COSENZA La forza della disperazione è quella che ha spinto un imprenditore di Cosenza, attivo nel settore edile, a denunciare anni di vessazioni subite. Da qui sono partite le indagini che hanno portato all’operazione “Profondo rosa” – condotta dal Reparto operativo dei carabinieri di Cosenza, guidato dal tenente colonnello Vincenzo Franzese – con la quale è stata sgominata una banda dedita a usura e minacce, gestita principalmente da donne. Tutto è iniziato nell’ottobre del 2009 quando un imprenditore, trovandosi in gravi condizioni economiche, su consiglio di un amico, Gianluca Gagliardi (coinvolto nell’inchiesta e sottoposto all’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria) si è rivolto a Maria Montalto (suocera di Gagliardi, finita in carcere) per ottenere un prestito. I due si incontrano e si accordano per 35mila euro, fissando gli appuntamenti per la consegna del denaro, che avviene sempre in presenza di Gagliardi. Nel primo la donna consegna alla vittima 15mila euro, chiedendone 1500 di interessi. Nel corso del secondo incontro è lo stesso Gagliardi a dare all’uomo 5mila euro, concordando il pagamento del 10 per cento di interessi, cioè di 500 euro, da restituire entro la fine del mese a lui o alla moglie Francesca Maria Vigna (pure lei sottoposta all’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria). Infine, nel terzo appuntamento, la Montalto consegna l’ultima tranche di denaro – 15mila euro –, ribadendo sempre le stesse condizioni: 1500 euro di interessi. Complessivamente, il prestito usurario è di 35mila euro, a fronte del quale vengono richiesti 3.500 euro di interessi. L’imprenditore «onora» le scadenze fino al mese di marzo 2013, dando ogni mese 3500 euro alla Montalto e a Gagliardi (rispettivamente, 3mila alla prima, 500 al secondo). Ma l’aggravarsi delle condizioni economiche costringono la vittima a pagare un’unica rata di 500 euro per i mesi di aprile e marzo dello scorso anno. L’imprenditore ha quantificato in 154mila euro la cifra erogata come interessi e ha fornito agli inquirenti una parte della documentazione bancaria di supporto: in particolare, le distinte di prelevamenti in contanti e le matrici di tre assegni circolari, emessi in favore di Emanuela Pirola (figlia della Montalto e ai domiciliari). Appena l’uomo non riesce a pagare le somme richieste, la Montalto sfodera tutta la sua aggressività: minaccia di morte lui e i suoi familiari, intimandogli di consegnarle anche il furgone posseduto in leasing e utilizzato dai dipendenti della sua ditta. E per rafforzare le minacce la Montalto – scrive il gip – fa riferimento alla «presunta fama criminale» del marito, Francesco Pirola, all’epoca detenuto, riferendo queste parole: «Se non mi dai i soldi ammazzo tutta la famiglia… Ti sparo nelle gambe a te… Ti brucio il cantiere tuo e dei tuoi fratelli…Mio marito è uno che si fa 22 anni di carcere e te la fa pagare… Non è un fesso… Ha le sue amicizie!!!». Non soddisfatta la donna prende un fucile a canne mozze e minaccia di morte l’imprenditore. Ma i momenti di terrore per l’uomo non sono finiti. In un’altra occasione la Montalto e la figlia, Emanuela Pirola, lo minacciano di morte anche sotto casa. Nel mese di maggio 2013, l’uomo – vessato anche psicologicamente – consegna il furgone alla Montalto dandole le chiavi ma non i documenti del veicolo. A giugno la situazione torna alla “normalità” perché la vittima riesce a versare i 3500 euro. Invece, tra luglio e ottobre consegna solo 500 euro a Gagliardi, e, di tanto in tanto, somme variabili – dalle 150 alle 900 euro – a Maria Montalto e alla figlia per «tenerle buone» e ridurre gli interessi da versare. Il denaro viene consegnato di solito di mercoledì perché la Montalto e la figlia il giovedì devono andare a Catanzaro per il colloquio in carcere con il marito e padre della ragazza e sostenere le spese del familiare detenuto. La pressione psicologica sulla vittima è talmente forte – raccontano gli inquirenti – che la Montalto, Gagliardi e la moglie Francesca gli impongono anche di assumere nella sua azienda – ma «senza prestare alcuna attività lavorativa» – l’altra figlia della Montalto, Emanuela – perché quest’ultima deve stipulare un contratto di finanziamento per l’acquisto di un’auto. Emanuela Pirola – secondo quanto è stato riferito alla vittima – stipulando il contratto con una concessionaria, ha falsificato i dati riportati in busta paga, cioè la data di assunzione. Nel 2012 l’imprenditore, a casa della Montalto – dove si trova per saldare i suoi debiti – incontra un’altra donna, Fausta Malgaritta (finita in carcere nell’operazione dei carabinieri), moglie del pregiudicato Walter Gianluca Marsico. Quando – ormai sfinito – l’uomo decide di denunciare, le pressioni continuano. Alcune telefonate giungono mentre si trova proprio dai carabinieri: è Emanuela Pirola che lo costringe a consegnarle i documenti del furgone. La vittima è sempre più vessata e a quella prima denuncia seguono numerose integrazioni. Così come sono tante le somme che è costretto a consegnare alla banda. (0050)
Mirella Molinaro
m.molinaro@corrierecal.it
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