REGGIO CALABRIA Gli interessi dell’ex ministro Claudio Scajola nel mondo grande e non sempre “pulito” dell’eolico, il tandem con Matacena in affari sparsi per il mondo, come i personalissimi rapporti con politici liguri in odor di ‘ndrangheta, ma anche le spericolate – e sconsigliatissime – manovre finanziarie di Chiara Rizzo per subentrare al marito in ambigue transazioni, benedette da munifici, quanto misteriosi, benefattori: è uno spaccato devastante della rete che l’ex parlamentare di Forza Italia Amedeo Matacena – oggi in fuga da una condanna definitiva per mafia – aveva costruito attorno a sé, quello che emerge dai nuovi documenti depositati al Tribunale del Riesame dai pm Giuseppe Lombardo e Francesco Curcio.
«INDAGATELI PER MAFIA»
Tutti atti che ai pm serviranno per dimostrare di fronte ai giudici del Riesame che l’ex ministro Claudio Scajola, il suo collega di partito, oggi in fuga da una condanna definitiva per mafia, Amedeo Matacena, la moglie e la madre di quest’ultimo, Chiara Rizzo e Raffaella De Carolis, come i suoi collaboratori, Antonio Chillemi e Martino Politi, e le segretarie dei due politici, Roberta Sacco e Maria Grazia Fiordelisi devono rispondere anche dell’aggravante mafiosa. Un’ipotesi respinta dal gip Olga Tarzia in sede di emissione della misura cautelare, ma su cui oggi gli inquirenti insistono anche sulla base di acquisizioni che complicano non poco non solo la posizione degli indagati colpiti da misura, ma anche di chi – come Vincenzo Speziali – nella prima fase dell’inchiesta è rimasto nell’ombra. Per l’omonimo nipote dell’ex senatore del Pdl, gli inquirenti teorizzano un ruolo non marginale. Stando alle ipotesi investigative, anche lui farebbe parte di quella «associazione per delinquere segreta collegata all’associazione di tipo mafioso e armata denominata “‘ndrangheta” da rapporto di interazione biunivoca al fine di estendere le potenzialità operative del sodalizio di tipo mafioso in campo nazionale e internazionale» di cui farebbero parte non solo l’ex ministro Scajola, lo stesso Matacena, la moglie e la madre di quest’ultimo – Chiara Rizzo e Raffaella De Carolis, nonché i suoi collaboratori, Martino Politi e Antonio Chillemi, le segretarie dei due politici, Roberta Sacco e Maria Grazia Fiordelisi, – ma anche «ulteriori soggetti il cui ruolo è in corso di compiuta ricostruzione, ciascuno nella sua qualità professionale, politica e imprenditoriale». Nonostante da parte del diretto interessato siano sempre arrivate secche smentite, per i pm sarebbe stato lui a fare da trait d’union fra i massimi vertici della politica libanese – in particolare l’ex presidente Amin Gemayel – e Scajola, in quei mesi impegnato – è emerso dalle conversazioni intercettate – a dare un comodo rifugio ad Amedeo Matacena, all’epoca approdato in Arabia Saudita, dopo mesi di permanenza alle Seychelles, ma proprio grazie a questi contatti in via di trasferimento a Beirut.
NUOVI GUAI PER SPEZIALI JR?
Ma stando a quanto in questi giorni depositato, il ruolo di Speziali jr non si limiterebbe a questo. Il suo nome emerge infatti anche – hanno scoperto i segugi della Dia di Reggio Calabria, rovistando fra le carte dell’archivio della segretaria dell’ex parlamentare di Forza Italia, Maria Grazia Fiordelisi, – in una cartella piena zeppa di documenti relativi al progetto Freesun, concernente la realizzazione di impianti eolici, fotovoltaici e mini idroelettrico, presentato per “lndustria 2015” per la Liguria, la selezione su base regionale dei progetti da finanziare con il fondo governativo per l’innovazione energetica, all’epoca gestito dall’allora ministro per lo Sviluppo economico, Claudio Scajola. «Il dato che fa riflettere – annotano gli uomini della Dia – è che all’interno di tale busta è stato rinvenuto un appunto manoscritto riportante il nominativo di Vincenzo Speziali con i recapiti telefonici e l’indirizzo di posta elettronica, come se il citato Speziali avesse un qualche ruolo anche nella vicenda delle energie rinnovabili. Da una consultazione delle fonti aperte è emerso il coinvolgimento di Speziali Antonio nella vicenda del parco eolico Pitagora di Isola Capo Rizzuto».
