COSENZA Sono stati condannati all’ergastolo e a un anno di isolamento diurno, Domenico Scarola, 29 anni, e Salvatore Francesco Scorza, 33, considerati gli esecutori materiali della strage di San Lorenzo del Vallo nella quale, il 16 febbraio 2011 persero la vita Rosellina Indrieri, 45 anni, e sua figlia Barbara, 22, mentre sopravvisse, seppure colpito gravemente Silas De Marco, il figlio maschio.
E’ lui il testimone chiave che nell’estate del 2012 indicò agli inquirenti i due imputati come coloro che, col volto travisato, irruppero quella sera in casa De Marco compiendo una carneficina. La corte, presieduta da Giovanni Garofalo, dopo quasi otto ore di camera di consiglio ha accolto le richieste dell’accusa, rappresentata dal sostituto procuratore della Dda, Vincenzo Luberto, pur rigettando l’aggravante mafiosa. Una decisione che ha scatenato confusione e pianti da parte dei parenti delle vittime, al grido di «non è giusto, sono innocenti». Una decisione nata dopo più di un anno di udienze durante le quali si è cercato di confutare la versione del super teste, Silas, decisosi a parlare con gli inquirenti solo dopo l’arresto, il 13 aprile 2012, del boss Franco Presta.
La strage, secondo le ricostruzioni degli inquirenti, sarebbe stata ordita per vendicare la morte del figlio di Presta, Domenico, 21 anni, avvenuta per mano di Aldo De Marco, zio di Silas. Questi, commerciante, da tempo aveva rapporti difficili con il giovane, vicino di negozio. Al culmine dell’ennesima lite, De Marco ha freddato il ragazzo con la sua calibro 22 e poi è andato a costituirsi. Era il 17 gennaio 2011. Un mese dopo avverrà la strage di San Lorenzo dalla quale si salveranno Silas e suo padre Gaetano che dormiva, ubriaco in un’altra stanza (lui verrà ucciso in un agguato 50 giorni dopo). Una scia di sangue che chiama altro sangue, questa la tesi dell’accusa che ha fondato le proprie ragioni anche sulla vicinanza tra le famiglie Scarola-Scorza e i Presta e la nota amicizia tra Domenico e i due imputati.
La difesa, dal canto suo, rappresentata dai legali Lucio e Carlo Esbardo e Luca Acciardi, ha sempre cercato di dimostrare l’inattendibilità del teste, le sue versioni discordanti dell’accaduto, le incongruenze nei raffronti con la sorella Sandra e la fidanzata Stefania. Impossibile, secondo gli avvocati, che il testimone, nei pochi attimi prima di essere colpito e cadere sotto un tavolo, avesse potuto riconoscere i killer col volto coperto che, alle 20 della sera, avevano fatto irruzione nell’abitazione di via Berlinguer a San Lorenzo. Ma secondo la corte hanno prevalso gli elementi accusatori e la testimonianza di Silas.
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