GIOIA TAURO È solo con una parziale riforma delle condanne disposte dal gup in primo grado che si conclude il processo d’appello abbreviato per gli imputati del processo “Panama”. Procedimento, quest’ultimo, scaturito dall’omonima operazione che ha permesso di disarticolare una pericolosa holding criminale composta da affiliati alla cosca “Piromalli-Molè” di Gioia Tauro e ramificata oltre che in diverse regioni italiane anche in Turchia, Germania, Olanda, Venezuela, Colombia. Scende da 11 anni e 4 mesi a 8 anni la pena disposta per Antonio Urso e Franco Urso. Mentre per Sebastiano Managò la Corte ha disposto una condanna a 9 anni e 4 mesi in luogo dei 10 anni in precedenza rimediati. Otto anni vanno invece a Erika Napoli e Francesco Reitano in precedenza entrambi puniti con 8 anni e 8 mesi di carcere, mentre incassa una sostanziale riduzione di pena Marco Facchineri, di Latina, condannato a un anno e quattro mesi con sospensione della pena in luogo dei 4 anni in precedenza rimediati. Una parziale riduzione di pena arriva anche per
Gaetano Maugeri, condannato in primo grado a 7 anni e 4 mesi, divenuti sei anni e otto mesi per decisione dei giudici d’appello Per tutti gli altri imputati sono invece confermate le pene disposte dal gup che aveva condannato Vincenzo Careri a 18 anni 8 mesi e 40 amila euro di multa, Michele Ringo Albanese a 18 anni e 60 mile euro di multa, Rocco Careri a 9 anni 4 mesi e 40 mila euro di multa; Antonio Maiuri a 8 anni e 40 mila euro di multa; Francesco Marafioti e Agostino Napoli Oppido Mamertina a 8 anni e 8 mesi e 40 mila euro di multa, Giuseppe Laversa a 7 anni e 4 mesi e 40 mila euro di multa: Stefano Pertoni a 5 anni 4 mesi e 20 mila euro di multa, Giovanna Calciano a 8 anni e 40 mila euro di multa.
Anche per i giudici della Corte d’ appello di Reggio Calabria fanno tutti parte di quella holding criminale che per conto della cosca Piromalli Molè faceva arrivare in Italia e in Europa ingenti carichi di cocaina.
All’epoca, prima che l’omicidio del boss Rocco Molé rompesse la storica alleanza fra le due consorterie, il broker Michele Ringo Albanese – catturato proprio nell’ambito dell’operazione Panama dopo anni di latitanza – grazie ai contatti diretti con esponenti di spicco dei cartelli colombiani – dei quali godeva ampia fiducia sulla base di consolidati «rapporti di lavoro» – sarebbe riuscito a porre le basi per l’importazione di grossi quantitativi di droga da destinare, di volta in volta, al mercato italiano ove poteva contare sull’appoggio e sulla fattiva collaborazione degli uomini dei due clan. Soggetti che sarebbero stati sempre pronti a raggiungerlo tanto in Colombia, Venezuela o Germania, per prendere contatti diretti con i fornitori o predisporre basi logistiche sul territorio nazionale pronte ad accogliere l’arrivo di eventuali partite di cocaina. Ingegnoso sarebbe stato il sistema approntato per far viaggiare la “bianca”: la droga attraversava l’oceano, pressata in alcune intercapedini ricavate nelle scatole di banane che dall’America Latina arrivavano a Rotterdam, dove sarebbe stata poi canalizzata verso la Germania e l’Italia tramite ignari operatori economici olandesi. (0090)
Alessia Candito
x
x