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Udienza preliminare per i costruttori dell’eco-mostro “Gioiello del mare”

REGGIO CALABRIA Dovranno presentarsi il prossimo 9 ottobre di fronte al gup Carmelo Borello, Antonio Cuppari, Francesco Iorfrida, Antonino Iriti, Antonino Sebastiano Toscano e Domenico Vitale, tutt…

Pubblicato il: 05/08/2014 – 7:31
Udienza preliminare per i costruttori dell’eco-mostro “Gioiello del mare”

REGGIO CALABRIA Dovranno presentarsi il prossimo 9 ottobre di fronte al gup Carmelo Borello, Antonio Cuppari, Francesco Iorfrida, Antonino Iriti, Antonino Sebastiano Toscano e Domenico Vitale, tutti a vario titolo ritenuti responsabili della costruzione dell’eco-mostro “Gioiello del mare”, sulla carta faraonico complesso edilizio destinato al turismo, in realtà, solo una colata di cemento e mattoni costruita direttamente sulla spiaggia di Brancaleone e totalmente abusiva, per la procura voluta dai clan Aquino e Morabito per riciclare l’enorme mole di liquidità frutto dei traffici illeciti. Per questo, per i sei soggetti oggi indagati per quello scempio, il procuratore aggiunto Nicola Gratteri e il pm Paolo Sirleo ipotizzano non solo abuso d’ufficio e falsità ideologia commessa, aggravati dalle modalità mafiose ma anche reati paesaggistici e urbanistici. Per gli inquirenti infatti, la struttura sarebbe stata realizzata grazie all’improprio rilascio di alcuni permessi, che non avrebbero tenuto conto di alcun vincolo paesaggistico col preciso intento di agevolare i clan Aquino e Morabito che – come svelato dall’inchiesta Metropolis, di cui tale procedimento rappresenta uno stralcio – nel progetto di convertire l’enorme liquidità proveniente da traffici di più varia natura per cementificare la costa jonica reggina.
Stando a quanto emerso dalle indagini, a permettere la costruzione dell’ecomostro sarebbe stata la variante urbanistica attraverso cui un terreno originariamente destinato a fini agricoli, si sarebbe convertito su richiesta dei clan ad area con finalità turistiche-residenziali. Una pratica illegittima che per la Procura avrebbe permesso «la realizzazione di opere abusive di imponente portata dimensionale, parte delle quali anche in zona sottoposta a vincolo paesaggistico» e di cui tutti i sei indagati sarebbero responsabili. Il responsabile dell’ufficio tecnico del comune di Brancaleone Domenico Vitale avrebbe infatti rilasciato il permesso di costruire richiesto da Cuppari – formale committente dell’opera ma per gli inquirenti soprattutto soggetto affiliato ai clan – sulla base del progetto Iriti e Toscano. Solo qualche mese più tardi, con parere favorevole dello stesso Vitale, sarebbe arrivata però la delibera con cui il consiglio comunale di Brancaleone convertiva attraverso una variante urbanistica la destinazione d’uso del terreno, trasformando un’area agricola in una zona turistico-ricettiva, in barba a qualsiasi vincolo paesaggistico e ambientale.
Ma il “Gioiello del mare” è solo uno degli immobili al centro del business messo in piedi dai due clan – che con la connivenza di facoltosi imprenditori anche stranieri controllavano direttamente 17 villaggi turistici, 1.343 unità immobiliari, 12 società – ma probabilmente quello che è costato loro di più. E non solo in termini di capitale investito.
A mettere gli inquirenti sulle tracce del business milionario che le famiglie Aquino e Morabito avevano messo in piedi per ripulire gli enormi flussi di denaro proveniente dal traffico di “bianca”, è stato un controllo occasionale su un’auto proveniente dall’Albania effettuato da due finanzieri di Bari. A bordo non solo c’erano quattro soggetti di San Luca, già noti alle forze dell’ordine, ma soprattutto le planimetrie del complesso turistico-alberghiero “Gioiello del mare”, riconducibile alla Metropolis 2007 srl. Un particolare che ha acceso l’interesse investigativo degli inquirenti che per anni hanno battuto la pista dell’edilizia turistica e residenziale fino a scoprire la rete tessuta attorno a sé da Rocco Morabito, figlio del boss Peppe “Tiradritto”. Un tycoon criminale per gli inquirenti, capace di tessere attorno a una fitta rete di interessi, operazioni e affari che garantivano ai clan il mantenimento del consenso, grazie all’utilizzo di manodopera locale per le costruzioni, ma soprattutto lauti guadagni grazie ai compratori stranieri di ville e appartamenti.
Una figura che probabilmente sintetizza al meglio il significato di questa indagine, prova evidente di una ‘ndrangheta non solo capace di proiettarsi sul piano internazionale, ma in grado di evolvere e giocare un ruolo sempre diverso e al passo con i tempi e con i mercati. E per questo sempre più pericolosa.

 

Alessia Candito

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