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Le finte riforme

Il Paese, da alcune settimane a questa parte, ha scoperto di essere dominato dalla corruzione: le inchieste di Milano sull’Expo 2015, di Venezia sul Mose, di Napoli sulla guardia di finanza, hanno …

Pubblicato il: 20/06/2014 – 12:17

Il Paese, da alcune settimane a questa parte, ha scoperto di essere dominato dalla corruzione: le inchieste di Milano sull’Expo 2015, di Venezia sul Mose, di Napoli sulla guardia di finanza, hanno evidenziato l’esistenza di un fenomeno talmente ampio, diffuso, generalizzato, da divenire “sistema” corruttivo, che sta consumando l’Italia e le sue residue risorse. Insomma, ai reati di criminalità organizzata occorre aggiungere, a pieno titolo, la “corruzione organizzata”, nuova priorità dell’impegno giudiziario per i prossimi anni. La corruzione organizzata, infatti, diviene il punto di confluenza delle attività delle organizzazioni mafiose, dei comitati d’affari, delle cricche, delle logge massoniche, con o senza P, e di tanti altri sodalizi, tutti intenti all’appropriazione illegale di risorse statali e comunitarie nella esecuzione di opere pubbliche, nelle forniture di beni e servizi, nella realizzazione di impianti fotovoltaici ed eolici, nello smaltimento dei rifiuti e altro ancora, perché non è la fantasia a far difetto a questo genere di criminali. Che sia questa la priorità nazionale lo dicono tutti e lo richiede a gran voce il Paese. Il governo dovrebbe rispondere come si conviene. Eravamo tutti in attesa della risposta istituzionale anche se qualche anticipazione aveva lasciato assai perplessi. E come non si poteva non essere preoccupati dopo il varo della legge 67 del 2014, con la quale si applica una sorta di amnistia generalizzata per tutti i reati puniti con pena massima sino a 4 anni di reclusione, dei quali è prevista l’estinzione se l’imputato, nel corso del processo e persino nella fase delle indagini preliminari, presenterà un progettino di redenzione, e se alla fine ne sarà stata riconosciuta l’efficacia redentrice. Nessuno, o quasi, andrà più in prigione, nessuno sarà più condannato per tali reati. E infatti, le novità ci sono state. Due per la precisione, una più sorprendente dell’altra. La prima, non è di iniziativa del governo e reintroduce, attraverso un emendamento leghista, passato a stretta maggioranza alla Camera dei deputati nella seduta dell’11 giugno scorso, la responsabilità civile diretta dei magistrati. La norma consentirebbe, qualora confermata in Senato, al cittadino che si ritenga danneggiato da un errore del magistrato civile o penale, di chiamarlo direttamente in giudizio per ottenere un risarcimento. Una larga corrente di pensiero, comune a politici e giornalisti, sostiene che la riforma in questione sia un atto dovuto in quanto «imposta dall’Europa».

