REGGIO CALABRIA Non hanno avuto bisogno di attentati eclatanti, forzature palesi o violenze efferate. Ma è con precisione chirurgica che il clan Crea ha neutralizzato l’amministrazione guidata dal sindaco scomodo Antonino Bartuccio, che troppi no aveva opposto ai desiderata del clan. “Si badi bene sin d’ora – anticipa il gip fin dalle prime pagine dell’ordinanza di custodia cautelare – che lo scioglimento del Consiglio non sarà frutto di spargimenti di sangue ma della capacità della cosca mafiosa di condizionare, direttamente e/o indirettamente, l’esito del voto popolare attraverso indebite pressioni sui singoli eletti”. Usurpando un potere che l’architettura dello Stato vorrebbe residente nel popolo e solo nel popolo, i Crea – ha svelato l’inchiesta Deus – si sono impossessati di Rizziconi e delle sue istituzioni. Ma non solo nel 2011 quando l’amministrazione Bartuccio è caduta. “La presente indagine- si legge nelle carte – ha dimostrato che la famiglia mafiosa Crea, cosca egemone nel territorio del Comune di Rizziconi, ha condizionato pesantemente la vita politica del paese. Non a caso, il Consiglio comunale di Rizziconi è stato sciolto per ben due volte (nel 1995 e nel 2000) e, di recente, in data 2 Aprile 2011, a seguito delle dimissioni presentate da nove consiglieri, il medesimo civico consesso è stato ancora una volta sciolto con decreto del Prefetto della Provincia di Reggio Calabria”. Dimissioni che portano la firma dei consiglieri dell’epoca e volevano mostrarsi come frutto di disaccordi politici ma in realtà, per la Dda sono frutto di “contiguità, pressioni ed intimidazioni, diretta espressione del metodo mafioso e della forza di intimidazione esercitati sul territorio” dai Crea, decisi a porre fine all’azione di risanamento promossa dall’ex sindaco.
Dalle dimissioni di Rotolo alla caduta del Consiglio
A far traboccare il vaso della pazienza del clan – stando alla ricostruzione fornita dall’ex sindaco agli investigatori – sarebbe stato il ritiro delle deleghe all’allora assessore dello Sport e dello Spettacolo, Domenico Rotolo. Con lui – riferisce Bartuccio agli investigatori – le frizioni e le prove di forza andavano avanti da un pezzo, a causa del secco no con cui il sindaco avrebbe risposto alla proposta di nominare Rosetta Anastasi quale legale rappresentante del Comune nel procedimento per risarcimento danni promosso dalla famiglia Crea nei confronti dell’amministrazione. “Da quel momento – si legge nell’ordinanza – l’assessore, per protesta, aveva posto in essere un atteggiamento ostruzionistico nei confronti del sindaco: si assentava dalle riunioni della Giunta, dimostrando disinteresse per il compito istituzionale affidatogli”. Ma non solo. Per gli inquirenti, “altri atteggiamenti di analoga portata venivano adottati dal Rotolo, nel tentativo di evitare l’approvazione del bilancio prevista per la seduta del Consiglio comunale del 30 marzo 2011”. E questo – stando alla denuncia di Bartuccio – per una ragione ben precisa “ritardando la convocazione del Consiglio comunale e la conseguente approvazione del bilancio, sarebbe stato possibile dilazionare ulteriormente il termine utile per pubblicare il bando relativo allo spazzamento delle strade pubbliche cittadine, in quel periodo affidata in regime di prorogatio alla Futura società cooperativa di Cittanova, presso cui lavorava il consigliere Anastasi Giulio (anche questi dimissionario come Rotolo Domenico)”. Una manovra cui l’allora sindaco tenterà di porre rimedio ritirando le deleghe a Rotolo e affidandole contestualmente al consigliere di maggioranza ventenne Michele Giuseppe Russo. Ma questo non riuscirà a salvare la sua amministrazione. I Crea l’avevano già condannata, lavorando ai fianchi gli elementi più deboli, come il padre del neo giovanissimo assessore che – terrorizzato – il giorno successivo alla nomina del figlio, chiamerà Bartuccio per chiedergli un incontro urgente, annunciandogli di non poter mantenere fede a quella promessa di “adoperarsi per mantenere in vita l’Amministrazione Comunale”. Di fronte agli investigatori, l’allora sindaco mette a verbale che Russo gli avrebbe riferito che “purtroppo le cose si erano messe male, che lui aveva famiglia e che non poteva metterla in pericolo”.
