperienza politica, mi ero dunque affacciato sulla scena della politica locale, animato, prima di essere eletto sindaco, e dopo essere stato eletto ancora di più, da una radicale volontà di dare una svolta nel modo di gestire la cosa pubblica nella massima trasparenza e legalità al fine di realizzare i principi cardine della giustizia – racconta agli investigatori – operando lontano e al di fuori di quelle logiche che avevano permeato la vita politica di Rizziconi nel recente passato, nella consapevolezza di poter rendere un buon servizio al mio paese e dare un futuro migliore ai nostri figli, allontanando totalmente la parte becera della politica locale».
Ma quali che fossero le aspirazioni del neo primo cittadino dell’epoca, per Rizziconi, paese di 8mila anime al centro della Piana di Gioia Tauro, i Crea avevano altri programmi. Da sempre padroni incontrastati del luogo, a prescindere dall’avvicendarsi di persone e schieramenti alla guida delle istituzioni locali, i Crea non avevano alcuna intenzione di farsi da parte. E proprio come in passato, quando il Comune è stato sciolto per le loro indebite ingerenze, avrebbero preteso di continuare ad amministrare la cosa pubblica, dalle mansioni di dipendenti comunali all’assegnazione degli appalti, dalla destinazione d’uso di terreni confiscati al collocamento di questo o quel disoccupato, sempre attenti a garantirsi un ampio margine di profitto, ma anche a estese sacche di consenso. Per lavorare, per mangiare, per vivere a Rizziconi, bisognava parlare con i Crea. Questo il messaggio che il clan ha sempre voluto mandare, questa la legge cui l’ex sindaco Bartuccio ha voluto dire di no. Per questo, quando le richieste, i desiderata, i rimproveri che il clan gli presentava direttamente o per interposta persona – nello specifico, tramite l’ex assessore allo Sport, Domenico Russo, incastrato dallo stesso primo cittadino con una registrazione – l’allora sindaco di Rizziconi ha detto basta, ha deciso di presentarsi al Commissariato di Gioia Tauro. E all’esito delle attività di verifica di quel fiume di parole, il giudizio di inquirenti e investigatori è stato inequivocabile: «Forze esterne al Consiglio e alla giunta comunale di Rizziconi – espressione degli esponenti della ‘ndrangheta e, in particolare, della cosca Crea – attraverso minacce, dirette e indirette, danneggiamenti di vario genere e veri e propri atti intimidatori, erano riuscite a provocare un sostanziale isolamento del sindaco, all’evidente scopo di annullarne l’azione politica, evidentemente non gradita».
Una strategia che il 2 aprile 2011 porterà allo scioglimento del Comune per le dimissioni della maggioranza dei consiglieri. «Un modo tipicamente mafioso di imporsi, sottile, strisciante e, per questo, ancora più insidioso – sottolinea il gip nel ricostruire la vicenda – una giunta e un consiglio comunale non “graditi” alla cosca dominante venivano fatti decadere, in quanto, non rispondenti a logiche di spartizione mafiosa ma tutto ciò, all’apparenza, avveniva per questioni squisitamente politiche». Anche i clan hanno imparato. Le minacce palesi, le intimidazioni evidenti, le azioni eclatanti fanno accendere i riflettori, attirano l’attenzione delle istituzioni, magari anche dei media. Ma ai Crea il clamore non piace, non è mai piaciuto, hanno un nome che fa rumore e preferiscono agire in silenzio. Per questo con Bartuccio hanno – fin dal principio – deciso di lavorare ai fianchi. E ancor prima che diventasse sindaco, hanno tentato di fargli capire chi davvero comandasse a Rizziconi. È quanto successo nell’aprile 2009, quando al futuro primo cittadino di Rizziconi, di professione commercialista, è stato affidato l’incarico di gestire la contabilità dei beni sequestrati alla Ediltra srl, ditta riconducibile alla proprietà di Antonio Crea “u Malandrinu”, un nipote del boss Teodoro, che avrebbe preteso di essere “informato” dal concittadino e amico d’infanzia che aveva avuto l’ardire di accettare l’incarico senza consultarlo. Un episodio – si legge nell’ordinanza – privo di rilevanza penale, ma «indicativo della tracotanza del potere mafioso esercitato da Crea Antonio, il quale, noncurante del provvedimento giurisdizionale emesso dal Tribunale di Reggio Calabria – sequestro e successiva confisca della Ediltra srl – pretende di esercitare signorie sulla res, in totale spregio dell’autorità giudiziaria».
Per Crea, quella di Bartuccio sarebbe stata una «mancanza di rispetto», da punire togliendogli il saluto proprio in concomitanza con la campagna elettorale. «Tale circostanza non mi ha procurato alcun fastidio, anzi – commenta il professionista con gli investigatori – l’ho considerato un fatto positivo». Ma quando quel candidato sgradito, è diventato sindaco, il clan non ha esitato a fargli pervenire le proprie richieste. Non erano passati che pochi mesi dal suo insediamento quando l’allora assessore allo Sport, Domenico Rotolo, si presentava nell’ufficio del sindaco per chiedergli di non procedere allo spostamento ad altro incarico di quella che all’epoca era la segretaria del dirigente dei Lavori pubblici, operaia, ma finita dietro una scrivania a gestire ordinativi, predisporre determinazioni per il responsabile del servizio, ma soprattutto a trattare direttamente con le ditte esterne e con gli operai in ordine alle problematiche amministrative dei lavori eseguiti per conto dell’Ente. Una situazione che Bartuccio aveva già dato ordine di sanare ma che ad Antonio Crea – si lascerà scappare Rotolo – non andava giù. «È evidente – si legge nell’ordinanza – che il potere esercitato dal Crea attraverso quella “ambasciata” non fosse espressione del singolo ma del potere mafioso della cosca di appartenenza. Rotolo, pertanto, consapevole di ciò, è un uomo a disposizione della cosca mafiosa».
