CATANZARO Il fatto non sussiste. Con questa motivazione il giudice Francesco Marino ha assolto oggi, dall’accusa di omicidio colposo, i sette componenti dell’equipe urologica dell’ospedale Renzetti di Lanciano che il 3 luglio 2008 operò il paziente calabrese Vincenzo Papaleo (72), il quale morì due anni dopo al policlinico di Catanzaro per una peritonite con pesante infezione. L’autopsia rivelò l’esistenza della garza nell’addome dell’uomo. Le parti offese al processo erano la moglie e tre figli. In merito alla vicenda di presunta malasanità, le perizie hanno dimostrato che il tipo di garza trovata nell’intestino di Papaleo non era utilizzata al nosocomio frentano e anche la circostanza che il paziente venne operato di prostata, per cui era impossibile che la garza passando per il peritoneo potesse finire nell’addome. L’intervento chirurgico alla prostata non c’entrava nulla con la garza e non era collegato con altre operazioni e il successivo decesso del paziente. L’iniziale inchiesta, poi passata per competenza a Lanciano, venne aperta e condotta dal sostituto procuratore di Catanzaro, Gerardo Dominijanni, il quale dispose l’acquisizione della documentazione dell’intervento realizzato nel reparto di urologia frentano. I carabinieri acquisirono altri documenti sanitari del paziente in vari altri ospedali italiani dove era stato in cura e operato. Gli imputati, che hanno sempre respinto l’addebito, erano il primario Carlo Maniero, l’aiuto Antonio Marinaro, quindi altri sanitari e le figure strumentisti quali Maria Cavacini, Emanuela Fedele, Mina Fedele, Giuseppina Scutti e l’anestesista Alberto Ricciuti. (0090)
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