VIBO VALENTIA Dalle prime luci dell’alba, in diverse regioni italiane, i militari dei comandi provinciali della guardia di finanza e dei carabinieri di Vibo Valentia, supportati dai reparti competenti sul territorio nazionale, stanno eseguendo, sotto la direzione della Procura distrettuale antimafia di Catanzaro, un provvedimento di applicazione di misure di prevenzione ai sensi della normativa antimafia emesso dal tribunale di Vibo nei confronti della ‘ndrina Tripodi di Portosalvo di Vibo Valentia. L’attività, denominata “Libra money”, costituisce il prosieguo dell’indagine “Libra”, portata a compimento nel maggio dello scorso anno e che aveva visto, in quella sede, l’esecuzione di 20 ordinanze di custodia cautelare emesse dall’ufficio gip della Procura della Repubblica di Catanzaro, oltre all’esecuzione di un decreto di sequestro preventivo di beni emesso dalla Dda catanzarese. Il provvedimento odierno, eseguito tra Calabria, Lazio, Lombardia, Veneto, Emilia Romagna e Sicilia, aggredisce cespiti patrimoniali riconducibili al clan per complessivi 45 milioni di euro, tra 25 aziende, 42 fra terreni e fabbricati e 16 autoveicoli. Per dieci soggetti è stata inoltre richiesta l’applicazione di misure di prevenzione personali.
LA HOLDING DEI TRIPODI
Era una vera e propria holding la cosca Tripodi. Tra i beni sequestrati anche i bar “La dolce vita” e “Sweet and food”, situati entrambi a Roma, in via Giulio Cesare, nella zona del Vaticano, oltre ad un altro locale della Dolce vita in piazza Risorgimento. La cosca, secondo le indagini di finanzieri e carabinieri, avrebbe esercitato le proprie attività illecite con l’infiltrazione, attraverso società operanti perlopiù nel settore edile direttamente riconducibili a esponenti della cosca o intestate a prestanome, nei lavori pubblici lungo la costa vibonese e in opere pubbliche realizzate anche in altre zone d’Italia. Inoltre le attività illecite portate avanti riguardano l’usura e le estorsioni ai danni di altri operatori economici attuate anche attraverso l’imposizione del pagamento di fatture per prestazioni in realtà mai eseguite e l’acquisto di beni e prestazioni d’opera dalle ditte riconducibili al sodalizio. La cosca Tripodi, secondo l’accusa, avrebbe pure tentato di acquisire appalti pubblici nel Lazio anche attraverso il promesso sostegno elettorale ad un candidato, poi eletto e non indagato, alle elezioni del Consiglio regionale del 2010. Oltre al sequestro dei beni, per dieci persone è stata chiesta l’applicazione di misure di prevenzione personali.
LE SOCIETA’ SEQUESTRATE
Contestualmente al sequestro di beni per un valore di 45 milioni di euro, il procuratore di Catanzaro Vincenzo Antonio Lombardo ed i pm della Dda Pierpaolo Bruni e Simona Rossi hanno avanzato al Tribunale di Vibo Valentia richieste di misura di prevenzione personale della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza nei confronti di dieci persone. Il provvedimento interessa il presunto boss dell’omonimo clan Nicola Tripodi, 66 anni; Sante Tripodi (41), e Antonio Tripodi (50), fratelli del primo; Salvatore Vita (39), di Vibo Marina; Francesco Comerci (39), di Nicotera, residente a Roma; Massimo Murano (41), di Busto Arsizio (Varese); Orlando Tripodi (28) e Marika Tripodi (29), figli di Nicola Tripodi; Simon Schito (32), di Milano; Francesco La Tesse (29), di Vibo Marina.
