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Crollo del palco della Pausini, sette richieste di rinvio a giudizio

REGGIO CALABRIA C’è anche il dirigente comunale Marcello Cammera fra i sette indagati per i quali la Procura ha chiesto il rinvio a giudizio nell’ambito dell’indagine seguita alla morte di Matteo A…

Pubblicato il: 16/07/2014 – 7:19
Crollo del palco della Pausini, sette richieste di rinvio a giudizio

REGGIO CALABRIA C’è anche il dirigente comunale Marcello Cammera fra i sette indagati per i quali la Procura ha chiesto il rinvio a giudizio nell’ambito dell’indagine seguita alla morte di Matteo Armellini, giovane operaio travolto dal rovinoso crollo del palco in allestimento al PalaCalafiore di Reggio Calabria per il concerto della nota cantante Laura Pausini. Al termine di oltre due anni di indagini, il pm Rosario Ferracane ha chiesto il rinvio a giudizio per Sandro Scalise, Franco Faggiotto, Pasquale Aumenta, Ferdinando Salzano, Maurizio Senese e Marcello Cammera, tutti accusati di omicidio colposo, come pure per Gianfranco Perri, coordinatore della progettazione nominato dalla Sm Musica, estensore del piano di sicurezza. All’esito di innumerevoli perizie, studi e valutazioni tecniche, per il pm Ferracane, il tragico incidente in cui ha perso la vita Armellini, stritolato dalle pesanti colonne metalliche che gli sono crollate addosso quando la struttura aerea che sovrastava il palco è crollata sulle gradinate, si deve anche agli omessi controlli della F & P Group Srl, committente esclusiva dei lavori di allestimento del palco alla Italstage, entrambe ritenute responsabili.
A finire nei guai è dunque Ferdinando Salzano, rappresentante della F & P Group, che per il pm non avrebbe proceduto alla nomina di un direttore dei lavori che non avrebbe – si legge nella richiesta di rinvio a giudizio – “da un lato rilevato i gravi errori e le evidenti omissioni presenti nell’elaborato redatto dall’ingegnere Franco Faggiotto, dall’altro lato vigilato sulla corretta esecuzione dell’opera”. Anche Faggiotto sarebbe autore di una progettazione errata e carente, perché “non teneva in considerazione la possibile presenza di forze orizzontali accidentali, l’eccessiva deformabilità della struttura metallica, non prevedeva che i piedi della struttura fossero zavorrati con blocchi di calcestruzzo, non teneva in considerazione la forte deformabilità elastica del piano di posa”. Dunque dovrebbe affrontare il giudizio, come pure Pasquale Aumenta, patron della Italstage, società che avrebbe concretamente proceduto con “negligenza, imprudenza, ed imperizia” alla costruzione del palco, ma soprattutto in violazione delle norme sulla prevenzione degli infortuni. Ma di fronte a un giudice per la Procura dovrebbero andare anche il patron della Esse Emme Musica che aveva organizzato il concerto, Maurizio Senese, e il coordinatore della sicurezza per l’esecuzione dei lavori di costruzione della struttura che la società, come committente dell’intero evento aveva nominato, Sandro Scalise.
Delicata infine la posizione di Cammera, all’epoca dirigente comunale responsabile del settore progettazione ed esecuzione dei Lavori Pubblici, che per la Procura avrebbe omesso di “adottare un provvedimento di inibizione all’inizio dei lavori di costruzione della struttura metallica all’interno del palazzetto, dopo la consegna dell’impianto, di immediata sospensione dei medesimi lavori, non segnalando inoltre il pericolo grave e imminente di un crollo (poi avvenuto) della costruenda struttura metallica ai soggetti a vario titolo nell’organizzazione e realizzazione dell’evento musicale e/o alle autorità amministrative competenti”.
Un anno fa, Paola Armellini, madre di Matteo, aveva scritto una lettera al presidente della Repubblica, chiedendo giustizia: “Ogni anno – si leggeva in quella missiva – in Italia muoiono più di mille lavoratori, purtroppo non sempre per fatalità, bensì troppo spesso a causa di superficialità, quando non di negligenza. Matteo è una delle vittime di questa mancanza di responsabilità; aveva solo trent’anni e ha pagato con la vita il suo diritto al lavoro”. Un diritto, scriveva la madre del ragazzo, garantito dalla Costituzione, ma “credo dunque sia lecito e doveroso chiedersi come questo diritto, peraltro non sempre rispettato, possa escludere perfino la sicurezza sul lavoro”.

 

Alessia Candito

a.candito@corrierecal.it

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