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Mafia e 'ndrangheta sulla pista del "Capriccio”

CATANZARO Tutto inizia con un fermo immagine: nel privé di una discoteca siede un gruppo di “bravi ragazzi”. Si discute di come trasformare i locali notturni della movida lombarda in lucrose piazze…

Pubblicato il: 26/07/2014 – 13:39
Mafia e 'ndrangheta sulla pista del "Capriccio”

CATANZARO Tutto inizia con un fermo immagine: nel privé di una discoteca siede un gruppo di “bravi ragazzi”. Si discute di come trasformare i locali notturni della movida lombarda in lucrose piazze di spaccio. Attorno al tavolo c’è il gotha della criminalità calabrese trapiantata in val Padana: Franco Coco Trovato, il boss venuto da Marcedusa e divenuto padrone di Milano, il suo braccio destro Antonio Schettini, il rampollo della più potente famiglia della ‘ndrangheta reggina, Giuseppe De Stefano, e poi ci sono i “padroni di casa” gli uomini del clan Mancuso e della famiglia Tripodi. Siamo alla fine degli anni 80 e il punto di ritrovo è il locale “Il Capriccio” di Arcene a pochi passi da Bergamo. Il perché di quel summit lo ha spiegato, il 21 luglio scorso, il collaboratore di giustizia Vittorio Foschini, uomo-ponte tra cosche calabresi e clan siciliani a Milano. Pentitosi nel 1995, Foschini è stato sentito dal pm della Dda di Catanzaro, Pierpaolo Bruni, che sta conducendo una delicata inchiesta sull’espansione criminale ed economica in mezza Italia del boss Nicola Tripodi. Presente a quell’incontro nella discoteca, il collaboratore racconta che lui e gli altri vennero invitati dai Mancuso e dai Tripodi: «Siamo stati ospiti loro presso tale discoteca ed alla presenza di tutti i soggetti sopra indicati ci fu presentato in un ufficio riservato il proprietario della discoteca o meglio come “subnome” indicato e voluto dalla famiglia Mancuso e Tripodi come gestore della discoteca». Foschini non ricorda il nome ma lo riconosce in una foto che gli mostrano gli inquirenti: è Lorenzo Suraci nato a Vibo nel 1951. È l’imprenditore che nel 1987 acquisterà “Radio trasmissioni lombarde” proprio per pubblicizzare la discoteca Capriccio vicino alla quale si trovavano gli studi di trasmissione e l’antenna per la diffusione del segnale dell’emittente creando il colosso Rtl 102,5. Il racconto del collaboratore fornisce altri particolari: «Egli ci fu presentato unitamente ad un fratello più grande di lui un po’ più anziano oltre che ad altro fratello più piccolo dei due appena richiamati. I tre fratelli ci furono presentati dai Mancuso e dei Tripodi come uomini loro che gestivano la discoteca. Preciso che per quello che io so non si trattava di uomini battezzati, in quanto non mi furono presentati come uomini di onore. Io stesso in queste circostanze ho avuto modo di verificare le modalità di vendita della cocaina e dell’hascisch oltre che i luoghi dove lo stupefacente veniva occultato. Laddove veniva occultato lo stupefacente ho avuto modo di vedere che veniva custodita anche una pistola». Secondo il racconto di Foschini la discoteca il Capriccio diventa in quegli anni il quartier generale dei calabresi in Lombardia, un luogo dove riunirsi e svagarsi, «venivano messe a disposizione delle donne ad appartenenti alla ‘ndrangheta».
Ma ai divanetti del Capriccio gli uomini delle cosche non sono soli, al loro fianco spesso si trovano «tre soggetti riconducibili alla famiglia Madonia», storico clan siciliano. In quegli anni calabresi e palermitani stringono alleanza. Fanno cartello sullo spaccio di droga poiché i corleonesi mettevano a disposizione per lo sbarco di ingenti quantitativi di cocaina il porto di Mazara del Vallo e i Mancuso e i Tripodi unitamente ai Piromalli ricambiavano il favore mettendo a disposizione il porto di Gioia Tauro. Altro business comune erano le armi che arrivavano direttamente dalla Svizzera. Ma non solo, quando dopo le stragi di Capaci e via D’Amelio Cosa nostra è in difficoltà si rivolge sempre ai Mancuso. Lo racconta sempre Foschini: «Dopo le stragi del 1992, c’era una certa fibrillazione nell’ambiente politico palermitano che non si fidava più di avere rapporti con Cosa nostra siciliana. Pertanto Leoluca Bagarella e Totò Riina chiedevano ausilio ai Mancuso e ai Tripodi affinché tramite uomini politici anche di primo piano a livello nazionale ed a loro collegati si facessero garanti in ordine ed una affidabilità da parte di Cosa nostra e si impegnavano affinché i nuovi referenti politici non venissero in alcun modo intaccati o toccati, poiché era la ‘ndrangheta stessa e segnatamente i Tripodi ed i Mancuso a garantire l’incolumità. L’ulteriore impegno era costituito dal fatto che i nuovi referenti politici sarebbero stati conosciuti esclusivamente dai capi e ciò al fine di evitare che nuovi collaboratori di giustizia potessero chiamarli in causa…». A fare da mediatore tra i Mancuso e i corleonesi è uno dei tre soggetti siciliani che frequentavano la discoteca Capriccio. Per Foschini è Saverio Stendardo, esperto di impianti elettrici e telefonia cellulare tanto che secondo alcuni pentiti fu lui a fornire «i telecomandi utilizzati per consumare la strage di Capaci». Ma Stendardo è anche un dipendente di Rtl. Chi ha lavorato con lui lo descrive così: «Ho avuto modo di verificare una particolare capacità di persuasione dello Stendardo nell’acquisto delle frequenze, infatti attraverso il suo modo di fare lo Stendardo riusciva a convincere anche il venditore più riottoso affinché vendesse la relativa frequenza a Rtl». Un altro dipendente “scomodo”; già in precedenza, infatti, era emerso come il boss Nicola Tripodi fosse assunto da una società del gruppo, la Gestitel, senza in verità svolgere alcuna specifica mansione. Così come risultano assunti dall’emittente e da aziende del gruppo il figliastro del boss di Melito e la sua compagna. Ma a parlare al pm Bruni della radio, di Suraci e dei suoi rapporti con i Mancuso c’è anche un altro pentito, Francesco Oliverio. Nell’interrogatorio reso il 21 luglio scorso, ha riferito di una riunione in cui si disse che i Tripodi «sono messi bene a Bergamo e sono collegati con il paesano nostro titolare di Rtl».

Gaetano Mazzuca

g.mazzuca@corrierecal.it

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