La formula è consueta, ma raramente rispetta l’obbligo della verità. In particolare, nel caso di specie, non esiste nessuna direttiva europea, nessuna sentenza emessa dalla Corte di Strasburgo che abbia mai imposto una misura del genere. La procedura di infrazione aperta dall’Unione nei confronti del nostro Paese riguarda il mancato adeguamento al diritto europeo della legislazione nazionale in materia, solo perché la nostra attuale legge esclude la responsabilità del giudice per gli errori di interpretazione e valutazione delle norme (nel caso specifico del diritto europeo), e la giurisprudenza avrebbe limitato gli errori dovuti a dolo o colpa grave, avendo ristretto la seconda ipotesi solo ai casi eccezionali, abnormi. Il tutto però sempre nell’ambito della responsabilità diretta dello Stato e non del singolo magistrato. Nessuna interferenza nelle scelte della legge nazionale di non consentire la citazione diretta del giudice, peraltro non prevista dalla legislazione di alcun altro dell’Unione. Il necessario adeguamento del nostro legislatore ai parametri europei, dunque, non autorizza per nulla iniziative volte ad introdurre, surrettiziamente, una gravissima lesione dell’autonomia e indipendenza della giurisdizione. C’è il rischio che per ogni processo civile e penale scatti immancabilmente una causa civile di risarcimento, così da costringere il giudice ad astenersi e a passare il caso ad altro collega, nei confronti del quale potrebbe rinnovarsi la citazione, all’infinito, fino a divenire una comoda strategia difensiva. Si produrrebbe la paralisi della giustizia, la moltiplicazione del contenzioso, una pressione e intimidazione permanente nei confronti del giudice o del pm con conseguenze devastanti sul normale svolgimento del processo. Un deputato del Pd, che ha espresso voto favorevole all’emendamento leghista, non solo ha rivendicato la bontà della sua scelta (e sin qui nulla da obiettare), ma ha incautamente aggiunto che la norma non deve preoccupare i giudici “perbene” che non ne riceverebbero alcun danno. Bisognerebbe spiegare all’ineffabile deputato che le forme di intimidazione di cui parlavo sarebbero rivolte proprio contro i giudici “perbene”, al contrario di quelli disonesti o protetti dalle svariate forme di potere, che non danno fastidio ad alcuno e non ne ricevono, come l’esperienza insegna. Il presidente Renzi assicura che in Senato la norma sarà eliminata, il che, oltre a confermare l’utilità della seconda lettura, non impedisce che la semplice prospettazione della introduzione della responsabilità diretta sia di per sé una spada di Damocle appesa sulla testa della magistratura italiana, un monito a futura memoria. Il secondo, deciso (e decisivo) intervento normativo è ancora più recente e consiste nella improvvisa, immediata, decisione di riportare l’età massima di permanenza in magistratura al 60esimo anno di età (attualmente è di 75). L’innovazione è stata inserita, di soppiatto, senza preventiva informazione e discussione, in un più ampio contesto riformatore della Pubblica amministrazione, di cui, come è a tutti noto, la magistratura non fa parte. Dopo l’approvazione in Consiglio dei ministri, la riforma sarà trasfusa in gran parte in un decreto legge, mentre altre parti che qui non interessa esaminare, formeranno oggetto di una legge delega, con tempi assai più lunghi. Ora, l’articolo 77 della Costituzione, prevede che il governo possa emanare provvedimenti provvisori aventi forza di legge, solo «in casi straordinari di necessità e urgenza».

