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Rosy Canale dovrà affrontare il processo

REGGIO CALABRIA Dovrà affrontare il giudizio l’ex passionaria dell’antimafia Rosy Canale, arrestata nei mesi scorsi perché accusata di aver tenuto per sé i fondi destinati al “Movimento delle …

Pubblicato il: 27/06/2014 – 18:27
Rosy Canale dovrà affrontare il processo

REGGIO CALABRIA Dovrà affrontare il giudizio l’ex passionaria dell’antimafia Rosy Canale, arrestata nei mesi scorsi perché accusata di aver tenuto per sé i fondi destinati al “Movimento delle donne di San Luca” da lei fondato, per spenderli in autovetture, mobili, vestiti, viaggi. Il gup di Reggio Calabria ha disposto oggi pomeriggio il rinvio a giudizio per la Canale, che dovrà presentarsi il prossimo 16 ottobre di fronte ai giudici del Tribunale di Locri per l’inizio del processo a suo carico.
Insieme a lei dovrà affrontare il giudizio anche l’imprenditore Antonio Nirta, mentre hanno optato tutti per il procedimento con rito abbreviato gli altri quattro ex amministratori comunali ed imprenditori – l’ex sindaco Sebastiano Giorgi, l’assessore al territorio Francesco Murdaca, Giuseppe Cosmo e Francesco Strangio – a vario titolo indagati per associazione a delinquere di tipo mafioso, intestazione fittizia di beni e reati contro la pubblica amministrazione aggravati dall’articolo sette, che indica l’aggravante mafiosa. Un’onta che non pende sulla posizione della Canale.

 

LA PARABOLA DELLA PASSIONARIA
Ex titolare di una discoteca, dopo anni trascorsi tra gli Stati Uniti e Roma, all’indomani della strage di Duisburg torna in Calabria, accreditandosi come vittima di violenza mafiosa – ha subìto un pestaggio quando gestiva il locale notturno – e punta su San Luca e sulle sue donne, con le quali costituisce un Movimento. Un progetto studiato a tavolino – si legge nell’ordinanza – tra incontri istituzionali e campagne mediatiche che sembrano preoccupare l’autoproclamata presidente Canale molto più delle sorti dell’organizzazione che avrebbe dovuto costruire una speranza di lavoro e riscatto per quelle donne.

 

ANTIMAFIA MA NON TROPPO
«Come si vedrà in seguito – scrive il gip nell’ordinanza d’arresto– il risalto mediatico che deve suscitare il movimento anche in ambito nazionale diventerà una prerogativa essenziale per la sua riuscita e soprattutto per la sua presidente che risulterà cavalcare, a seconda o meno che l’occasione lo richieda, la vocazione antimafia del movimento per fini non proprio attinenti alla natura dello stesso». Non a caso, se la Canale non esita a denunciare «sia telefonicamente sia a mezzo di comunicati stampa» minacce ed episodi che «risulteranno infondati, con l’unico scopo di cavalcare l’allarme sociale, soprattutto nel periodo storico immediatamente successivo alla cosiddetta faida di San Luca, in modo da acquisire credibilità sia in campo politico che nel contesto dei rapporti con soggetti istituzionali», la stessa starà ben attenta a farsi dipingere come attivista antimafia. È quanto succede ad esempio con la giornalista di Iodonna, invitata a più riprese dalla Canale a glissare sulle pesantissime parentele delle donne del Movimento, come sulla caratura criminale di Antonio Pelle, originario proprietario dello stabile in cui sorgeva la ludoteca, primo progetto e fiore all’occhiello dell’associazione. «Bisogna dirlo nel modo giusto – dice alla giornalista – nel senso che bisogna trovare il linguaggio affinché chi legge non abbia modi di interpretarlo in maniera diversa». Cautele che per gli inquirenti hanno un’unica spiegazione. «Tutto questo per evitare che qualcuno possa fomentare la rabbia della famiglia Pelle».

 

L’AMMINISTRAZIONE DELLE ‘NDRINE E LA TORTA DEGLI APPALTI
Anche l’ex sindaco di San Luca, Sebastiano Giorgi, era considerato un’icona dell’antimafia, ma dall’indagine condotta dai carabinieri che ha portato al suo arresto è invece emerso che la sua elezione sarebbe stata favorita dalle cosche Pelle e Nirta in cambio del totale controllo sugli appalti gestiti dal Comune e divisi fra le famiglie della zona i Romeo “Staccu”, i Pelle “Gambazza” e i Nirta “Scalzone”, chiamate a spartirsi i lavori più importanti, mentre gli interventi di somma urgenza andavano alle ‘ndrine di seconda fascia, come i Mammoliti “Fischiante”, i Nirta “Terribile” e gli Strangio “Jancu”. «Un manuale Cencelli della ‘ndrangheta» lo aveva definito il procuratore aggiunto Nicola Gratteri, che assieme al sostituto Francesco Tedesco ha coordinato l’indagine, in ragione del quale tra i clan di Platì sono stati divisi appalti per milioni di euro. Una spartizione cui non era estraneo l’ex assessore Francesco Murdaca, imparentato con i Mammoliti e loro presunto principale referente, che in tale veste avrebbe lavorato far assegnare i lavori di ripristino della viabilità nella zona di Polsi a Francesco Mammoliti, nonostante fosse sorvegliato speciale e utilizzasse mezzi intestati fittiziamente all’impresa individuale del nipote.

Alessia Candito

a.candito@corrierecal.it

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