REGGIO CALABRIA Torna di nuovo all’esame dei giudici della Corte d’assise d’appello di Reggio Calabria il procedimento che l’anno scorso sembrava aver dato un nome e un volto al mandante dell’omicidio del figlio, il giovane imprenditore sidernese Gianluca Congiusta. Come disposto dalla Cassazione, in accoglimento del ricorso delle difese, la Corte dovrà tornare a giudicare le responsabilità di Tommaso Costa, in precedenza condannato all’ergastolo come mandante del delitto. Con lui alla sbarra non ci sarà il coimputato e fedele luogotenente di Costa Giuseppe Curciarello, condannato in via definitiva a 15 anni in seguito al rigetto del ricorso da parte della Cassazione.
E nuovi elementi sono destinati ad arricchire il quadro probatorio che i giudici della Corte d’assise d’appello dovranno esaminare. Su richiesta del procuratore generale, Franco Scuderi, e del legale di Costa, l’avvocato Antonio Furfaro, i giudici hanno disposto la riapertura dell’istruttoria dibattimentale per ascoltare tre ufficiali di polizia giudiziaria che a vario titolo sono stati chiamati ad occuparsi del caso – ex dirigente Rocco Romeo, l’ex vicecommissario Francesco Giordano e gli ispettori Vincenzo Verduci e Vincenzo Cortale – come due collaboratori di giustizia, i pentiti Giuseppe Costa e Vincenzo Curato, ma anche il nipote del pentito Francesco Costa e Carmelo Muià. Tutte testimonianze che si sperano decisive per arrivare alla definizione del lungo e complesso procedimento.
Nel marzo scorso, i giudici della Corte d’appello di Reggio Calabria avevano identificato in Tommaso Costa il mandante dell’omicidio di Gianluca Congiusta, vittima innocente della strategia con cui il boss puntava a strappare ai rivali Commisso l’egemonia criminale, conquistata negli anni sanguinosi della faida di Siderno. Una guerra che aveva visto la famiglia Costa perdere uomini, territorio e ricchezze, ma non soccombere, e ripresentarsi anni dopo con il volto e la mente di Tommaso Costa, determinato a tessere una rete di alleanze con i clan emergenti, destinata a mettere in difficoltà la consorteria rivale dei Commisso. Una strategia segreta, e che tale doveva restare, fino a quando il nuovo cartello non fosse stato pronto allo scontro. Per questo la determinazione di Gianluca a rivelare il contenuto della lettera estorsiva, inviata dai clan dell’emergente cartello al suocero, andava fermata. Per questo Gianluca doveva essere eliminato. I Commisso non potevano e non dovevano capire cosa Costa stesse architettando, ma soprattutto nessuno, nel regime di terrore imposto dall’emergente boss, doveva permettersi di trasgredire al suo volere. Per questo, la sera del 24 maggio del 2005 Gianluca Congiusta è stato ucciso con un unico, devastante, colpo di pistola alla testa. Questa la tesi della Dda di Reggio Calabria che ha convinto tanto i giudici di primo come di secondo grado, ma che non ha superato lo scoglio della Cassazione.
Alessia Candito
a.candito@corrierecal.it
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