Ultimo aggiornamento alle 17:58
Corriere della Calabria - Home

I nostri canali


Si legge in: 7 minuti
Cambia colore:
 

Processo "Cosmos", il clan Libri trema

REGGIO CALABRIA È probabile che il reale peso delle dichiarazioni di Tiziana Ventura e Umberto Paviglianiti si celi ancora dietro gli innumerevoli omissis che coprono i verbali illustrativi messi a…

Pubblicato il: 30/06/2014 – 18:09
Processo "Cosmos", il clan Libri trema

REGGIO CALABRIA È probabile che il reale peso delle dichiarazioni di Tiziana Ventura e Umberto Paviglianiti si celi ancora dietro gli innumerevoli omissis che coprono i verbali illustrativi messi agli atti dal pm Stefano Musolino nell’ambito dell’inchiesta Cosmos, l’indagine che ha svelato l’infiltrazione del clan Libri nella costruzione del palazzo di giustizia. Ma nonostante gli stralci le parole dei due nuovi collaboratori bastano già a impensierire non pochi capi e gregari del clan Libri, a partire da quell’Edoardo Mangiola, formalmente titolare del bar Senza tempo, in realtà per la Procura uomo del potente clan di Cannavò, tramite il quale sarebbe stata messa sotto scacco la Bentini, l’azienda che qualche anno fa si è aggiudicata l’appalto per la costruzione del nuovo palazzo di giustizia.

 

LA PAURA DI TIZIANA
Ha paura Tiziana Ventura. «Per me, i miei figli, il mio compagno Umberto, perché ritengo che tutti e quattro, per come ho spiegato nelle mie dichiarazioni siamo a serio rischio di pericolo di vita», dice al pm Giuseppe Lombardo nel dicembre 2012. È passato meno di un anno dall’esecuzione dell’operazione Cosmos, nell’ambito della quale è stato arrestato il marito, Edoardo Mangiola, accusato insieme a Pasquale Libri, Claudio Bianchetti e Antonino Sinicropi di aver obbligato la Bentini a stipulare contratti di fornitura di servizi in via esclusiva con aziende e società riconducibili al clan, come pure ad assumere operai legati anche alla cosca Serraino, regolarmente retribuiti senza mai essersi presentati in cantiere.

Quel giorno, confessa Tiziana ai pm, ha scoperto un mondo. «Nel corso della mia convivenza con Mangiola Edoardo – afferma – lo stesso non ha mai fatto espliciti riferimenti ai suoi rapporti con ambienti di ‘ndrangheta: ho rivalutato il tutto solo dopo aver letto il provvedimento cautelare». Tutto, come quei “San Giovanni” – come vengono comunemente chiamati i rapporti di comparato – che il marito l’aveva costretta ad accettare. «Dopo qualche discussione con Edoardo si è conclusa con una tipica frase reggina: “I sangiovanni non si rifiutano mai”, per tanto ho fatto da madrina a Demetrio, ma dovendo cresimarmi anch’io per poter partecipare alla cerimonia, ho scelto a mia volta di farmi cresimare con madrina la madre di questi, Angela Libri».
Tutto, come quei volti che inchieste e procedimenti hanno identificato come uomini del clan o che con il clan Libri avevano rapporti – Antonino Sinicropi, Salvatore Tuscano, Claudio Bianchetti, Filippo Chirico, ma anche Checco e Andrea Zindato – che la Ventura conosce e riconosce quando le vengono sottoposte le fotografie segnaletiche. Tutto come quegli zaini dal contenuto sconosciuto di cui – dopo lunghe riflessioni – ha deciso di parlare agli inquirenti.

«Sono stata molto combattuta e frenata dalla paura che l’eventuale ritrovamento delle armi fosse a me addebitato e quindi sarei potuta essere oggetto di ritorsione. La stessa paura adesso che sto riferendo questi fatti anche se sono insieme alle forze dell’ordine». Una paura che il colloquio con il marito aveva solo alimentato: «Ho verificato ed esistevano questi due zaini, uno piccolo e uno un po’ più grande. Ho sbirciato all’interno di uno zaino e ho potuto notare la parte posteriore di una pistola. Sono rimasta molto agitata della circostanza e al successivo colloquio Edoardo mi ha detto [omissis] poiché non vedevo l’ora di sbarazzarmi di quelle situazioni che mi agitavano non poco, tanto è vero che quando ho parlato con [omissis] questi mi ha detto che sapeva dove si trovavano gli zaini, pertanto gli ho dato le chiavi dicendogli che non volevo saper niente di queste cose e quando lui con fare minaccioso mi chiese se avessi visto cosa vi era all’interno degli zaini ho negato facendogli quindi credere che non sapessi nulla».