Il terrore di Russo
Non si azzarda a parlare di minacce, tanto meno a identificarne la provenienza – “mi disse che non c’era bisogno di dirle certe cose e che si dovevano capire da sole”, riferisce Bartucci – solo quando viene incalzato alla fine scoppia e ammette a mezza bocca di aver ricevuto esplicite minacce. “Appena il giorno successivo al conferimento dell’incarico al giovane consigliere, qualcuno si era precipitato a minacciare Michele Russo Giuseppe o il padre, per costringerlo a revocare la propria disponibilità alla copertura dell’incarico politico”, concludono gli inquirenti. Messo alle strette da Bartuccio, Russo riferiva infatti di aver ricevuto “un’ambasciata” da parte di terzi perché facesse dimettere il figlio dall’Amministrazione Comunale. “Non ritenevo possibile che il giorno successivo al conferimento dell’incarico di assessore qualcuno si fosse precipitato a minacciarlo – si sfoga, ancora incredulo, l’ex sindaco con gli investigatori –. Continuavo ad insistere chiedendo chi lo avesse minacciato. Sicché provavo a fare io qualche nome ma egli negava. Chiedevo se fosse stato Nino Crea detto il malandrino a minacciarlo ma lui negava energicamente. Negava anche che fosse stato Maurizio Licastro, consigliere comunale, da me menzionato”. L’ex primo cittadino insiste, a Russo strappa che quelle intimidazioni arrivano da persone “vicine a chi comanda”, come confermato – gli confesserà Russo – dal capobastone Teodoro Crea in persona, quel “dio onnipotente” – così lo definisce il padre del giovanissimo assessore – che l’uomo era andato a trovare per avere lumi sul messaggio ricevuto. Bartuccio sa che si sta giocando tutto, ha bisogno del giovanissimo neo assessore in consiglio, per questo bluffa, suggerisce che dimissioni così affrettate avrebbero potuto attirare l’attenzione delle forze dell’ordine e strappa almeno qualche giorno di margine prima delle dimissioni, in modo da poter adottare delibere importantissime come l’approvazione del bilancio ed anche alcuni lavori pubblici, che avrebbero dovuto essere realizzati con i fondi di Rizziconi Energia. “Di fronte ad una così violenta intromissione nella vita politica del paese – commenta il gip – il Sindaco, lungi dal disinteressarsi della cosa pubblica, pregava Russo di ritardare l’evento che avrebbe determinato, di fatto, lo scioglimento del Consiglio Comunale ma, si badi bene, al solo scopo di poter realizzare importanti delibere nell’interesse della collettività: la logica del servizio contrapposta a quella del predominio mafioso”. Sforzi inutili.
Dimissioni di massa
Ventiquattro ore dopo, sei consiglieri – Giuseppe Monteleone, Domenico Rotolo, Giulio Anastasi, Francesco Futia, Maurizio Licastro e Pasquale Nanchi – presenteranno le dimissioni. A nulla servirà l’accorato intervento del sindaco che in Consiglio denuncia chiaramente le pressioni ricevute dai consiglieri comunali. “In quel consiglio – dice agli investigatori – facevo riferimento all’opera di forze oscure esterne che intervenivano per controllare la vita amministrativa del nostro paese che definivo “colletti bianchi dalle mani sporche” ai quali non avevamo consentito in alcun modo di curare i loro loschi affari e questo era il motivo per cui da li a poco il consiglio comunale sarebbe stato sciolto”. E il sindaco non era l’unico a pensarla così. Intercettando il suo vice Giovanni Marco Polo Calogero, gli investigatori lo ascoltano discutere della questione con i fratello Umberto Gesuè. Anche loro non hanno alcun dubbio sulle pressioni ricevuti dai dimissionari. Ma vogliono capire cosa abbia accelerato il processo.
G: … inc … tu guarda nelle carte … vedi li per bene … se si riesce a capir
e
perché … per quale motivo … no? .. .
U: si. ..
G: ..anche se io capisco perchè no?
U: umh …
G: … qualcuno li avrà convinti …
U: .. si, si … va beh certo … senza dubbio … Giovanni …
Per gli inquirenti, la cosca “non essendo riuscita ad intimidire ed incidere direttamente sull’azione del Sindaco, tentava di minare dall’interno l’Amministrazione Comunale da egli guidata, facendo terra bruciata attorno al Bartuccio. Si trattava di una mossa assai efficace e più facile da praticare tanto che, alla fine, la cosca avrebbe avuto ragione della partita, provocando, con ravvicinate dimissioni, lo scioglimento dell’intero Consiglio Comunale. Tutto ciò in evidente spregio della volontà popolare ed all’esclusivo fine di realizzare le proprie finalità predatorie frustrate dall’intransigenza del Sindaco Bartuccio”.