Le sue parole non avranno alcun effetto sul sindaco, ma riusciranno a bloccare per oltre un mese la macchina comunale, che riuscirà a trasferire la signora solo alla fine di settembre. E non senza difficoltà. Solo dopo aver ricordato al dirigente di settore che avrebbe potuto essere riconosciuto responsabile di un procurato danno erariale, il segretario comunale Elisabetta Tripodi riuscirà nell’impresa.
Ma la vicenda non serve ai Crea di lezione. Al contrario, il clan continuerà ad agire in maniera sempre più sfrontata, tanto che sarà Teodoro Crea “u biondo” in persona a presentarsi di fronte casa dell’allora sindaco chiedendo che un suo interessamento perché «un padre di famiglia bisognoso» venisse assunto a Piana Ambiente. Richiesta respinta al mittente da Bartuccio, totalmente estraneo alla gestione di una ditta privata, ma soprattutto sordo alla richiesta di farsi latore della richiesta presso altri politici locali, considerati vicini al management. Per gli inquirenti, l’episodio non non può che inquadrarsi «quale ulteriore tentativo posto in essere dalla cosca Crea di sondare la disponibilità del sindaco ad accondiscendere alle richieste di condizionamento dell’am
ministrazione comunale e, al contempo, creare un clima di intimidazione nei confronti del Bartuccio. Emblematico, in tal senso, appare la location in cui avviene l’incontro: “nel vano scale” dell’abitazione del sindaco, ciò rappresentando all’evidenza la possibilità di avvicinamento, anche fisico, posto in essere dalla cosca che ne amplificava la capacità di intimidazione».
Probabilmente i Crea già immaginavano la risposta del sindaco. Probabilmente quando “u biondu” gli si è parato davanti, voleva “solo” sfidare Bartuccio. Ma per il clan – e pentiti come Bruzzese lo confermano – i posti di lavoro che possono garantire, procurare, mantenere non sono un affare di poco conto. In un territorio depresso, con tassi di disoccupazione alle stelle e sempre più famiglie che difficilmente arrivano a fine mese, un lavoro o la prospettiva di lavoro sono una moneta preziosissima e cui il clan difficilmente può rinunciare. In cambio, ottengono non solo larghe sacche di consenso, ma soprattutto persone eternamente riconoscenti e che possono essere disturbate al bisogno. Al mercato della miseria sono tutti in vendita. Una logica clientelare, vecchia ma tuttora vigente, che probabilmente spiega perché anche quando il Comune ha deciso di bandire un concorso per i posti di comandante della polizia municipale, dei due direttori amministrativi, di ingegnere e di geometra, il clan abbia tentato di influenzare anche quelle nomine. Stando a quanto denunciato da Bartuccio, i Crea avrebbero avvicinato il vicesindaco e assessore alla Pubblica istruzione, Umberto Gesuè Calogero, tramite Girolamo Cutrì – ex consigliere comunale anche per questo finito in manette – perché il posto di geometra fosse per gli “amici”. «Uno ve lo siete preso voi» avrebbe detto Cutrì aggiungendo che l’altro posto di geometra sarebbe spettato «a loro», riferisce il sindaco agli investigatori. Circostanze che il sindaco avrebbe appreso dal fratello del suo assessore, Giovanni Marco Paolo Calogero, preoccupatissimo dell’eventualità che “gli amici” reiterassero la richiesta. Amici di cui Calogero ha anche il terrore di pronunciare il nome, preferendo mimare un gesto inconfondibile per i cittadini di Rizziconi con il braccio teso in avanti e il pugno chiuso verso il basso, volendo indicare un soggetto con un handicap. L’unico individuo noto a Rizziconi per tale genere di invalidità è Crea Teodoro, del ’39 detto ‘u murcu, proprio a causa della menomazione che, da circa dieci anni, lo ha privato dell’uso di un braccio. Per gli inquirenti, ‘u murcu «manifestando espressamente, attraverso Cutrì Girolamo, l’intenzione di condizionare l’esito del concorso per il posto di geometra del Comune di Rizziconi, dimostrava dì voler influire sull’andamento di vicende ritenute, evidentemente, di particolare interesse per la cosca. È evidente che la cosca Crea avesse così concertato la propria diretta influenza sulla stesura e l’approvazione del Piano comunale cittadino». Ma i Crea non sarebbero stati gli unici a tentare di condizionare le scelte dell’amministrazione e l’esito dei concorsi, a testimonianza – sottolinea il gip – della diffusività della mentalità corruttiva nel territorio di Rizziconi.
Era un’infezione, il dominio dei Crea su Rizziconi. Un morbo che aveva piano piano contagiato mentalità, procedure, vita dell’intera cittadina. Una malattia che però – forse – l’irreprensibilità del sindaco avrebbe potuto curare, minando alle fondamenta quella repubblica del favore, che trasforma la povertà in miseria e giogo mafioso. Lo sapeva il sindaco, che proprio su questi punti aveva deciso di dare battaglia. Lo sapevano i Crea, che proprio per timore di perdere nello scontro diretto, hanno preferito lasciarlo senza esercito. (0050)
Alessia Candito
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