REGGIO CALABRIA Fin dal giorno dell’arresto è sembrata volersi far dimenticare. Non ha fatto pervenire memorie difensive al pm Giuseppe Lombardo e al sostituto della Dna, Francesco Curcio, che l’hanno incriminata, non ha fatto richiesta di riesame, né presentato tramite i suoi legali istanze di attenuamento della misura cautelare. Neanche una sillaba ha mai proferito o fatto riferire riguardo al gigantesco archivio trovato dagli uomini della Dia nel corso della perquisizione in una cantina di sua pertinenza. Ma forse è anche per questo che gli inquirenti fin da subito hanno compreso che era proprio Maria Grazia Fiordelisi, segretaria tuttofare dell’ex parlamentare di Forza italia oggi latitante, la leva attraverso cui entrare nel sistema Matacena. Un sistema che – forse – è molto più esteso di quanto fin qui immaginabile, molto più ramificato e pericoloso. Dalle energie rinnovabili alle società disseminate nei più diversi paradisi fiscali, dagli strani rapporti con Tecnofin – società che vede fra i suoi soci non solo il chiacchierato immobiliarista di Montecarlo Gabriele Sabatini, ma anche Paolo Berlusconi – ai progetti di investimento nei paesi in via di sviluppo, il network dei Matacena non sembra conoscere confini. Lo avevano intuito i pm nel corso delle lunghe indagini che hanno preceduto l’esecuzione dell’ordinanza di custodia cautelare. E quando il sei giugno scorso nei giorni intensi di missione in Liguria – a quasi un mese dall’arresto – hanno interrogato Maria Grazia Fiordelisi, ne hanno avuto la conferma.
Di fronte ai pm, la segretaria dell’ex parlamentare di Forza Italia, ma soprattutto della moglie parla, rivela nomi, ruoli, rapporti. E soprattutto fa cadere alibi. “Chiara Rizzo – ammette fin da subito la donna – aveva un ruolo attivo e consapevole in relazione all’amministrazione di tutte le compagini societarie del gruppo Matacena, visto che era lei, unitamente al marito, a darmi le disposizioni che ero chiamata ad eseguire”. La Rizzo – afferma la segretaria – era una delle menti decisionali e operative dell’infinito network che ruotava attorno ai Matacena. Un network che la Fiordalisi ha imparato a conoscere: “Ho lavorato per conto di Chiara Rizzo nel Principato di Monaco dal mese di novembre del 2007 in realtà svolgevo le mansioni della tuttofare”, riferisce ai pm, precisando però che né la Rizzo, né Matacena “hanno mai discusso con me delle loro scelte imprenditoriali: ho sempre e solo eseguito ordini che mi venivano impartiti”. Eppure la Fordelisi sa. E molto. Il suo – gli inquirenti lo sanno – è un ruolo qualificato, non si limita a prendere appuntamenti. “Mi occupavo anche della Amju International Tanker Ltd e della Atoschia International Tanker Ltd, che avevano ognuna come patrimonio aziendale le motonavi Lady Chiara e la Sir Athos”, dice ai magistrati, ma confessa anche: “In relazione alla A&A Srl (di cui è socio tale Cucinotta Pasquale) preciso che la Rizzo ed il Matacena mi proposero di diventare amministratrice in vista della messa in liquidazione della società, che era stata già programmata. Nonostante avessi assunto tale veste, non mi venne mai consentito di operare per un anno e mezzo visto che non mi è stata consegnata la documentazione e la cassa necessarie; successivamente non ho potuto completare la procedura di liquidazione in quanto non era definita la situazione delle partecipazioni societarie”.
È stata reclutata grazie alle indicazioni provenienti da Cofimo, studio legale e commerciale del Principato di Monaco facente capo ad Enrico Feraboli. Un nome noto in Italia non solo ai grandi investitori, ma anche alle cronache. Qualche anno fa, il noto professionista è stato infatti coinvolto in una complicata inchiesta coordinata da Eurojust e seguita da diverse procure, secondo cui una società con sede ad Amsterdam avrebbe emesso fatture riferibili ad operazioni inesistenti per oltre 100 milioni di euro, servite non solo a numerosi imprenditori italiani e stranieri per abbattere le tasse, ma soprattutto per riciclare denaro in Svizzera, a Dubai e a Montecarlo. E forse non casualmente, anche i Matacena erano clienti di Cofimo. Lo studio, riferisce la segretaria agli inquirenti “si occupava, unitamente a Dixcart con sede a Madeira (che aveva tra i sui clienti Morning Breeze) ed Sg Group con sede in Lussemburgo (che aveva tra i suoi clienti Safuture, Seahorse (cessata nel dicembre 2011), della gestione fiscale, commerciale e contabile delle società del gruppo Rizzo”.
Anche Dixcart e Sg group sono studi legali e commerciali e – stando a quanto emerge dalla documentazione trovata proprio a casa della Fiordelisi – è attraverso di loro che sarebbero stati cucinati i più diversi affari, finanziamenti, contatti. È ad esempio attraverso la Dixcart che viene gestito il rapporto fra i Matacena, una delle loro società – la Morning Breeze – e la Osj knights of Malta Foundation, l’Ordine dei Cavalieri di Malta, per un investimento in Albania. Mentre stando alle carte rivenute, è proprio la Sg Group a ereditare dalla Cofimo tutta la documentazione inerente le società del gruppo Matacena, quando nel 2011 viene chiuso il rapporto. Studi attraverso cui sarebbe stata curata una congerie di società dalle ragioni sociali più diverse, legate l’una all’altra – dice la Dia nell’informativa depositata all’esito dell’esame delle carte rivenute nella cantina della Fiordelisi – “secondo lo schema tipico delle ‘scatole cinesi'”.
Per gli uomini della Dia, “la congerie di documentazione classificata e descritta nel verbale di operazioni compiute rivela come Amedeo Matacena e Chiara Rizzo, pur non rivestendo, in molti casi, alcuna carica societaria formale, de facto abbiano orientato le scelte strategico-gestionali del gruppo di imprese, esercitando una influenza dominante sulla conduzione delle stesse”.
Una galassia composita, intricata, in cui anche grazie alle rivelazioni della segretaria inquirenti e investigatori si stanno facendo strada, ma che già consentono alla Procura di affermare “che il vero cuore decisionale e operativo del network di imprese legate ai Matacena-Rizzo fosse l’Italia e che il reale centro amministrativo e gestionale del gruppo non coincidesse affatto con le sedi legali nominalmente dichiarate”. Una certezza acquisita sulla base dell’esame degli “oltre 100 faldoni e dell’altro copioso carteggio di natura finanziaria, contabile, bilancistica, tecnica (riferita soprattutto alle motonavi ed ai progetti inerenti le energie rinnovabili) e societaria, reperito presso la dimora privata della Fiordalisi”. (0020)
Alessia Candito
a.candito@corrierecal.it
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