Ultimo atto per il consiglio comunale di Rizziconi
Ventiquattro ore dopo le dimissioni dei primi sei consiglieri infatti, anche Giuseppe Catananti e Vincenzo Alessi formalizzano l’abbandono dell’assemblea. E nonostante le rassicurazioni strappate solo qualche ora prima, anche il giovanissimo Michele Russo, spronato dal padre, nel giro di ulteriori ventiquattro ore finisce per cedere. Il giovane sembra non aver capito la gravità della situazione, ma il padre Domenico non ha avuto difficoltà a interpretare il messaggio – un albero tagliato sulla strada di rientro a casa – che il clan ha lasciato perché non avesse esitazione alcuna nell’ordinare al figlio di obbedire agli ordini del clan e presentare le proprie dimissioni. Russo teme per l’incolumità del figlio tanto da raccomandargli un percorso alternativo per rientrare a casa e la mattina dopo si assicura che – come concordato – il giovane assessore abbia abbandonato l’incarico. Un’evoluzione che gli investigatori hanno seguito passo passo, ascoltando le conversazioni dell’uomo da cui non solo traspariva tutta la sua preoccupazione, ma emergevano anche nuove ed inattese pressioni ricevute dal figlio. Quelle dimissioni, spiegherà in seguito Bartuccio agli investigatori, saranno la pietra tombale sulla sua amministrazione. “Il neo assessore Russo Michele Giuseppe – riferisce agli uomini del commissariato di Gioia Tauro – mi aveva annunciato che era costretto a ritirarsi dall’impegno di assessore. Mi aveva promesso però che avrebbe partecipato ai lavori del Consiglio comunale previsto per il 30 marzo. Così non è stato. L’assessore Russo non partecipava a quel Consiglio ed in più, in data 1 aprile 2011, si dimetteva dalla carica di consigliere comunale, provocando lo scioglimento del Consiglio stesso. Invero, prima di lui, nei giorni 30 e 31 marzo, altri otto consiglieri avevano presentato le dimissioni. Le dimissioni del Russo facevano quindi venir meno la maggioranza dei componenti del Consiglio comunale con l’inevitabile conseguenza dello scioglimento. Nello spazio di sei anni – commenta amaro l’ex sindaco – questo è il terzo scioglimento del consiglio comunale di Rizziconi con le stesse modalità. L’ultimo consiglio comunale durato in carica quattro anni risale all’amministrazione Di Certo dal1994 al1998”.
La sovranità appartiene ai Crea
Agli occhi di inquirenti e investigatori il quadro è chiaro. “L’attività di indagine – si legge nelle carte – pertanto, ha dimostrato che Russo Michele Giuseppe si dimetteva, non per convinzione politica, ma per la volontà di quel “Dio onnipotente” che a Rizziconi deteneva il potere di revocare l’Amministrazione Comunale e non solo quella”. Ed è una conclusione amara quella cui perviene il gip che annota “La ‘ndrangheta, insomma, era riuscita a condizionare i lavori del Consiglio Comunale di Rizziconi, di fatto annullando le elezioni che si erano svolte solo un anno prima e riprendendo in mano la vita pubblica rizziconese onde determinarne le scelte”. E ancora “i Crea di Rizziconi – annota il gip – avevano manovrato ad arte la situazione interna all’Amministrazione Comunale, facendo desistere dall’attività di gestione della cosa pubblica, attraverso minacce ed intimidazioni, coloro che erano stati designati dagli elettori. La cosca mafiosa era così riuscita a demolire l’Amministrazione Comunale legittimamente eletta solo un anno prima.
Dopo aver sondato in più occasioni, senza successo, le ferree intenzioni di Bartuccio Antonino, pertanto, gli uomini della cosca Crea avevano spostato le loro attenzioni su consiglieri ed assessori comunali, evidentemente ritenuti più facilmente condizionabili. Questi ultimi, piegatisi ai voleri della ndrangheta, per quieto vivere, timore o semplice incapacità di gestire una situazione complicata ed inaspettata, finivano per aderire ai voleri e favorire gli interessi della cosca mafiosa”.
Alessia Candito
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