LAMEZIA TERME A voler vedere il bicchiere mezzo pieno, con riferimento alle “note vicende” del Partito democratico calabrese, si può dire che i nodi, arrivando al pettine, tolgono spazio alle camarille e costringono i big a smetterla con i tatticismi e prendere decisioni serie.
Le annunciate dimissioni di Ernesto Magorno da segretario regionale del Pd, laddove venisse impedito o svilito quello che lui definisce «un cambiamento reale, profondo e irreversibile», hanno provocato in queste ore una catena di eventi politici che rendono incandescente l’asse Roma-Cosenza. Da un lato c’è l’intervento di Luca Lotti, tendente a rasserenare Magorno e impedire che si dimetta dalla segreteria regionale; dall’altro c’è la richiesta di Massimo Canale a quelli che sono stati i fautori della sua candidatura a segretario regionale di chiarire che posizione intendono assumere rispetto alla proposta dei renziani di convergere proprio su Canale per una candidatura unitaria.
Procediamo con ordine: nelle climatizzate stanze dei palazzi romani, la notizia che Magorno intende dimettersi ha creato grande fibrillazione. Soprattutto per le ragioni che stanno spingendo Magorno alle dimissioni. Matteo Renzi non intende deludere un “renziano della prima ora” come appunto Magorno, ma soprattutto non intende si possa pensare che la “rottamazione” si arresti sulle vette del Pollino.
Da qui l’intenzione, da una parte, di consolidare la vicinanza al segretario regionale del Pd calabrese e, dall’altra, di accantonare ogni “terzietà” per avocare a Roma le decisioni sulle candidature in Calabria. Qui, dopo il gelo che ha accolto da parte dei suoi amici di schieramento, l’offerta dei renziani di una candidatura a presidente di Massimo Canale, si comincia a ritenere che il confronto in Calabria non è più tra chi sta con Renzi e chi sta con Bersani e D’Alema o Civati. È tutt’altro, vale a dire è il confronto tra chi vuole aprire nuovi orizzonti e chi preferisce restaurare un potere politico che, nel bene e nel male, ha già dato più di quanto poteva.
E qui entra in gioco Massimo Canale e ci entra a pieno titolo e per due buone ragioni. Ci entra chiedendo un incontro con Mario Oliverio e Nicola Adamo, dai quali vuole chiarezza sulla proposta avanzata dai renziani e ai quali chiede anche di motivare politicamente un eventuale rifiuto di tale proposta. Ci entra perché il Pd è ampiamente e colpevolmente moroso nei confronti di Massimo Canale, al quale ha affidato candidature impossibili quando c’era da salvare la faccia del partito (da ultimo nel 2011, come candidato a sindaco di Reggio Calabria per il dopo-Scopelliti), ma anche di quel mondo che, al pari di Canale, ha salvato la faccia al Pd quando c’era da prendere botte (vedi vicenda di Salvatore Scalzo in quel di Catanzaro).
Come andrà a finire il dialogo tra Magorno e Lotti? E come finirà, sempre che ci sia, il confronto interno auspicato da Massimo Canale con i suoi “amici” cosentini? Ecco, l’unico dato certo è che questi interrogativi dovranno necessariamente trovare una risposta nelle prossime ore.
Il Pd è dei calabresi, ma non solo dei calabresi. A meno che qualcuno non ritenga che la media dei voti raccolti la si calcolerà a prescindere dal dato calabrese: il 40,8 di Matteo Renzi rischia di essere una chimera per il Pd calabrese se continuerà ad essere abbandonato a se stesso o, peggio, alle sue eterne baronie. (0030)
pa. po.
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