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PUERTO LIBERADO | Se a sorvegliare ci pensa la Madonna…

REGGIO CALABRIA Non è dato sapere se Giuseppe Brandimarte sia o meno un credente osservante, ma di certo potrebbe aver preso troppo alla lettera la benedizione, comune fra i cattolici, «la Madonna …

Pubblicato il: 24/07/2014 – 15:29

REGGIO CALABRIA Non è dato sapere se Giuseppe Brandimarte sia o meno un credente osservante, ma di certo potrebbe aver preso troppo alla lettera la benedizione, comune fra i cattolici, «la Madonna vegli su di voi». Proprio in una statua della Vergine posta di fronte alla sua abitazione aveva infatti nascosto un impianto di videosorveglianza, che gli investigatori hanno scoperto analizzando le innumerevoli conversazioni intercettate fra i fermati dell’operazione “Puerto liberado”, pizzicati dai militari della Finanza di Reggio nonostante si fossero premurati di dismettere immediatamente tutte le proprie utenze personali all’indomani dell’arresto del dirigente quadro della Società di gestione della banchina merci del porto gioiese, la Mct, Vincenzo Trimarchi, che gli investigatori hanno beccato mentre tentava di allontanarsi trasportando a bordo di un furgone sedici borsoni contenenti 560 kg circa di cocaina purissima. Ma questa non era l’unica misura di cautela adottata dai fratelli Brandimarte e dagli altri undici fermati per ordine della Dda di Reggio Calabria con l’accusa di essere i veri e propri logisti del traffico di cocaina nel porto di Gioia Tauro. Analizzando il vorticoso giro di messaggi, chiamate e chat che i “logisti” della coca a Gioia si scambiano continuamente, i finanzieri hanno capito subito che i componenti dell’organizzazione da tempo si erano accorti del monitoraggio attivo su di loro, ma soprattutto che erano preparati ad adottare debite contromisure. Chi invece sta ben attento a evitare qualsiasi tipo di connessione sono i fratelli Brandimarte, che dopo la scarcerazione di Giuseppe manterranno un – poco credibile – silenzio telefonico e telematico. In compenso però la telecamera con cui quest’ultimo sperava di controllare eventuali movimenti delle forze dell’ordine – o almeno così dichiara nelle conversazioni intercettate – fornirà ai militari della Finanza la prova di diversi incontri con il fratello Alfonso, come con i più stretti collaboratori della famiglia con Rocco Gagliostro e il Vincenzo Caratozzolo, braccio destro di Alfonso Brandimarte. «Tali elementi dimostrano che Brandimarte Giuseppe – sottolineano i pm – all’esito della sua scarcerazione, pur con estrema cautela, ha ripreso la gestione degli affari illeciti della famiglia, incontrando nella sua abitazione il fratello Alfonso e altri sodali per la prosecuzione dell’attività criminale. L’oculata assenza di comunicazioni vocali tra i fratelli prima degli incontri, infatti, dimostra che gli stessi sono funzionali agli illeciti traffici comuni». Altrettanto sospetta agli inquirenti è risultata la curiosa abitudine di Giuseppe Brandimarte di non dormire mai nello stesso posto per due sere di seguito e in ogni caso sempre lontano dalla propria formale residenza. «L’anomalo comportamento di Brandimarte – è scritto nell’ordinanza di custodia cautelare – è, all’evidenza, riconducibile alla volontà dello stesso di non rendere agevole alle forze dell’ordine la sua individuazione, in vista di un possibile provvedimento di cattura spiccato da parte dell’autorità giudiziaria». Ma forse – denunciano gli inquirenti nel provvedimento di fermo – qualcuno aveva suggerito ai logisti del porto di Gioia che la Dda era sulle loro tracce. Qualcuno che era in grado di avvertirli in anticipo dei controlli di polizia, come dimostra la concitata telefonata con cui Francesco Siviglia intima allo zio Michele Cananzi «vai là dentro e gli metti una fila di quelle gomme in quella porta così non si vede la farina là dentro», ma soprattutto di danneggiare l’hard disk dell’impianto di videosorveglianza installato nel deposito della Siviglia Transport S.a.s., per evitare l’acquisizione di immagini compromettenti. Ma soprattutto, qualcuno – si evince ad esempio dalla sgrammaticata chat blackberry fra Antonio Calabrò “Rambo” e “Dijango” – soggetto la cui identità è allo stato sconosciuta agli investigatori – che era addirittura in grado di conoscere indagini che all’epoca muovevano ancora i primi passi.

