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CASO SCAJOLA | Il giudizio immediato è soltanto l'inizio

REGGIO CALABRIA Quello che appare evidente è che l’udienza fissata per il prossimo 22 ottobre non sarà che una fase di quella che si annuncia come una lunga partita a scacchi fra la Procura di Regg…

Pubblicato il: 06/08/2014 – 18:01

REGGIO CALABRIA Quello che appare evidente è che l’udienza fissata per il prossimo 22 ottobre non sarà che una fase di quella che si annuncia come una lunga partita a scacchi fra la Procura di Reggio Calabria e l’entourage che si muove dietro l’ex parlamentare di Forza Italia, oggi a Dubai, dove continua a sfuggire all’esecuzione di una condanna definitiva per mafia, come di una nuova ordinanza di custodia cautelare emessa a suo carico dal gip di Reggio Calabria. E proprio per rispondere della collaborazione prestata al suo progetto di sottrarsi alla giustizia, per ordine del gip Olga Tarzia dovranno presentarsi tra qualche mese di fronte ai giudici di Reggio Calabria sua moglie, Chiara Rizzo, il suo storico collaboratore, Martino Politi, l’ex ministro Claudio Scajola e le segretarie dei due politici, Roberta Sacco e Maria Grazia Fiordelisi. Per tutti i pm Giuseppe Lombardo e Francesco Curcio hanno chiesto e ottenuto il giudizio immediato, sulla base di un’istanza rettificata all’esito dei nuovi interrogatori disposti per la Rizzo e Politi in seguito alla precisazione del capo di imputazione. Convocazioni conclusesi con un nulla di fatto – entrambi hanno deciso infatti di fare scena muta – ma che per i pm non sono state privi di significato, se è vero che il 4 agosto scorso al gip – si legge nelle carte – hanno chiesto di revocare la precedente richiesta, sostituendola con una nuova istanza in cui – con ancora maggior precisione – si evidenziano le circostanze contestate ai cinque imputati.

 

IL “PROGETTO” CONTESTATO AGLI IMPUTATI Per la Procura, tutti quanti «agendo in parte all’estero, in concorso tra loro e con ulteriori persone in corso di compiuta identificazione, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso poste in essere anche in tempi diversi e in violazione della medesima disposizione di legge, aiutavano Matacena Amedeo Gennaro Raniero, al fine di eseguire od occultare il delitto di cui al capo che precede ovvero per assicurare a questi il prodotto o profitto ovvero la impunità del medesimo (intestazione fittizia di beni, ndr), a sottrarsi alla esecuzione dell’ordine di esecuzione per la carcerazione». Nello specifico – indicano i pm nel capo di imputazione – i cinque, attraverso «articolate condotte» si sarebbero adoperati per «mantenere inalterate le capacità operative in campo economico-imprenditoriale del Matacena, costituire le provviste finanziarie necessarie al predetto per proseguire in territorio estero la intrapresa latitanza, operazione resa più agevole dai contatti privilegiati, garantiti dallo Scajola (che si avvale spesso della Sacco) alla Rizzo, con altri soggetti operanti, in Italia ed all’estero, all’interno dei circuiti bancari e finanziari di riferimento del predetto Matacena (curati anche dalla Fiordelisi)», così come «a rendere attuabile il pianificato spostamento del Matacena dall’Emirato di Dubai alla Repubblica del Libano, individuato dallo Scajola per la possibilità di sfruttare le proprie relazioni personali (tra le quali quella con Speziali Vincenzo) al fine di far riconoscere il diritto di “asilo politico” a favore del condannato per concorso esterno in associazione mafiosa, Matacena Amedeo».

 

GLI SCENARI DELL’INCHIESTA Un capo di imputazione che sintetizza, precisa e conferma le risultanze investigative fin qui emerse, ma che lascia presagire un futuro allargamento e approfondimento dell’inchiesta, a partire da quelle «ulteriori persone in corso di compiuta identificazione» che i magistrati hanno voluto richiamare nella rubrica, a testimonianza di quello che – forse per implicita ammissione della stessa Procura – non è che un tassello di un’indagine molto più ampia. E alle medesime conclusioni sembra condurre l’ulteriore accusa – attualmente formalizzata solo a carico di Chiara Rizzo, ma che pende ancora sul capo di Martino Politi, «a cui carico – si legge nel decreto di giudizio immediato – si procede separatamente in relazione al presente capo» come di altri in via di identificazione. Non è di certo un ruolo ancillare o inconsapevole quello che – ad oggi – i pm contestano a Lady Matacena, considerata uno degli ingranaggi fondamentali del meccanismo attraverso cui l’ex parlamentare di Forza Italia avrebbe tentato di occultare il proprio immenso patrimonio all’interno di un labirinto societario dislocato nei più diversi paradisi fiscali.
Lungi dall’essere una donna sola e sprovveduta, Lady Matacena – affermano gli inquirenti anche sulla base degli elementi emersi a seguito delle perquisizioni e degli interrogatori – non solo avrebbe consapevolmente “lavorato” per garantire al marito un comodo rifugio che ne preservasse l’operatività, ma con cognizione e competenza avrebbe fornito «contributo causale» alla complessa operazione di occultamento del patrimonio familiare. Un’ipotesi già emersa nelle prime fasi di indagine e confermata dalle successive acquisizioni, a partire da quelle scaturite dagli approfondimenti disposti sul materiale sequestrato a casa di Maria Grazia Fiordelisi, segretaria e custode dell’archivio riservato dei coniugi.

APPUNTI PER FUTURI SVILUPPI Ma sempre in quell’archivio, i segugi della Dia troveranno anche il fitto carteggio fra Lady Matacena e l’avvocato Giovanni Battistini – conoscente di Cecilia Fanfani, insieme al fratello Giorgio indagata nell’inchiesta Breakfast – che testimonia «l’inequivocabile interessamento da parte di Chiara Rizzo in un affare consistente nella realizzazione di centrali idroelettriche da realizzarsi in Italia e in territorio estero (Albania)». Un business di cui già nei primi interrogatori anche la segretaria di Lady Matacena, Maria Grazia Fiordelisi, aveva parlato. Un progetto che in una certa fase chiamerà in causa anche l’oscura fondazione dei Cavalieri di Malta – che alla Rizzo offrirà sull’unghia un finanziamento astronomico, che per i pm si inquadra nel tentativo di riavviare l’operatività del gruppo societario, anche diversificandola e corre parallelo allo svuotamento delle società del gruppo. Non a caso – è emerso dalle indagini – proprio negli stessi mesi, Amedeo Matacena avrà più di un incontro con Cesare Fera, patron dell’omonima impresa, grande mattatrice di appalti nel settore delle energie alternative e svilupperà i contatti con la Tecnofin dell’immobiliarista Dal Lago. Tutte tracce ancora da sviluppare per inquirenti e investigatori, ma che sin dal principio sembrano chiamare in causa anche Claudio Scajola, nelle vesti di titolare di quel ministero delle Attività produttive che erogherà un finanziamento proprio alla Fera srl. Un finanziamento di cui – curiosamente – proprio i patron della Fera chiederanno notizie ad Amedeo Matacena. Tutte tracce che dimostrano che il procedimento che avrà inizio il prossimo 22 ottobre non sarà che la prima tessera di un mosaico molto più complesso.

 

Alessia Candito

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