Tra i beni riconducibili al clan Tripodi e sottoposti a sequestro figurano i bar “Ritrovo La Dolce Vita” e “Effeci Global Services Group srl” a Roma. Sequestrate anche le quote societarie della società “Edil Sud Costruzioni srl” con sede a Roma (attualmente in fallimento) intestate a Francesco Comerci e Filippina Purita; l’intero compendio aziendale della “Edil Sud Costruzioni srl” composto da 2 fabbricati nel Comune di Manziana (Rm) ed uno a Magnago (Mi), un fabbricato a Roma, 4 autovetture Fiat, un autocarro Iveco ed una Chevrolet Captiva. Sequestrate poi le quote societarie e il compendio aziendale (2 immobili a Buscate, nel Milanese, ed uno a Milano) della società “O&S. Costruzioni” con sede a Milano di proprietà del vibonese Francesco La Tesse. Sequestrate anche quote societarie e compendio aziendale della “Cavour 29 di Morello Maria Teresa e Tripodi Orlando” con sede a Cornaredo (Mi); “Atam sas di Iania Alfredo&C”; “Napoleone Costruzioni srl” attiva nel Milanese; “T5 Costruzioni srl”di Sante Tripodi e Teresa Lo Bianco con sede a Porto Salvo (Vv); “Lgr Costruzioni di La Gamba Roberto” con sede a Vibo Marina, la “S.C. Costruzioni di Sicari Cristian” con sede a Limena (Padova).
«Le operazioni sul territorio vibonese non finiscono mai, ma grandi sono l’operatività e i risultati». A sostenerlo è stato il prefetto di Vibo Valentia Giovanni Bruno nel corso della conferenza stampa sull’operazione “Lybra Money” che ha portato al sequestro dei beni riconducibili al clan Tripodi di Vibo Marina. Alle parole del Prefetto hanno fatto eco quelle del procuratore di Vibo Mario Spagnuolo che ha parlato della collaborazione “vincente tra la procura ordinaria e quella distrettuale di Catanzaro. Con questa sinergia – ha aggiunto – si riflette quella idea che l’azione di contrasto alla criminalità si realizza attraverso la pienezza della giurisdizione. La situazione di crisi economica e sociale che va ormai avanti da più anni e che vede coinvolto soprattutto il Meridione rappresenta un’occasione per l’arricchimento dell’impresa mafiosa che prospera proprio perché non ha i problemi, come ad esempio il ricorso al credito, di quelle che operano con trasparenza. E in più, ha la capacità di infiltrazione nella zona grigia».
«Per questo – ha concluso Spagnuolo – l’aggressione ai capitali mafiosi diventa fondamentale e questa indagine, che tocca non solo patrimoni ma anche le imprese, è un’attività assolutamente meritoria». I comandanti provinciali dei carabinieri, Daniele Scardecchia, e della guardia di finanza, Paolo Valle, hanno infine parlato dell’importanza dei reparti territoriali che possono incidere nella lotta alla criminalità e hanno rilevato come «dopo l’attacco frontale alla cosca egemone del territorio, cioè quella dei Mancuso con la disarticolazione dell’ala militare in occasione dell’operazione sulla faida tra Patania e Piscopisani, vi è ora questa che abbraccia l’area economico-finanziaria».
I RAPPORTI TRA COLETTI BIANCHI, ‘NDRINE E COSA NOSTRA
L’inchiesta della Dda di Catanzaro punta adesso ad accertare l’eventuale esistenza di rapporti, nelle regioni del nord, tra “colletti bianchi” e ‘ndrangheta e tra quest’ultima organizzazione e Cosa nostra. Rapporti che, come emerge dalle testimonianze di diversi collaboratori di giustizia calabresi, vi erano già stati in passato, come qualche mese prima dell’avvio del periodo delle stragi del ’92 e del ’93 quando a Nicotera si tenne un summit fra i vertici della ‘ndrangheta provenienti da tutta la Calabria ed emissari della mafia siciliana. Un altro filone di indagine aveva portato, nei mesi scorsi, ad una serie di perquisizioni una delle quali nella sede legale a Bergamo dell’emittente radiofonica Rtl 102.5.
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