Penso che il governo e il ministro proponente, in primo luogo, dovrebbero spiegare agli italiani quale sia la straordinaria necessità e urgenza che spinge il governo ad espellere dalla magistratura circa 500 magistrati, per la maggior parte capi degli uffici, il tutto in una situazione di endemica carenza di organici (vi è in atti la scopertura di circa mille posti), di particolare impegno nel contrasto alla criminalità mafiosa, economica e politica, di carenza di risorse, di necessità di ricorso a magistrati onorari, per mandare avanti un sistema ingolfato da un elevatissimo numero di sopravvenienze in materia civile e penale. Si dice che i processi devono svolgersi più rapidamente, che il processo civile è più lungo che in ogni altro paese europeo, che milioni di reati si estinguono per prescrizione, e poi… si svuotano gli organici di cinquecento magistrati in un colpo solo. Che vuol dire? Chi suggerisce queste soluzioni che metteranno definitivamente in crisi la giustizia per i prossimi cinque anni a voler essere ottimisti? Perché il mondo politico, e la stampa, non dedicano una sia pur minima valutazione circa la portata di questo provvedimento e le conseguenze che esso produrrà nel prossimo futuro? Importa ancora a qualcuno che la giustizia funzioni o si va avanti per iniziative estemporanee, affrettate e irresponsabili, senza alcuna valutazione del rapporto costo-benefici, degli effetti collaterali che ne derivano? Ha valutato qualcuno che, ad esempio, per gli incarichi direttivi che si renderanno vacanti per effetti dell’esodo degli over 70, neppure coloro che avranno un’età compresa tra 66 e 70 anni potranno candidarsi, non potendo assicurare quattro anni pieni di servizio nel nuovo incarico? Sicuramente no. Così come non si considera che occorreranno almeno 4-5 anni prima che il sistema si assesti, sempre che siano assicurati i concorsi che garantiscano l’ingresso in num
ero sufficiente di nuovi magistrati. Affermare che la misura risponde all’esigenza di svecchiare la magistratura e di assicurare competenze informatiche che solo i più giovani possono assicurare, intanto non è condizione sufficiente per integrare la situazione di straordinaria necessità e urgenza richiesta dalla Costituzione per legittimare il ricorso al decreto legge, e comunque la competenza informatica non è centrale per un capo di ufficio, oltre a essere ormai patrimonio comune della stragrande maggioranza dei magistrati italiani, e se il governo lo ignora farebbe bene ad acquisire le informazioni necessarie. Non può accettarsi che sia questa la priorità assoluta del governo e non la revisione dei termini di prescrizione, la revisione del falso in bilancio, l’introduzione dell’autoriciclaggio, e altro ancora. Né può sostenersi che la misura rientrerebbe in ogni caso nella politica di riduzione della spesa destinata a stipendi. È vero esattamente il contrario. L’anticipazione del pensionamento comporta infatti per l’Inps un doppio pregiudizio: riduce le entrate costituite dai contributi previdenziali versati mensilmente dai magistrati sino al compimento dei 75 anni, contributi elevati, senza alcun vantaggio per il magistrato che li corrisponde essendo ormai arrivato al massimo livello della pensione per effetto dell’età (chi scrive può vantare cinquanta anni di versamenti previdenziali!); aumenta l’esborso dovuto al pagamento delle pensioni con cinque anni di anticipo e quindi per un periodo di vita residuo di cinque anni più lungo di prima e, infine, comporta il versamento simultaneo di centinaia di liquidazioni di fine rapporto, prima distribuite lungo il corso degli anni in maniera prevedibile. Le considerazioni sin qui svolte valgono anche per le magistrature amministrative e contabili (Tar, Consiglio di Stato e Corte dei conti). Per la Corte dei conti l’esodo previsto assume 
percentuali del 20-30%, non si fanno nuovi concorsi da molti anni e il vuoto di organico arriva già oggi al 30%. Lo stesso può dirsi per il Consiglio di Stato e per la Corte di Cassazione. Paradossalmente, si attribuiscono sempre maggiori, gravose, competenze alla magistratura contabile in materia di anticorruzione, controllo della spesa, ecc., si richiede ai Tar con prossimo provvedimento legislativo di osservare in materia di appalti il termine di 30 giorni tra sospensiva e udienza e di 90 giorni tra udienza e sentenza. E per ottenere tale risultato, che si fa? Si tagliano gli organici di una percentuale a doppia cifra. Così, tanto per rinnovare. Il presidente della Corte di Cassazione ha ricordato che la riforma rischia di creare la paralisi di quell’Ufficio a fronte di una sopravvenienza di centinaia di migliaia di processi all’anno e di compromettere la stessa essenziale funzione nomofilattica della Corte, cioè di garantire l’osservanza della legge, la sua interpretazione uniforme e l’unità del diritto a livello nazionale. Detto questo, non si vuol dire che una riforma del genere non possa realizzarsi, ma solo con gradualità, con equilibrio, dopo avere prima colmato i vuoti di organico, aver completato le riforme normative, assicurato le risorse, ringiovanito i quadri amministrativi, sui quali invece non si provvede. È vero che in passato lo spostamento verso l’alto dell’età della pensione fu dovuto a ragioni di convenienza politica (vera o presunta), ma l’effetto era della stabilizzazione della struttura, mentre il repentino abbassamento e l’esodo forzato che ne consegue produce l’effetto esattamente contrario. Il minimo che si possa dire è che si ha la netta sensazione che si tratti di una riforma improvvisata, affrettata e disorganica. Questo contributo è anche un appello al Capo dello Stato perché intervenga per rilevare la forzatura costituzionale che si sta consumando, che inviti il governo ad una rivisitazione del provvedimento, che meglio andrebbe inserito nella prossima riforma della giustizia, ad assicurare il confronto con il Csm, le rappresentanze associative dei magistrati e dello stesso mondo forense, che non mancheranno, come sempre, di assicurare il loro fattivo contributo. (0050)

 

*magistrato

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