PARCO PITAGORA E IL BUBBONE EOLICO CALABRESE
Una vicenda già finita al centro di diversi filoni d’inchiesta di due Procure calabresi, secondo cui molto di illecito ci sarebbe stato nella realizzazione dei parchi eolici calabresi e che ha visto indagato proprio Antonio Speziali – la cui posizione è stata in seguito archiviata – cugino e socio di Vincenzo. Partita nel 2006, con le devastanti intercettazioni disposte a carico dell’imprenditore Mauro Nucaro, amministratore della società Cesp Calabria, da cui emergevano una serie reati commessi da politici e funzionari della Regione connessi alla realizzazione dei parchi eolici in Calabria, l’inchiesta si è poi sfilacciata in diversi tronconi, per anni rimbalzati per competenza fra la Procura di Paola che ha avviato l’indagine, quella di Cosenza e quella di Catanzaro, ritenuta competente per territorio. Al centro delle indagini, il presunto pagamento di una tangente di 2 milioni e 400mila euro, pari al 2% del valore della struttura, per la realizzazione del parco eolico “Pitagora” di Isola Capo Rizzuto – che altre indagini sveleranno essere nell’orbita della cosca Arena – e per l’adozione da parte della Regione Calabria delle “Linee guida sull’eolico”. A pagarla sarebbero stati i dirigenti delle aziende interessate alla realizzazione, fra cui l’amministratore della Tisol srl Roberto Baldetti, che avrebbe effettivamente corrisposto 912mila – attraverso 11 bonifici bancari, effettuati dall’ottobre 2005 all’aprile 2008 – alla Piloma di cui era socio Giancarlo D’Agni. «La Procura – si legge nell’informativa della Dia – sostiene che Giancarlo D’Agni e Mario Lo Po divennero soci della Piloma, della Saigese e della Loda per volere dell’ex vice presidente della Regione, Nicola Adamo, e che furono, secondo l’accusa, i percettori delle somme di denaro in nome e per conto dello stesso Adamo. L’accordo venne poi suggellato nel corso di un incontro avvenuto il 3 agosto del 2005 presso gli uffici della Regione a Reggio Calabria al quale partecipò Adamo, D’Agni, Baldetti, Mauro Nucaro, Stefano Granella e Giampiero Rossetti. In quella occasione i rappresentanti del gruppo Erg venivano personalmente rassicurati dall’Adamo in tal modo “se voi della Erg volete venire a fare degli investimenti in Calabria state tranquilli che avrete un’autostrada senza caselli”».
I CUGINI SPEZIALI
Un filone d’indagine che ha visto per lungo tempo indagato anche Antonio Speziali, che nelle ipotesi investigative richiamate dalla Dia nella nuova informativa «per mezzo della Enerqy srl di cui è amministratore unico, con la fattiva collaborazione di Nicola Adamo e Giancarlo D’Aqni, sarebbe subentrato nella gestione dei parchi eolici progettati dalla Cesp Calabria srl, anche per conto di un altro illustre rappresentante istituzionale: il presidente della Regione Calabria, Agazio Loiero». Tanto la posizione di Loiero, come quella di Antonio Speziali, sono state archiviate, ma adesso i magistrati sembrano intenzionati a scavare più in fondo anche alla luce dei rapporti estremamente stretti e confidenziali di Antonio Speziali con il cugino Vincenzo jr. A confermarlo sono diverse recentissime conversazioni intercettate – su cui solo una discovery parziale è stata disposta – che rivelano un grado di confidenza fra i due tale da indurre Vincenzo a parlare con serenità del suo presunto coinvolgimento nella fuga di Marcello Dell’Utri in Libano. Annotano infatti gli investigatori nella sintesi: «Vincenzo continua a parlare della storia di Dell’Utri, racconta le solite cose dette in altre telefonate a sua discolpa, commenta che zio Vincenzo e Totò lo hanno chiamato preoccupati in quanto sono amici e che comunque i documenti per l’estradizione sarà difficile attenerla anche perch
é i documenti sono complessi e non faranno in tempo a tradurli in arabo e che in Libano non c’è questo tipo di reato».
«ACQUISITE QUEGLI ATTI»
Ma il rapporto fra i due cugini è stretto e datato nel tempo e proprio per questo oggi gli inquirenti vogliono capire se e in che misura sulle “fortune eoliche” di Antonio abbia influito il rapporto che – hanno confermato anche i recenti interrogatori disposti nell’ambito dell’inchiesta “Breakfast” – aveva stretto rapporti con l’allora ministro delle Attività produttive prima, dello Sviluppo economico poi, Claudio Scajola. Ma soprattutto se e in che misura Amedeo Matacena possa aver avuto un ruolo in tutto questo. Scrivono infatti i segugi della Dia, «si richiede a codesta autorità giudiziaria di valutare l’opportunità di acquisire agli atti della presente indagine il fascicolo riguardante il parco eolico Pitagora, poiché per come emerge dalla lettura degli articoli, oltre alla presunta tangente si è registrato l’immancabile intervento della ‘ndrangheta. Sarebbe, infatti, opportuno approfondire l’eventuale cointeressenze nella vicenda di Speziali Vincenzo jr, anche per meglio comprendere se esistano tra lo stesso e il Matacena, aldilà della vicenda dell’asilo politico, comuni interessi nel campo delle energie alternative».
