LAMEZIA TERME Al termine di un’altra estenuante giornata di trattative e contatti frenetici regna un certo ottimismo nel Pd calabrese. Nessuno dei protagonisti si lascia andare a fughe in avanti, ma è certo che i renziani hanno fatto recapitare sul tavolo dei maggiori rappresentanti di Area riformista, la corrente dei bersanian-dalemiani guidata dal capogruppo dem alla Camera Roberto Speranza, la proposta di costruire l’unità del partito attorno alla figura di Massimo Canale. È lui il candidato sul quale è stato indotto a puntare Lorenzo Guerini – il plenipotenziario di Matteo Renzi a cui è stata affidata la gestione del delicato caso Calabria – per riconquistare la Regione. Il ragionamento, d’altronde, è abbastanza semplice. I renziani stanno incontrando non poche difficoltà – ne sanno qualcosa Franco Laratta, Nicodemo Oliverio e Ciccio Sulla, i tre incaricati di sondare gli orientamenti e rendicontare a Guerini e Magorno – a trovare una sintesi su un nome che possa mettere d’accordo tutto il variegato fronte di chi alle primarie dell’8 dicembre ha votato per l’attuale segretario del partito. Proprio per questo motivo – su impulso dei vertici del Nazareno – i seguaci del “rottamatore” si sarebbero decisi a sparigliare la carte (“spinti” in qualche modo anche dalle parole molto dure usate da Pippo Callipo nella lettera aperta inviata a Renzi), puntando sul leader della minoranza interna. È una mossa, quella messa in campo da Guerini, Magorno e soci, pensata per ottenere il superamento la candidatura di Mario Oliverio. Non ci sono veti personali contro il presidente della Provincia di Cosenza, che viene ritenuto unanimemente «un ottimo amministratore», ma la sua discesa in campo non è ritenuta in linea con i canoni di innovazione e rinnovamento introdotti dal nuovo corso renziano.
Ragion per cui, incassato il consenso del fronte renziano, i vari Speranza, D’Attorre e Stumpo adesso dovranno risolvere la questione al loro interno. E non si tratta di un compito molto semplice considerata la ferrea volontà di Oliverio di candidarsi alle primarie. Le diplomazie sono al lavoro e buona parte di tale trattative sono state affidate al segretario reggino del Pd Seby Romeo, che pur provenendo del fronte cuperliano può vantare diversi estimatori nel campo renziano. È evidente che Area riformista, dopo aver perso il congresso calabrese, può mettere a segno un colpo importante: ottenere la candidatura a presidente della Regione e rilanciare il candidato di questa corrente alla segreteria del Pd calabrese.
Se anche questo tentativo di pacificazione dovesse fallire, la palla passerebbe direttamente nelle mani di Matteo Renzi. Il premier-segretario preferirebbe non entrare nella partita, «io sono rispettoso – continua a ripetere – dell’autonomia dei territori», ma potrebbe in qualche modo essere costretto a farlo se le primarie in Calabria dovessero ridursi a «una conta tra potentati», non in grado di unire ma piuttosto di produrre altre lacerazioni all’interno del Pd.
Ma nelle ultime ore in casa democrat si tiene d’occhio pure il pallottoliere. Già, perché sono in corso i conteggi per capire in quanti lotteranno per ottenere lo status di candidato a governatore di centrosinistra. Lo statuto del Pd è vincolante. Per ufficializzare la discesa in campo servono almeno 105 firme (pari al 35%) dei 300 componenti dell’assemblea regionale. Quindi al massimo i candidati Pd possono essere due. Se poi un candidato raccoglie una firma in più del 65% (196 firme quelle necessarie) chiude i giochi e resta solo – a meno che un altro aspirante non venga sostenuto dal 20% degli iscritti di quella regione – a misurarsi con eventuali altri pretendenti di altri partiti della coalizione. E tale opzione è quella che più interessa Guerini. Convinto più che mai che quella calabrese è «una partita su cui il Pd, a tutti i livelli, si gioca la faccia».
Antonio Ricchio
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