 

LE CONFERME DI PAVIGLIANITI
Più precise, circostanziate e potenzialmente devastanti sono – almeno allo stato – le dichiarazioni del compagno, Umberto Paviglianiti che proprio in merito a quegli zaini agli inquirenti dirà: «Un giorno mi recai con Edoardo nel complesso adiacente al bar ove l’uomo aveva la disponibilità di alcuni garage che doveva liberare. All’interno di uno di questi, nascoste tra uno scooter ed il muro, vi erano delle armi sistemate dentro uno zainetto. Il Mangiola aprì il contenuto e vidi chiaramente due pistole e un fucile a canne mozze. Vidi anche un panetto, ma non so precisare cosa potesse contenere». Ma questa non era l’unica attività illecita in cui sospettava fosse coinvolto l’amico: «Una volta Edoardo mi portò in officina uno scooter Vespa di colore rosso, chiedendomi di verniciarlo con altro colore in fretta e furia, senza alcuna accortezza, ho quindi presunto potesse trattarsi di un veicolo utilizzato dal Mangiola per attività strane».

Tra droga e imbasciate, gli strani viaggi di Mangiola
Circostanze che non hanno stupito più di tanto l’uomo che – del resto – non era uno stinco di santo. Agli inquirenti confessa che lui stesso era coinvolto in un piccolo traffico di droga gestito da Mangiola, ma di cui non sembra in grado di specificare i confini e soprattutto la regia. «In una circostanza a mia domanda all’Edoardo in proposito alla conoscenza da parte di Filippo Chirico dei viaggi per droga che noi stavamo effettuando, il Mangiola mi rispose che non doveva dare conto a Chirico, in quanto questi a sua volta, per le cose proprie, non informava Edoardo». Una risposta che aveva lasciato perplesso Paviglianiti – racconta l’uomo agli inquirenti – come strano gli era sembrata la trasferta a Genova in cui proprio Mangiola l’aveva coinvolto: «Quando partimmo da Reggio Calabria sapevo che dovevamo recarci in quella città per recuperare dei soldi che le varie ditte che usufruivano del servizio mensa presso il bar dovevano dare al Mangiola. In realtà, durante il viaggio che fu effettuato all’andata in aereo, appresi dallo stesso che ci stavamo recando a Genova per portare una “imbasciata” ad una persona calabrese che in quei giorni doveva essere scarcerata dalla casa circondariale di Parma. Ricordo che mi disse che questa persona era stata in carcere con un esponente della famiglia Libri, non ricordo con precisione se potesse essere Pasquale Libri, Filippo Chirico o qualcun altro».
Ai pm Paviglianiti non sembra in grado di dare dettagli su quel messaggio, tanto meno di identificare la persona cui era destinato. Di certo però sa che quella strana missione era andata a buon fine: «Ci recammo in un paesino fuori Genova del quale non ricordo il nome ed Edoardo, dopo aver chiesto informazioni, mi portò in una abitazione doveva abitava il fratello della persona detenuta a Parma. Si appartò con il fratello e dopo aver parlato per qualche minuto andammo via. Mi disse che non avevano notizie del fratello scarcerato».

 

«LO VUOI UN FIORE?»
A fargli comprendere la caratura criminale di colui che almeno formalmente era il semplice proprietario di un bar sarebbe stato Claudio Bianchetti, anche lui oggi imputato nel procedimento Cosmos. A Bianchetti, Paviglianiti avrebbe confidato di aspirare ad aprire un’autocarrozzeria e proprio in quell’occasione avrebbe ottenuto consigli – o meglio istruzioni – precise: «Mi disse che era opportuno parlare di questa mia intenzione con Mangiola Edoardo, che era suo compare. Nessuno mi disse apertamente che il Mangiola era il referente di zona, ma per come ho successivamente compreso in virtù della sua frequentazione, posso oggi affermare che il Mangiola era referente di quella zona per la cosca Libri».

E sarà proprio lui a proporgli l’ingresso formale nella ‘ndrangheta: «Mi disse che avrebbe avuto piacere di farmi “un fiore”, seppure non sia stato esplicito ho compreso chiaramente che con detta espressione gergale questi vuole essere iniziarmi nel percorso della ‘ndrangheta. […] Io risposi seccamente ad Edoardo: “Tu così mi vuoi bene?” e l’uomo sorridendo mi rispose
che ne avremmo parlato più in là».

 

Alessia Candito

a.candito@corrierecal.it

Argomenti
Categorie collegate

Corriere della Calabria - Notizie calabresi
Corriere delle Calabria è una testata giornalistica di News&Com S.r.l ©2012-. Tutti i diritti riservati.
P.IVA. 03199620794, Via del Mare, 65/3 S.Eufemia, Lamezia Terme (CZ)
Iscrizione tribunale di Lamezia Terme 5/2011 - Direttore responsabile Paola Militano
Effettua una ricerca sul Corriere delle Calabria
Design: cfweb

x

x