TRIANGOLAZIONI RICORRENTI
Una triangolazione che gli inquirenti che oggi indagano sull’ex ministro, l’ex parlamentare di Forza Italia e il loro entourage, hanno già in diverse occasioni fotografato. È il caso del finanziamento di 5,9 milioni di euro che l’azienda milanese Fera avrebbe ricevuto per il progetto “Freesun per la Liguria” nel gennaio 2009, proprio quando a gestire i milionari investimenti per l’innovazione tecnologica legati al decreto Industria 2015 era Scajola. Un fiume carsico di soldi che gli uomini della Dia di Reggio Calabria hanno visto affiorare nelle carte sequestrate l’8 maggio a Maria Grazia Fiordelisi, la segretaria tuttofare che custodiva l’archivi dei coniugi Matacena.
FEEDBACK
Come anticipato nelle scorse settimane da Corriere della Calabria e oggi condensato in un’informativa finita agli atti dell’inchiesta “Breakfast”, gli investigatori hanno trovato una cartella contenente una presentazione del progetto Freesun e un’e-mail. Sintetica, quasi telegrafica. «Hai più avuto feedback da scaio?». Il messaggio è datato 15 gennaio 2009. Lo invia Cesare Fera, patron dell’azienda omonima che si è imposta come grande mattatrice degli appalti per i parchi eolici in Liguria e non solo. Il destinatario è Alberto Acierno, ex deputato prima del Popolo delle Libertà, poi di Forza Italia, approdato nel 2001 al consiglio regionale siciliano grazie al listino dell’allora presidente Salvatore Cuffaro, prima di inciampare a fine 2009 in un’indagine per peculato. Acierno, consulente della Fera, inoltra la mail a Matacena, senza aggiungere nulla. Una triangolazione che ha incuriosito gli investigatori, che oggi non possono che annotare: «Industria 2015 è un programma di governo di aiuti alle imprese relativamente a progetti riguardanti determinati argomenti, tra i quali la ricerca per l’efficienza energetica. Tale programma è varato quando Scajola era ministro delle Attività produttive, e quando viene nominato ministro dello Sviluppo economico pone al centro della sua attività il rifinanziamento del programma in questione. Pertanto quando si verifica lo scambio di mail, fine 2008 inizio 2009, Scajola era ministro in carica, da qui la necessità per un progetto che interessa Cesare Fera». Ma a stuzzicare l’interesse di inquirenti e di investigatori non è stato semplicemente il contributo milionario che undici giorni dopo quella mail il ministero dello Sviluppo economico assegnerà all’azienda. Quello della Fera infatti non è un nome nuovo per gli investigatori.
SCIVOLONI PALERMITANI
Negli anni passati, l’azienda milanese è inciampata in almeno due delle inchieste con cui la Dda di Palermo ha voluto approfondire gli interessi attorno al business dell’eolico in Sicilia. Nessuno dei vertici dell’azienda è mai stato indagato, tuttavia dagli atti dell’inchiesta “Eolo” emerge che Pino Sucameli, uomo d’onore del clan Tamburello, difende gli interessi della Fera tuonando «è cosa nostra». Sarà invece l’inchiesta “Eden” a far registrare lo stato di fibrillazione di Sebastiano Falesi, proconsole della Fera in Sicilia, quando le aziende direttamente riconducibili ai familiari di Matteo Messina Denaro tentano di accaparrarsi la gestione del cantiere in subappalto. Anche la Procura genovese, che sull’eolico indaga da tempo, ha messo gli occhi addosso alla Fera e sul suo network di contatti e relazioni fra cui quelle con l’ex deputato di Forza Italia, Matacena.
MATACENA E L’AZIENDA FERA
Nonostante non risulti alcun legame economico o commerciale fra il patron della Fera e l’ex politico armatore – mettono nero su bianco gli investigatori in un’informativa agli atti del procedimento “Breakfast” – fra i due esistono consolidati «rapporti economico-finanziari». La presenza di Matacena verrà registrata «a riunioni che avvenivano a bordo di un’imbarcazione a vela ormeggiata in un porto spezzino e lo stesso raggiungeva spesso, con autovettura con targa del Principato di Monaco, la sede della Fera a Milano». Un rapporto che non trova riscontro in carte e documenti, ma che sta già generando tensione in azienda, dicono le mail – datate marzo 2009 – di due dirigenti che commentano: «Portarci in ufficio uno come Matacena è stata una cazzata veramente grossa». A esprimersi in termini così netti è Luca Salvi, uno dei soci della Fera, che interrogato dagli inquirenti non solo confermerà le visite di Matacena in azienda, ma affermerà anche: «Effetttivamente Cesare Fera mi disse che l’appoggio del Matacena sarebbe stato utile nelle due regioni meridionali, anche se ad onor del vero quando gli spiegai i precedenti di Matacena – ritengo, ma è una mia percezione – che prese un po’ le distanze dal Matacena. Questa mia considerazione nasce dal fatto che da quella data non ho più sentito nominare il Matacena dal Fera». Una presunzione che adesso toccherà agli inquirenti accertare se sia giusta o sbagliata. (0050)
Alessia Candito
a.candito@corrierecal.it
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