Rambo: «Vedi di star con gli okki apert che poi ti cunto».

Django: «Ke è successo».

Django: «Qualcosa di nuovo?».

Rambo: «Nient per ora quand se vedemo se raccontam per ora siam solo agli inizi capisci».

Django: «Ma accennami xke qui anke ho notato strani movimenti».

Django: «Accennami quiello ke sai vediamo se si riesce a capire qualcosa».

Rambo: «Qulach nominativ l ann vist».

Django: «E di ki».

Rambo: «Il cognome lo vist pero solo uno dei due». 

Ma questa non sarà una delle tante conversazioni che avranno per oggetto l’attività delle forze dell’ordine. Ne chiacchierano amabilmente anche l’ancora sconosciuto Django e “Creed” Vincenzo Crisafi. Ed è proprio quest’ultimo a dire quasi a mo di sfottò al suo interlocutore: «Pensavo fossi già con Nicola» – da intendersi, sottolineano i finanzieri nella propria infromativa – «pensavo ti avessero già arrestato. Una battuta che darà il via ad una serie di insulti all’indirizzo del procuratore da parte dell’anonimo Django, destinati ad arginarsi quando “Creed” lo informa: «Mi sta chiamando Rambo (Calabrò Antonio, Rambo, ndr). Dice che c’è qualcuno dei rossi che ci tiene a me e a lui (dice che è qualcuno dei Ros che indaga a me e a lui, ndr). Bisogna andare a parlare con ndocco. E cmq dice che sono proprio mali mali… quindi bisogna stare con gli occhi bene aperti». Una conversazione che nonostante il linguaggio criptico – proprio della chat e dei delicatissimi argomenti affrontati – a inquirenti e investigatori fa subito comprendere che non solo i logisti di Gioia potevano contare su una talpa molto bene informata, ma soprattutto che avrebbero potuto rapidamente far perdere le proprie tracce. Non a caso è proprio lo sconosciuto Dijango a raccomandare a Calabrò: «Vedi se riesci a sapere di ke si tratta almeno ci regoliamo x quale parte del mondo dobbiamo fare i biglietti (…) Cosi Nicola (Nicola Gratteri, ndr) se vuole deve fare un bel po’ di strada x venire a prenderci». Un riferimento tutt’altro che sibillino a progetti di fuga per i quali – sottolineano gli inquirenti – tutti gli uomini di Giuseppe Brandimarte avrebbero potuto contare anche su documenti falsi. «Femia Antonio – annotano a supporto della propria tesi i pm – Il Risolutoreper il suo viaggio ad Amsterdam, aveva utilizzato un documento falso per non essere identificato e per procedere con cautela nell’organizzare il recupero della partita di cocaina in arrivo al porto di Rotterdam (…) Tale documento gli era stato fornito da Antonio Calabrò, utilizzatore del blackberry con nickname Massimo Decimo Meridio il quale avrebbe dovuto raggiungere Antonio Femia, IlRisolutore, in Olanda». Ma del resto, la capacità dei Brandimarte e dei loro uomini di venire a conoscenza con discreto anticipo di provvedimenti emessi a loro carico o nei confronti di persone a loro vicine è cristallizzata anche in uno dei capi di imputazione contestati ad Alfonso Brandimarte, fratello e alter ego del boss dei logisti Giuseppe, cui la Dda contesta anche il favoreggiamento della latitanza di Rocco Francesco Ieranò, che grazie alle soffiate di Alfonso non solo è riuscito in passato a sottrarsi all’arresto nell’ambito dell’operazione “Vittorio Veneto”, ma anche a procurarsi un “covo” all’interno del quale nascondersi. Talpe, contatti e informazioni che non sembrano riuscite a inficiare le indagini della Finanza, coordinate dalla Dda, che oggi hanno portato al fermo dei tredici presunti logisti della coca del Porto di Gioia. (0050)

 

Alessia Candito

a.candito@corrierecal.it

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