REGGIO CALABRIA Confermato in Cassazione il disconoscimento di paternità di un bambino nato nel 2008, entro i trecento giorni dalla morte del padre totalmente impotente a generare: la madre del bimbo non ha infatti fornito alcuna prova a sostegno dell’inseminazione artificiale a cui sosteneva di essere stata sottoposta. L’azione di disconoscimento era stata promossa, nel 2008, dal nonno paterno del piccolo, che era perfettamente al corrente dell’impotenza del figlio precocemente morto.
La domanda di disconoscimento era stata accolta nell’agosto 2008 dal tribunale di Palmi, e poi confermata dalla corte d’appello di Reggio Calabria nel gennaio 2013, quando era stato respinto il ricorso della madre del bambino, una donna immigrata. Ad avviso della Suprema Corte (sentenza 13217 della prima sezione civile) non merita censure la decisione delle corti di merito, in quanto «non era stata offerta una prova convincente di fatti dai quali potesse desumersi il consenso del defunto alla procreazione, e in particolare del gradimento con cui egli avrebbe accolto la gravidanza della moglie».
I testi che erano stati ascoltati in questo procedimento «pur deponendo “de relato”, avevano infatti negato che che i coniugi avessero compiuto ulteriori tentativi di inseminazione artificiale, rispetto a quelli precedentemente falliti, riferendo del tormento manifestato dall’uomo in ordine all’origine della maternità della donna e dei dissapori conseguentemente insorti».
Analizzando le carte di questo caso, gli “ermellini” hanno constatato come sia «rimasta assolutamente sfornita di prove la dimostrazione della riconducibilità del concepimento del minore ad un intervento di inseminazione artificiale». La mamma del bimbo disconosciuto, oltre ad aver perso la causa, deve anche pagare 3.700 euro per le spese legali sostenute nel giudizio in Cassazione dal padre del marito scomparso.
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